Il Viaggio Sconvolgente dell'artista: Come Affrontare il Vuoto Post-Creazione?

Non posso fare altro che iniziare questa settimana del "Diario D'artista" parlando del lancio del mio libro.

Venerdì, finalmente, "La Divina Avventura" è stata pubblicata. È ufficialmente fuori dal mio controllo ed ora si trova nel limbo dei libri: quelli scritti ma ancora non letti. È in una sfera d'ignoto che contiene ogni possibilità, ogni successo e ogni fallimento.

Solo l'idea che qualcuno, in questo preciso momento, stia leggendo per la prima volta quelle parole che ho coltivato, cresciuto e selezionato con tanto impegno, mi fa battere il cuore. Pensare che ormai questa storia è scritta, conclusa, incisa per sempre nel tempo mi riempie di gioia. Sì, è vero, ha le sue debolezze, le sue fragilità. Possiede forse l'ingenuità di un'opera prima, ma porta con sé anche l'entusiasmo, la leggerezza e soprattutto, un messaggio.

Sapere che ora anime sconosciute (e non) stanno per comprendere questo messaggio è sinonimo di profonda felicità e gratitudine per me.

Ma come ogni medaglia che si rispetti, c'è un rovescio. L'artista, dopo aver creato, si trova a confrontarsi con quella che io chiamo "la bolla di vuoto": quel momento post-creazione in cui non c'è più nulla, solo il vuoto. Molto simile a quella fase della vita in cui il figlio è andato via di casa e ora la sua stanza, tutta addobbata, che conserva ancora il suo profumo, ha perso la sua funzione primaria.

Scrivere La Divina Avventura mi ha tenuto compagnia per circa 18 mesi, occupandomi la mente, l'anima e il cuore. Fino a saturare ogni parte di me. Non avevo più spazio per altro. Non volevo più spazio per altro. Era puro amore, totale, incondizionato. Solo così riesco a toccare le mie corde più intime, solo così riesco a commuovermi nella scrittura di un paragrafo. Solo così posso immaginare un evento, o trovare un significato alle mie stesse parole. E ora, tutto questo non c'è più. Ora, questi pensieri, queste idee, queste emozioni, devono vivere di luce propria, devono camminare con le proprie gambe. Io ho fatto tutto quello che potevo, come ogni genitore premuroso. Avrò sbagliato da qualche parte, e da qualche altra avrò fatto la cosa giusta. Ma ora, caro libro, il mondo è tuo. Vai, corri verso i tuoi lettori, persegui il tuo scopo, scuoti le loro anime, fai vibrare i loro cuori e crea quei meravigliosi ponti tra l'autore e il lettore.

Ma io? Cosa dovrei fare io, ora che mi hai lasciato solo? Ti vedo lì, sulla mia scrivania... con la tua copertina che raffigura una barca, il mare e torri nere. Mi dispiace, ma non riesco più a leggerti. Non perché non voglia, so che ci sono refusi qua e là, so che sei imperfetto. Ma, come dici tu stesso ad un certo punto: l'imperfezione è bellezza. Un giorno, forse, correggerò i tuoi piccoli difetti, che ti donano quell'aura di inizio, di principio, ma se devo essere onesto, per ora mi piaci così come sei.

Credo che mi godrò quel sano vuoto che segue la creazione e mi preparerò per il prossimo viaggio. Nel silenzio troverò terreno fertile per nuove semine, che daranno vita a un nuovo raccolto.

L'ho già anticipato, il prossimo libro parlerà di Amore e del Tempo. Il tempo tiranno, il tempo che passa, il tempo che fugge e l'amore, sempre l'amore.

Alla prossima pagina.

La Divina Avventura - Capitolo IV

Ero immerso nell’acqua gelida del mare costiero, cercando nella notte quella piccola barca bianca che Argo mi aveva lasciato anni prima. Era nascosta tra le scogliere, e non l’avevo mai utilizzata. Sorprendentemente, era ancora lì: erosa dal sale, la chiglia ricoperta di piccoli molluschi. Le onde erano alte e, per un uomo anziano come me, non fu facile salirci. Iniziai a remare, oltrepassando la boa che segnava l’ingresso alla città degli Zero.

Il solo ricordo di quel luogo mi fa ancora rabbrividire: una rete di vecchie imbarcazioni legate da funi e ponti di corda, piene di discepoli falliti ai quali KS aveva negato per sempre l’accesso all’Eden. L’odore di pesce era nauseante. Vagando tra chiglie e ponti tutti simili, finalmente riconobbi il peschereccio di Argo. Era un’imbarcazione vecchia e arrugginita, abbastanza grande da ospitare un equipaggio di cinque. La sua massiccia struttura aveva sicuramente conosciuto giorni migliori. La vernice, una volta bianca e lucente, era ormai sbiadita e scrostata, mostrando il metallo arrugginito sottostante e testimoniando l’usura del tempo e delle lunghe giornate trascorse in mare aperto. Deboli luci illuminavano la cabina di comando sul ponte. Mi avvicinai e chiamai il suo nome.

Argo apparve con una bottiglia in mano. Era lo stesso uomo di sempre: burbero, dal parlare veloce e dall’ironia insopportabile. Era sporco. Notai che indossava ancora la sua tunica nera sotto il giubbotto di pelle. “Kato!” esclamò, riconoscendomi subito. “Quanto tempo è passato? Saranno almeno vent’anni dall’ultima volta che ci siamo visti! Ma guarda che sorpresa! Sali a bordo!”

“Ciao Argo.” risposi, sorridendo.

In un attimo, tutto tornò come prima, come se non ci fossimo mai separati.

“Vedo che la vita ci punisce tutti allo stesso modo” disse, indicando la mia barba ormai bianca. Poi mi diede una pacca vigorosa sulla schiena, “Sono davvero felice di rivedere il tuo viso. Guarda che belle guance! Vieni, dai. Ti offro qualcosa da bere. Abbiamo molto da raccontarci!”

Ci sedemmo nella cabina del peschereccio e cominciammo a parlare del passato, immersi nell’odore di acciaio, cuoio e alcol. Argo mi raccontò di come la sua vita fosse cambiata. Adesso viveva di pesca e faceva baldoria con gli altri Zero fino a notte fonda. In quel momento mi sembrò un uomo felice.

Mi chiese cosa mi avesse portato da lui, quindi gli raccontai di aver bisogno di un mezzo per viaggiare nel deserto. Argo ne fu sorpreso: “Il Kato che conoscevo aveva paura persino di mettere i piedi in acqua. Invece ora attraversi il mare in una piccola barca per arrivare fin qui. Dimmi… cosa ti spinge a uscire dalle Mura di Baltica?” gli occhi gli brillavano di curiosità.

“La stessa cosa di quando eravamo giovani. L’amore.”

Argo spalancò gli occhi. “Ancora Luna? Dopo tutto questo tempo, ancora non ti sei arreso?” Rimasi stupito dal suo tono: Argo mi aveva amato per tutta la gioventù e dopo tutti questi anni parlare di Luna accendeva ancora in lui una punta di gelosia.

“Perché, vorresti dirmi che tu invece ti sei arreso?” chiesi.

Argo fece una pausa e abbassò gli occhi, a disagio. “Voi e la vostra ossessione di dire sempre la verità. Ma non vi stanca?”

“Tu e la tua mania di mentire a più non posso, quella mi stanca.” gli risposi piccato.

Argo sorrise e mi fissò, avvicinandosi: “No, Kato. Purtroppo, neanche il mare è stato capace di farmi dimenticare di te” così dicendo, fece cenno alla bottiglia che avevamo – o meglio, aveva – svuotato nel corso del nostro breve incontro, “Vedi… sei come l’alcol, Kato: migliori con l’età.”

Gli spiegai che se avessi avuto successo, se fossi riuscito a portare Overton a KS, sarei Trasceso.

“Ah giusto, la tua ossessione di essere perfetto!” disse Argo, scuotendo la testa, “Fidati di me, lo zero è l’unico numero perfetto!”

“Hai qualcosa che possa aiutarmi?” gli chiesi, tagliando corto.

“Certo, seguimi.”

Tornammo sulla barchetta e Argo remò fino a una piattaforma, dove ci aspettava un magnifico dirigibile ovale, con una cabina spaziosa e luccicante.

“Ma è bellissimo!” dissi con stupore.

“No, non quello. Quello è mio. É uno zeppelin. Saranno vent’anni che ci lavoro sopra e nessuno lo guiderà se non io. Un giorno ci farò il giro del mondo, vedrai” poi indicò una mongolfiera malandata, “Ti propongo questa. L’ho trovata nel mare e l’ho appena rimessa a nuovo.”

La osservai: il pallone era pieno di cuciture e l’abitacolo non sembrava dei più grandi. Non era l’ideale, ma non avevo altre opzioni. “Dovrebbe andare bene,” dissi.

Argo posò i remi nella barca: “È tua se la vuoi.”

Lo guardai sorpreso da questa sua improvvisa generosità. “Grazie, Argo. Non sai quanto significhi per me. Non so come ringraziarti.”

“Mi basta un piccolo favore. Un semplice bacio.” Sorrise. Non era cambiato. Argo desiderava quello che aveva sempre voluto. Il bacio che gli avevo sempre negato. Sapeva che avevo bisogno di quella mongolfiera e così ne aveva approfittato.

“Perché devi sempre fare così?” dissi, scuotendo la testa.

Argo sospirò e riprese i remi. “Come vuoi… temo che dovrai trovare un altro modo per andare in cerca di questo ‘Overton’. La mongolfiera rimarrà qui. Sempre che tu non decida di… accordarmi quella piccola cosa che ti ho chiesto.”

“Aspetta,” dissi. Non volevo farlo, ma non avevo alternative, né tempo per cercarle. Dovevo partire e dovevo farlo in fretta. Così, con riluttanza, mi avvicinai a lui e chiusi gli occhi, ma proprio mentre il profumo di pesce e sudore mi raggiungeva le narici, mi accorsi che il bacio non arrivava mai.

“Kato, Kato” disse Argo “Non è così che si fa. I baci sono veri solo se sono sinceri, no? Era un piccolo scherzo in memoria dei vecchi tempi. Scusami.”

Aprii gli occhi, cercando di nascondere la mia umiliazione. “Oh, capisco” dissi con un sorriso forzato, “Be’, allora forse è meglio che me ne vada.”

Argo mi fissò intensamente: “Kato, la mongolfiera è tua. Sei un uomo di grande carattere, ti ho sempre ammirato per questo” poi si fermò, come interrotto da altri pensieri, più tristi, “Spero davvero che tu riesca a raggiungere la perfezione,”

Tornammo al suo peschereccio e ci salutammo, lui dal ponte, io in mare.

“Grazie per la mongolfiera!” dissi, “Ci vediamo domani al solito posto?”

Argo annuì: “Arriva all’alba, mi raccomando!”

Remai verso Baltica, con il vento che mi faceva lacrimare. Ma non era nulla in confronto allo sconforto che sentivo dentro. Non lo avevo baciato, ma avevo comunque tradito me stesso e Argo lo sapeva bene. Chiusi gli occhi per non pensarci e ripresi a remare.

Tornato a riva, esausto per lo sforzo, camminavo sulla rugiada che copriva il lastricato bianco della città addormentata. Faceva freddo, ma la tunica mi teneva caldo. non vedevo l’ora di dormire. Passai davanti al Foro e mi resi conto che quella poteva essere l’ultima volta che lo vedevo. L’indomani sarei partito, e il ritorno era incerto.

Così, entrai nel Foro e desiderai una sedia che si materializzò dal pavimento, accompagnata da un tavolo circolare. Poi desiderai una perla, che apparve sul tavolino luccicante. Mi sedetti e la presi tra le dita, osservandola in controluce di fronte alla luna. Studiai il liquido dorato all’interno. Era pura energia, puro piacere. La perla era un oggetto di assoluta perfezione, proprio come aspiravo a diventare io un giorno. La ingoiai e mi guardai attorno: Baltica era davvero un luogo incantato. Mi immersi nella sua pacifica solitudine. Cullato dalla perfezione, dal mare e dalle stelle. Mi sentivo fuori dal tempo.

Non ero ancora partito, ma già desideravo tornare.

***

L’aria mattutina era fresca e il vento soffiava con vigore, agitando la mia tunica. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta sulle Mura. Fu durante il Giorno della Purificazione. Eravamo io, Argo e Luna. Mentre attendevo Argo e la mongolfiera, ripensai a quei giorni passati. Ricordai quanto ci piaceva lasciare segni proibiti sulla città, un’impronta del nostro passaggio. Argo era sempre a capo nelle nostre trasgressioni e Luna, attratta da lui come io lo ero da lei, lo seguiva senza pensarci due volte. Decisi di cercare quei segni: avevamo lasciato dodici stanghette alla base del muro, una per ogni avventura. Quando le vidi, non fu la nostalgia a prevalere, ma la tristezza. Tristezza per ciò che Argo aveva distrutto con le sue bugie. Eravamo ormai invecchiati e quella gioventù spensierata era solo un ricordo sbiadito.

Udii un fischio e alzai lo sguardo. Argo arrivava in mongolfiera.

“Scusa il ritardo, ho incontrato qualche inconveniente.” disse, atterrando accanto a me.

“Non preoccuparti.” risposi, avvertendo l’odore di alcol nel suo alito.

Argo si avvicinò, preoccupato, e mi chiese: “Sei sicuro di voler cercare quel ragazzo? Non sopravviverai nemmeno un giorno là fuori. Neanche io so cosa si nasconde oltre quelle dune. Nessuno è mai tornato per raccontarlo.” Mi strinse le spalle e continuò: “Mi dispiacerebbe perderti ora che posso finalmente conquistarti.”

Sorrisi: “Chi di noi due è il più illuso, Argo?”

“Tu” rispose senza esitazione, “Perché credi ancora che sia il colore della tua tunica a determinare la tua felicità. La vita è godimento. Non c’è altro.”

Non risposi, non serviva. Eravamo troppo diversi.

Argo si voltò verso Baltica che si estendeva sotto di noi. Una vista mozzafiato, con i tetti bianchi scintillanti, immersi nell’alba rosata. L’aria era così limpida che si poteva vedere persino la città degli Zero. Argo si appoggiò alla ringhiera con le braccia incrociate, e si alzò il bavero del giubbotto per proteggersi dal vento che spazzava via le nuvole, come a preparare il cammino per il mio viaggio.

“Ecco perché ci piaceva venire qui…” disse Argo davanti a quello splendido panorama.

“Già…” risposi.

“Come sta Luna?” chiese.

“È sempre perfetta” risposi con sincerità, “Non è mai stata così bella.”

Argo annuì, ma poi fece un’altra domanda: “Se Luna ha raggiunto la perfezione, perché non è ancora Trascesa in Eden?” In quell’istante, mi bloccai. Luna sperava di rivederlo, ecco perché. Ma non volevo che lui lo sapesse. Ingenuamente, non volevo rischiare di riunirli, ma ero anche stato educato a dire sempre la verità, secondo i precetti di Baltica.

“Argo, perché non mi mostri come si guida la mongolfiera?” chiesi, per cambiare argomento. Argo mi guardò per un attimo, cercando di capire le mie intenzioni, poi annuì e si voltò verso l’aerostato. Io rimasi a fissare il vuoto, troppo assorto nella paura di aver mentito, non avendo risposto alla sua domanda.

“Merda!” esclamò.

“Che succede?”

“Niente... il motore si è spento. Le cose vecchie a volte fanno capricci. Niente di grave.”

“Da quando un motore che si spegne è ‘niente di grave’?”

“Niente che non si aggiusti con un colpo ben assestato!” replicò lui, salendo sulla scala di metallo attaccata all’abitacolo e colpendo il motore con un pugno, facendolo ripartire, “Ecco fatto. Facile, vero? Adesso vai, ti raggiungo subito.”

Entrai nell’abitacolo spartano e malandato. “Non è male, vero?” chiese Argo, toccando una valvola rossa dietro di me e sfiorandomi il collo con la barba, “Questa controlla l’aria. Gira a destra vai giù, gira a sinistra e vai…?”

“Su.” risposi, imbarazzato per la vicinanza.

Argo sorrise, celando la sua preoccupazione. “Bene… Sei proprio sicuro allora?”

“Più che mai.”

Argo estrasse un piccolo disco nero, lo mise nel mio palmo e mi chiuse la mano. “Ascoltami, Kato. Se dovessi avere un qualsiasi problema – e dico qualsiasi – non esitare a usarlo.”

“Che cos’è?”

“Un localizzatore. Attivalo e ti raggiungerò subito” poi si fermò un istante e mi disse, serio: “Io ci sarò sempre per te, lo sai.”

“Grazie, ma ce la farò da solo.” risposi, invitandolo a uscire dall’abitacolo.

Argo mi chiese di portargli un po’ di sabbia del deserto per la sua clessidra, ma rifiutai: era vietato portare cose da fuori e non volevo correre il rischio di finire nei guai. Ci salutammo un’ultima volta dal finestrino e decollai. Girai la valvola e cominciai a sollevarmi sopra le Mura, ultimo baluardo di Baltica.

Sotto di me, la città si allontanava sempre più, mentre io continuavo a salire verso il cielo. Superai le dune che Argo mi aveva mostrato, e vidi ciò che si celava oltre il confine: una terra desolata, arsa dal sole. Nessun segno di vita, nessuna casa, niente. Era l’inferno.

Fu così che iniziò il viaggio che mi condusse da Overton.


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Grazie della tua attenzione, e spero di aver acceso in te il desiderio di proseguire la lettura.

Flavio

La Divina Avventura - Capitolo III

Vagavo per le strade illuminate di Baltica, cercando Luna. Sapevo che a quell’ora non l’avrei trovata a casa, così mi diressi verso la spiaggia. Percorsi la sabbia fine fino a scorgere Luna seduta sulla battigia, intenta a lanciare sassolini in acqua e a fissare la città degli Zero. La città in cui ora viveva anche Argo. Mi sedetti accanto a lei, pronto a condividere quel momento di malinconia. Sopra di noi, le stelle. Nel silenzio, attesi. Attesi finché non la sentii abbastanza serena per parlarle del futuro che speravo potesse essere nostro.

“Non puoi aspettare all’infinito qualcosa che non c’è più” dissi, “È tempo di andare avanti. Argo è uno Zero ora. E gli Zero non tornano a Baltica.”

“Dovresti essere grato che lui sia ancora là” rispose lei senza distogliere lo sguardo dalle luci della città nel mare, “Se io non fossi qui ad aspettarlo, probabilmente sarei già Trascesa in Eden. E tu saresti solo.” Così dicendo, lanciò il sasso che teneva in mano.

Il vento gelido mi sferzò le guance, mentre osservavo la luna che sorgeva dal mare.

“L’unica cosa che mi trattiene qui è la speranza che torni” continuò lei, “So che prima o poi ci rivedremo.”

Il suo amore per Argo era come un pugnale nel mio cuore, così cercai di cambiare argomento: “KS mi è apparso in Eden e mi ha promesso la perfezione.” Mi voltai verso di lei per leggerne il volto. “Vuole che trovi un ragazzo di nome Overton. Oltre le Mura di Baltica. Questo significa che non ci vedremo per un po’ di tempo.” Le presi la mano e dissi: “Diventerò perfetto, finalmente. Potremo Trascendere in Eden, Luna. Insieme. Ti prometto che ti aiuterò a dimenticare Argo.”

Luna si scurì nel sentire questa mia promessa: “Io non voglio dimenticarlo” disse con voce tremante, “Lo amo. Non voglio perdere i ricordi che ho di Argo.” Poi, esitò per un momento, come a valutare cosa significasse davvero avermi accanto per l’eternità. Quindi, con un lampo di decisione, mi fece una proposta: “Kato, se mi prometti di non cercare Overton, ti amerò fino alla tua morte.”

Risposi a quelle parole col silenzio, cercando di elaborare ciò che mi aveva appena detto. Avevo aspettato per tutta la vita quel momento. Perché me lo diceva solo ora? Lei amava Argo, non me. “Perché mi dici questo?” chiesi, ancora sbalordito dalle sue parole.

“Perché so quanto sei determinato nel raggiungere i tuoi obiettivi, Kato. Persino KS ha ceduto alle tue insistenti richieste. Questa tua determinazione mi spaventa. Temo che se Trascendessimo insieme in Eden, con l’eternità dalla tua parte e questa tua ostinazione, potresti davvero riuscire a farmi dimenticare Argo.”

“Quindi, se io rinunciassi alla Trascendenza, mi ameresti per tutta la vita?”

“Sì, lo farò.” disse Luna, annuendo decisa.

“Ma non sarebbe vero amore. Non a queste condizioni.” obiettai, ferito.

Mi strinse le mani per tentare di convincermi: “Kato, guardami. Ti prometto che ti amerò senza mai cedere. Ti accetterò per quello che sei. Rinuncia a partire, rinuncia a questo tuo folle desiderio di farmi dimenticare Argo e io ti amerò. Ti prego.” La sua voce vibrava di emozione.

Mi misi a riflettere; poi, sussurrai: “Se ti chiedessi di dirmi, in questo momento, che non ami Argo, lo faresti?”

Luna fece una pausa e ci pensò, poi scosse timidamente la testa, abbassando gli occhi. “No, non lo farei. Ma posso amarvi entrambi.” Distolse lo sguardo e si voltò verso le luci della città riflesse sul mare nero. Rimanemmo lì, insieme, a perderci nell’oscuro orizzonte, senza nulla da dire. Era chiaro che avrebbe sempre avuto Argo nel cuore. Non c’erano altre soluzioni per me: non ero disposto a condividere il mio amore per Luna. Non mi rimaneva che partire.

“Andrò alla ricerca di Overton, Luna. La tua offerta è generosa. Davvero. Ma non posso accettarla.” Mi rialzai a fatica, sfidando il peso dei miei anni e del mio dolore. “Non mi resta molto tempo e io voglio condividere con te l’eternità.” Notai nuove ombre addensarsi nei suoi occhi già neri. Tentai di consolarla. “Luna, ti prometto che il nostro idillio sarà perfetto.”

Mi fissò con gli occhi lucidi di lacrime: “Tu non sei mai riuscito a vedere nulla, oltre a te stesso. Tu non desideri il mio amore. Tu vuoi che per me non esista nulla all’infuori di te.”

Sordo a quelle parole, risposi asciugandole la lacrima che le scendeva lungo il viso. “Ti prego, non piangere. Vedrai che, con l’eternità davanti a noi, anche tu mi capirai. Ci lasceremo indietro ogni ricordo di questo mondo. Di questo mondo e soprattutto di Argo.”

Mi guardò, esterrefatta, spaventata da questa mia volontà incrollabile. Ci fu un attimo di sospensione nel quale mi fissò muta, colma di ansia per questa mia folle ossessione di conquista. Spezzò il silenzio e se ne andò.

La guardai allontanarsi, convinto che il tempo avrebbe aggiustato tutto.

La Divina Avventura - Capitolo II

Osservavo il firmamento notturno dalla finestra della mia abitazione, assalito dall’angoscia. Era notte e le luci di Baltica risplendevano sulle immacolate superfici bianche delle abitazioni e delle strade. Mi sentivo inquieto, temendo di aver dissipato la mia esistenza. Non riuscivo a restare immobile, vagavo sopra il tappeto della mia stanza vuota. Il pensiero di non poter raggiungere la perfezione mi tormentava. Intorno a me, tutti sembravano degni di indossare quella tunica bianca, emblema di purezza. Tutti tranne me.

Malgrado gli anni trascorsi ad inseguire la perfezione, il grigiore persisteva nella mia anima. Dovevo trovare una soluzione, ma ero perplesso. Pregavo, ma non bastava. Contemplai le abitazioni circostanti, piene di giovani adepti in tuniche bianche. Volsi nuovamente lo sguardo al cielo per sfuggire alla mia invidia, ma l’immensità del manto oscuro mi fece sentire ancor più minuscolo e irrilevante. Era come se tutti i miei sforzi e le mie preghiere non avessero alcun valore.

Cercando la serenità in Eden, chiusi gli occhi.

Il muschio sempreverde accolse le mie ginocchia, mentre l’eterno tramonto illuminava il promontorio. Pregai ancora una volta, ma senza troppe speranze. Troppo spesso avevo fallito, troppe volte avevo atteso che il silenzio si trasformasse in risposta. “KS, ti imploro, ascoltami…” dissi con voce velata. Inaspettatamente, una luce accecante apparve dinanzi a me. Quando i miei occhi si abituarono, scorsi il mio Dio. KS aveva la figura di un uomo slanciato, con lunghi capelli e una tunica talmente brillante da attenuare il crepuscolo. “KS!” esclamai alzandomi. “Sei tu!”

“Sì, Kato, caro amico.” rispose la mia divinità con gentilezza.

“Donami la perfezione!” dissi con passione.

“Kato, non posso elargirla così facilmente” si avvicinò, persuasivo, “Ma ho una prova per te. Per la tua fede.” Una foglia in volo si arrestò nell’aria, sospendendo il tempo e il mio respiro. “Trova un ragazzo di nome Overton. Riportalo a Baltica e rendilo perfetto. Riuscendovi, otterrai ciò che desideri.”

“Ma... uscire da Baltica significa affrontare il rischio di morire.” dissi con timore.

“Fidati della tua fede e accetta questa sfida. Scoprirai di cosa sei realmente capace.”

Avevo il cuore in tumulto e le mani sudate. Mai avevo abbandonato Baltica. Fuori dalle Mura della città si celavano solo insidie e morte. Ma KS mi stava offrendo un’opportunità unica: la certezza di raggiungere la perfezione se avessi superato la sua prova.

“E se decidessi di rifiutare?” chiesi con il fiato corto, percependo la crescente impazienza di KS.

“Se lo facessi, smetterei di ascoltare le tue preghiere” rispose, distogliendo lo sguardo, “perché significherebbe che la tua fede non è abbastanza forte.”

Temevo di parlare per paura di irritarlo, ma dovevo capire se la mia vita, fino a quel momento, avesse avuto un senso. “Per quale motivo, in tutti questi anni, non mi hai mai concesso la perfezione?” chiesi.

“Solo tu puoi rispondere a questa domanda” disse, “Siamo noi stessi la causa dei nostri problemi. Ti sto offrendo la possibilità di dimostrare il tuo valore: porta Overton a Baltica e rendilo perfetto.”

"Come può essere sopravvissuto fuori dalle mura?" chiesi.

"Non lo so" rispose, "Ma se è ancora vivo, sarà difficile renderlo perfetto. La vita, fuori da Baltica, l'avrà reso corrotto e violento."

“Allora perché, mio Dio, dovrei rischiare così tanto per lui?”

“Tutti devono avere la possibilità di migliorarsi, Kato. Anche se si trovano in una situazione difficile, come te. Se non ci riescono, sarà solo per loro colpa.”

Rimasi in silenzio a riflettere. Il vento riprese a soffiare insieme all’impazienza di KS.

“Kato, devi prendere una decisione. Devi capire cosa vuoi veramente.”

“Non lo so, maestro” risposi, sentendomi insicuro, “Ho paura.”

“La fede è abbracciare l’ignoto, Kato. La fede è la fine della paura.” Mi fissò negli occhi, come a valutare la mia devozione. “Vieni, c’è qualcosa che voglio mostrarti.”

Mi condusse in cima al promontorio e insieme osservammo la valle di foreste e laghi. “Questo Eden è il luogo del tuo desiderio” spiegò, “E potrebbe essere tuo per sempre. Ma se morirai imperfetto, lo sai, per te non ci sarà altro che l'oblio.”

“No, io voglio diventare perfetto, io voglio stare qui per sempre!”

“Allora accetta il cambiamento. Diventa il sole di mezzogiorno, ma anche la luna di mezzanotte. Quale migliore occasione per scoprire l’ignoto se non attraverso un viaggio?”

“Hai ragione” risposi deciso, “Partirò alla ricerca di Overton il prima possibile.”

KS sorrise, soddisfatto della mia scelta: “L’ultima volta che la madre di Overton è stata vista, fu sedici anni fa, nel deserto, a ottanta giorni da qui, verso sud. È una pista esile, ma è abbastanza per cominciare.”

“Farò del mio meglio, maestro” dissi, grato. Poi esitai. “Non ci vedremo più a meno che non porti Overton a Baltica, giusto?”

“Esatto” rispose lui, “Buona fortuna, Kato. Ti auguro di trovare ciò che stai cercando.” E poi, così com’era comparso, svanì.

Riaprii gli occhi e mi ritrovai nella stanza. Le stelle brillavano di nuova luce, come se fossero state accese solo in quel momento. KS mi aveva restituito un futuro in cui credere e la speranza di raggiungere la perfezione e vivere per sempre in Eden. Mi sentivo rinato, avevo i sensi affilati e la pelle vibrante. Presi il mio bastone e cominciai a passeggiare nella stanza euforico, seguendo la vetrata circolare. Il rumore dei miei passi riecheggiava nell’ambiente vuoto mentre acceleravo, pensando al futuro, alla mia Trascendenza. E soprattutto a Luna. Dovevo condividere con lei la mia gioia.

Uscii di casa, ansioso di parlarle.

La Divina Avventura - Capitolo I

Senza futuro, la mia mente viaggia solo all’indietro, controcorrente, alla ricerca di una risposta al perché della propria esistenza. Per quale motivo sono qui in questo mondo abbandonato? Come viole che sbocciano, siamo fiori solitari dal profumo inebriante, bellezze delicate dell’esistenza, esperienze effimere che appassiranno alla fine dei loro giorni.

***

Ero in ginocchio in cima al promontorio roccioso che sovrastava una valle lussureggiante, bagnata dall’eterno tramonto. Vicino a me sorgeva la fonte di un ruscello, che irrigava la foresta con fiumi e laghi ambrati. L’orizzonte era cinto da montagne dalle dorsali innevate. Contemplando l’Eden, gustando l’effimera beatitudine sopra un tappeto di morbido muschio, a occhi chiusi e mani giunte, pregavo KS, dio di Baltica. Avevo dedicato tutta la mia vita a seguire le sue regole per diventare perfetto, perché chi non raggiungeva la perfezione, a Baltica, era destinato a morire nell’oblio. E ora che stavo invecchiando e la morte si avvicinava, temevo di non avere più abbastanza tempo.

Baltica era un luogo severo, ma chi raggiungeva la perfezione si guadagnava il diritto di Trascendere, di vivere per sempre in Eden. E io non desideravo altro. Ma nonostante le mie preghiere, il mio Dio non rispondeva.

Avvolto dall’odore del muschio, beato nello sconforto, rimasi aggrappato alla speranza di un suo segno. Non potevo perdere la fede, soprattutto adesso che ne avevo bisogno più che mai. Nel silenzio, sentii la voce di Luna che mi chiamava.

Aprii gli occhi. Ero tornato a Baltica, sotto l'ultimo Salice.

“Kato, perdonami se ti ho interrotto durante la contemplazione, ma i discepoli hanno bisogno del tuo aiuto. Non riescono a desiderare e non conosco nessuno più bravo di te per insegnarglielo.”

A parlare era Luna, con i suoi capelli grigi e crespi mossi dal vento del mare, immersa tra le fronde. L’aria salmastra e il secco tepore del sole non erano paragonabili con la beatitudine dell’Eden, ma nonostante questo, mentre la guardavo, mi resi conto che, anche se il mio amore non era corrisposto, ero felice di essere lì con lei.

Mi chiesi se fosse il caso di aiutarla o se fosse più saggio tornare a pregare per la mia perfezione. Ai tempi, vivevo nella paura di non pregare mai abbastanza, di non dimostrare mai abbastanza la mia devozione a KS. Eppure, il mio cuore mi spingeva a desiderare l’affetto di Luna.

Uscii dall’ombra dell’Ultimo Salice in cerca di ispirazione. Il sole di mezzogiorno era velato da una coltre di nuvole così chiare da bruciare gli occhi. Guardai la miriade di case cilindriche dalle pareti trasparenti, costruzioni bianche e luminose, come se fossero fatte di cristallo.

Come erano pacifiche le strade di Baltica… Lunghe e bianche, e tutte portavano alla spiaggia.

Dovevo fare una scelta. Tornare in Eden o compiacere Luna? Amare il mio Dio o la donna che desideravo? Luna era l’unica cosa che veramente importasse. Volevo raggiungere la perfezione per poter trascorrere l’eternità insieme a lei e speravo che, con le parole adatte, sarei riuscito a farla innamorare di me.

“Andiamo.” dissi, e scendemmo la collina insieme, chiacchierando. Luna aveva un’aria seria, con rughe quasi impercettibili sulla pelle nera e un seno prosperoso sotto la tunica perfettamente bianca.

“Il tempo è stato gentile con te, Luna” dissi, “Ha levigato la tua anima fino a renderla perfetta. Sei un tesoro prezioso.”

Mi sorrise: “Grazie, Kato. Sei tu ad essere sempre gentile con me.”

Arrivammo sotto la grande cupola del Foro, sorretta da colonne eleganti che ne definivano la circonferenza. Al centro, i giovani discepoli riuniti avevano un’aria preoccupata.

“Cosa è successo?” chiesi.

“Come ogni giorno, ci siamo incontrati qui per contemplare e desiderare” rispose uno di loro, “Ma quando è arrivato il momento, nessuno è stato in grado di fare apparire la perla.”

Mi avvicinai, incuriosito: “Ognuno di voi ha provato a desiderarla?”

Tutti risposero di sì. Guardai Luna, che mi sorrise, dandomi la forza di insegnare. Speravo che, se fossi stato bravo, lei avrebbe apprezzato il mio aiuto. E tutto ciò che volevo era il suo amore.

“Perché non siete stati in grado di desiderare?” chiesi ai miei allievi.

“Non sappiamo dove trovare il desiderio.” risposero.

“Dove pensate che si trovi?”

“Nel cuore.” disse uno.

“No”, risposi, “Il desiderio nasce dalle profondità dell’anima, dalle nostre più intime paure e speranze. È la forza che ci spinge a cercare la perfezione e a superare i nostri limiti. Se non siamo in grado di desiderare, significa che non siamo in sintonia con noi stessi e con ciò che ci rende veramente felici. Solo così potremo un giorno Trascendere in Eden.”

Ero uno degli ultimi anziani di Baltica, appartenente ad una generazione ancora capace di desiderare. Era mio compito mostrare loro come si faceva. “Fatemi spazio” dissi, avvicinandomi al tavolo circolare, illuminato dalla luce verticale che scendeva dalla cupola. Posai il palmo della mia mano vecchia e scura sulla superficie liscia del tavolo, mentre tutti i discepoli mi guardavano. Chiusi gli occhi e desiderai la perla, focalizzandola nella mia mente: bianca, sferica, perfetta. Apparve sul tavolo. I discepoli applaudirono, riempiendomi di orgoglio. La presi e la misi sotto la lingua, assaporandola. Nutrimento del corpo e dell’anima. Mi voltai verso Luna in cerca di conforto e amore. Mi accarezzò la guancia.

Stavo per concludere la mia lezione quando mi resi conto che tutti i discepoli avevano la tunica bianca, mentre la mia era grigia. Segno inconfondibile di imperfezione. “Perché siete tutti più perfetti di me?” dissi ad alta voce, sentendo la vergogna crescere. “Come posso impartire lezioni se sono l’esempio stesso del fallimento?” Abbassai gli occhi, affranto.

“Anche se sei imperfetto, Kato…” rispose Luna, posandomi una mano sulla spalla, “…sei un vero amico. Grazie per quello che ci hai insegnato.”

Con un ultimo sospiro, mi voltai e me ne andai, lasciando dietro di me una scia di dubbi e incertezze.

Come i fallimenti mi hanno portato a vedere il futuro con gioia.

"Fallire è la prerogativa dei migliori." Avete mai sentito questa frase?

Il successo nasce dagli errori. E non uno. Nemmeno dieci, ma innumerevoli: bisogna fallire finché non si coglie la corretta via. E questa potrebbe essere dietro l'angolo oppure oltre l'orizzonte. Attraverso i fallimenti impariamo a progredire e progredendo, impariamo a gestire le sconfitte, finché un giorno, dopo aver esplorato ogni possibilità, ci si trova a volare. La strada della conoscenza è un sentiero costellato di esperienze non andate a buon fine, poiché l'esperienza stessa altro non è che l'equilibrio tra l'informazione acquisita e il tentativo di applicarla, in un eterno ciclo di feedback.

Lasciate che vi racconti la mia vita.

É stata una serie di tentativi e fallimenti, in gran parte artistici. Iniziai a suonare il violino a 8 anni e smisi a 12, quando mi confrontai con una giovane prodigio che schiacciò, con il suo talento, ogni mia velleità "Paganiniana". A lenire il dolore ci pensò il mio primo computer, regalatomi da mio padre, un informatico nell'era degli anni '80. Arrivato in collegio, intrapresi la chitarra, ma non riuscii ad eccellere nemmeno lì. Strimpellavo. A scuola non brillavo, anzi, mi hanno addirittura bocciato. Poi, una volta tornato in Italia, intrapresi gli studi in informatica all'università, ma anche lì, il percorso non mi si addiceva. Fu allora che scoprii il teatro, dove trovai una certa facilità nel fare ciò che mi veniva richiesto con risultati più che discreti.

Dopo aver messo da parte qualche soldo lavorando per l'ex marito di mia sorella come cameriere durante l'estate, produssi il mio primo spettacolo teatrale, che, pur andando in perdita, mi aprì le porte della regia al Teatro Stabile di Genova. Li scrissi e diressi altri tre spettacoli, l'ultimo dei quali fu talmente controverso da offendere così tanti che mi fu chiaro che quello non era più il posto per me. Andai a Roma dove girai film famosi e serie tv popolari. Spesi i soldi guadagnati per dirigere tre film indipendenti, che potete vedere gratuitamente sul mio sito QUI. Non guadagnai nulla, se non sicurezza e conoscenza.

Poi, non avendo trovato nessuno disposto a investire in me, decisi di investire tutto ciò che mi rimaneva in un progetto audace: un videogioco in realtà virtuale. Fortunatamente, trovai persone competenti con cui fondai "Untold Games", che ora è una delle più importanti realtà di gaming in Italia.

Oggi, come molti di voi sanno, ho deciso di cimentarmi nella scrittura di romanzi - e non solo - visto che mi pubblico da solo. Insomma, non smetto di cercare i muri dove sbattere la testa!

Guardandomi indietro, vedo una strada costellata di fallimenti, sì, ma vedo anche lezioni di vita inestimabili, vedo la gioia di seguire le mie passioni, e ricordo amici che non vedo più ma che sono e saranno per sempre nel mio cuore. Non importa quanto sia difficile perseguire i propri sogni, farlo è un'avventura degna di essere vissuta.

Recentemente ho avuto una conversazione con un mio amico che, dopo aver venduto la sua azienda per una somma straordinaria, a cena mi confidò: "Flavio, non so cosa fare ora." In effetti, mi chiedevo anch'io: cosa fai quando hai la possibilità di fare qualsiasi cosa, ma ti sembra di non avere più niente da fare? Gli risposi: "Ricorda quello che desideravi fare da bambino e fai proprio quello." Sorrise, e ancora oggi, quando ci incontriamo, mi ringrazia per quel consiglio.

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Scopri Dove si Nasconde Davvero l'Ispirazione: Segreti e Tecniche di un Attore

"Dove risiede l'ispirazione?"

Ricordo il mio primo anno di recitazione presso la Scuola di Genova. Ci venne affidato l'incarico di apprendere un testo a scelta tra tre opzioni: un estratto di un libro, una favola e un testo legale. Mi toccò un passaggio del "Mein Kampf", un estratto difficile che richiedeva un'intensa energia per essere declamato. Lì, dovevo interpretare le deliranti idee di Hitler sulla gioventù sportiva.

Un giorno, salii sul palco e, prima di iniziare, attesi. Diversi secondi trascorsero prima che la mia insegnante mi esortasse: "Cosa stai facendo? Stai aspettando l'ispirazione? Devi recitare." Ancora oggi quelle parole echeggiano in me come un monito. Certo, serve l'ispirazione, ma bisogna anche agire, agire e ancora agire. Niente genera più ispirazione dell'atto di creare. È una sfida agonistica, il sudore dell'anima, la mente che si riscalda fino a incendiare i pensieri, dimenticando i propri problemi per accedere a quel misterioso luogo dove nascono le idee.

Non è tanto una questione di dove si trova l'ispirazione, ma piuttosto di come la si cerca. Credo che si trovi nell'atto, nel gesto. Ogni arte ha il suo gesto, strettamente legato al suo strumento. La parola per l'attore, La penna o la tastiera per lo scrittore. Lo strumento musicale per i musicisti, il disegno per l'architetto e così via.

Un altro elemento fondamentale è: "Non fidatevi dei pensieri generati in una stanza chiusa." Non potrei essere più d'accordo. Camminare all'aria aperta, con il mondo che scorre al ritmo dei nostri passi, è un incredibile stimolo per la creatività. Camminare favorisce la circolazione del sangue, in modo più dolce e organico rispetto all'esercizio in palestra. Ci permette di interagire con il mondo che ci passa davanti. Da piccolo mi divertivo a immaginare che non ero io a camminare, ma il mondo sotto di me a ruotare. Amo camminare, come mia nonna che lo ha fatto fino a quando le è stato possibile. Più invecchio, più noto che le persone longeve sono solitamente grandi camminatori. Non credo sia una coincidenza.

Camminare era una prerogativa anche degli antichi greci, maestri di filosofia, etica e morale. I "Peripatetici", studenti di Aristotele, erano così chiamati perché il filosofo insegnava mentre camminava nel portico del Liceo, la scuola da lui fondata ad Atene. I filosofi erano grandi camminatori, ed è comprensibile, perché è camminando che arrivano le idee migliori.

Un'altra fonte di ispirazione sono le persone che ci sono vicine, che conosciamo bene e che possono guidarci o servire da esempio. Vi rivelerò un segreto: ho sempre "studiato" i miei genitori in tutto. Volevo capire in cosa eccellevano e in cosa avrei potuto migliorare rispetto a loro, magari evitando i loro errori o le loro distrazioni. I nostri modelli, che siano i genitori, persone famose, amici, rappresentano una grande fonte di ispirazione.

Infine, ci siamo noi stessi a fungere da fonte di ispirazione. Tuttavia, questo è un tema che potrebbe generare un intenso dibattito. Credo che, crescendo e avvicinandoci alla fine della nostra esistenza, abbiamo via via l'opportunità di diventare il riferimento per noi stessi, ma si tratta di un percorso lungo e graduale che non può - e non deve - escludere il mondo esterno.

A volte, mi guardo allo specchio e quasi non mi riconosco, perché è da tanto che non mi osservo veramente. Notando una ruga, un sorriso, un volto più scavato, mi viene da ridere. Mi chiedo: chi è davvero quella persona che vedo di fronte a me?

Spero di non scoprirlo mai del tutto, per avere sempre l'opportunità di incontrare me stesso ogni tanto e chiedermi come sto.

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La Verità Nascosta dietro il Successo dei Grandi Artisti: L'Attribuzione

Nell'arte, abbiamo due attori protagonisti: l'artista che, con la sua abilità, manifesta una opinione, un enigma, una disputa, una soluzione, una trama; e lo spettatore, che guarda, valuta, critica, adora e detesta.

Il legame tra questi due soggetti è incredibilmente avvincente. Durante il mio periodo di formazione presso la scuola del teatro di Genova, il mio mentore - uno dei migliori della sua generazione - Massimo Mesciulam, aveva l'abitudine di discorrere di "attribuzione".

Mentre mi preparavo per recitare una scena, mi ribadiva l'importanza dell'attribuzione. Per illustrarlo, faceva riferimento alla scena dell'Agamennone di Eschilo.

L'entrata in scena del protagonista, figura di immenso prestigio e carisma, doveva rispecchiare la sua potenza, pressoché divina. Ma come può un attore "mostrare una forza quasi divina" senza diventare ridicolo? Ve lo dico io: non può. Perché anche una figura imponente come "The Rock", muscoloso e coperto di tatuaggi, apparirebbe comica nello sforzarsi di mostrare potenza. Qui, l'attribuzione viene in nostro soccorso. In questo specifico contesto, significava trovare un modo per far sì che tutti attribuissero all'attore che interpretava Agamennone quella potenza divina. Così, il peso di quella presenza non risiedeva più nelle mani dell'attore, ma in quelle di tutti coloro che lo circondavano. In base al comportamento degli altri, lo spettatore avrebbe attribuito ad Agamennone tale forza. Perché se tutti evitano di guardarlo negli occhi, abbassano il capo e la voce diventa più flebile quando gli parlano, è evidente che quest'uomo, Agamennone, è un uomo da temere.

Una lezione simile l'ho appresa durante la mia esperienza come assistente alla regia con M. Langhoff, un rinomato regista tedesco. Mi illustrò che, nelle scene di combattimento, il lavoro più impegnativo non è di chi attacca, ma di chi viene colpito. Perché è la vittima a rendere la violenza "reale" nella sua finzione. Anche in questo caso, l'attribuzione della forza era nelle mani di un altro.

Ma la vera magia dell'attribuzione si verifica nella fantasia dello spettatore. L'arte è un dialogo tra l'artista e lo spettatore, dicevamo. Se l'artista espone tutto in modo esplicito, esibendo ogni piccolo dettaglio, ogni imperfezione, ogni desiderio, è come se stesse monopolizzando la conversazione. È come un monologo, un tedioso soliloquio in cui esalta se stesso... Ma se invece lascia un vuoto, un'apertura, cosa accade? Avviene quello che si verifica nei migliori libri, film e brani musicali. Lo spettatore, attraverso la propria immaginazione, utilizza questo spazio vuoto per proiettare sé stesso, per attribuire significati. In questo modo, lo spettatore si trasforma in un artista, e si innesta il meraviglioso processo dei neuroni specchio, della capacità di immedesimarsi in quel personaggio, in quelle parole, in quella melodia. È su questo confine, a mio avviso, che risiede l'arte. Siamo tutti discendenti degli stessi antenati, condividiamo molti aspetti, e al tempo stesso ne possediamo di unici e distintivi. Quando riusciamo a creare un dialogo tra anime che permette sia l'unione di ciò che ci accomuna sia l'evoluzione di ciò che ci rende unici, produciamo una conversazione che arricchisce il mondo dell'artista e quello dello spettatore.

Come affermava la mia direttrice della scuola: "la recitazione è relazione." Io andrei oltre, affermando che l'arte, nella sua essenza, è relazione. E la bellezza è un territorio misterioso, dove l'unicità si lega all'archetipo. Dove l'inconscio collettivo si manifesta nell'individuo singolo, atipico, unico, imperfetto. Proprio come tutti i suoi simili.

Come dicono gli anglossassoni: "Beauty is in the eye of the beholder".

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Come trasformare la propria vita in un'opera d'arte: verità non raccontate

La questione dell'arte. Mi chiedono spesso cosa direi a un giovane aspirante attore per aiutarlo. Questa richiesta porta però con sé un peso, perché in un certo senso, una risposta diretta può indirizzare quella persona lungo un percorso difficile. Quindi, invece di elencare i requisiti per essere un attore o un artista, parlerò del mio personale viaggio in questa professione.

Sin dall'inizio, sono stato abituato al cambiamento. In parte per necessità, cambiando scuola ogni tre anni, e in parte per l'educazione ricevuta. Ho viaggiato molto, i miei genitori mi hanno portato in posti meravigliosi come il Senegal, la Giordania, il Marocco. Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, si sono messi in auto per scoprire quell'Europa che ancora non si era omologata alla cultura occidentale. Durante la guerra in Iugoslavia, trascorrevamo le estati in Croazia. I miei genitori sono due avventurieri che mi hanno instillato l'amore per la diversità.

Da piccolo, ero un buon studente a scuola, ma con il tempo, forse a causa di questi cambiamenti continui, sono diventato quello del banco in fondo, critico, autonomo, mediamente bravo pur senza studiare. Non certo un modello da seguire, ma questo atteggiamento mi ha avvicinato a nuove passioni. Alcune positive, altre meno. Ma l'arte era già nelle mie vene. Volevo essere parte dello spettacolo di fine anno della scuola, e poi decisi che il mio destino era creare videogiochi, quello che per me è la più grande forma d'arte contemporanea.

Tuttavia, quando sono tornato in Italia, ho dovuto fare i conti con la realtà dell'università italiana, priva di pratica e applicazione. Così, esame dopo esame, ho realizzato che l'informatica non mi avrebbe portato dove volevo. Ma ho scoperto la recitazione, e l'arte, ancora una volta, mi chiamò.

Sono un mix tra Forrest Gump e James Dean. Ho seguito le mie passioni, con la sana follia e leggerezza di chi non ha responsabilità. Ma c'è una cosa che mi ha aiutato, soprattutto all'inizio: non ho mai fatto debiti. Questo mi ha permesso una grande flessibilità, cosa che l'arte richiede.

Spendi i soldi in modo preciso: investi in strumenti del tuo lavoro creativo, evita gli sprechi. Compra un buon computer, una macchina fotografica, libri su sceneggiatura, regia, recitazione, storyboard, e poi altri libri ancora. Spendi per imparare, mai per consumare.

Ricorda che la parola "tecnologia" deriva da "teknè", che significa arte. Gli strumenti, per qualsiasi artista, sono cruciali. Ogni percorso artistico è unico. Ogni vita è una storia a sé. Le regole di condotta si sanno inconsciamente, ma le ribadirò: Ama te stesso e richiedi rispetto. Circondati di persone che ti migliorano. E vivi questa avventura con un pizzico di follia, una generosa dose di disciplina, e affina la tua mente e i tuoi strumenti per brillare come un diamante appena tagliato.

Ricorda: l'arte non è una destinazione, ma un viaggio. Una danza intricata tra chi sei e chi desideri diventare. È la tua storia unica che rende il tuo percorso artistico inimitabile.

Quindi, se sei un giovane che sogna di diventare un artista, la mia raccomandazione non è tanto su cosa devi fare, ma piuttosto su come devi essere. Sii curioso, sii appassionato, sii aperto al mondo e alle sue molteplici sfaccettature. Permetti alla tua arte di evolvere con te, perché alla fine, l'arte che crei è un riflesso di te stesso.

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Forma vs sostanza: l'eterno dilemma dell'artista - un compromesso possibile?

Oggi mi soffermerò sull'abissale conflitto in cui la nostra società ci immerge quotidianamente: "la forma o la sostanza"?

Questa tematica non è confinata alla nostra società, ma sembra essere un leitmotiv che assilla l'artista sin "dalla notte dei tempi", come recita l'evocativo cliché.

Forma e Sostanza. Questo enigma esistenziale assilla ogni artista. Quando prevale la forma e quando la sostanza? Conta di più la copertina del libro oppure il suo contenuto?

"Il contenuto!" potreste rispondere. Ma se nessuno sfoglia quel libro, quel contenuto è come se non esistesse. Se nessuno compra il libro, l'autore non potrà godere del trionfo della sua arte e neanche riempire la sua tavola di cibo. Questo lo condurrà, inevitabilmente, a cercare altre praterie in cui essere accolto, come lavorare alle poste, come accadde a H. Melville dopo aver composto Moby Dick. Infatti, sappiate che l'autore del più importante romanzo moderno americano cessò di scrivere dopo che il suo libro fu bollato come mediocre dai critici dell'epoca e non conquistò il favore dei lettori. Solo un secolo dopo, il libro fu ristampato e ottenne l'enorme successo che lo pone, ancora oggi, tra i bestseller annuali.

Se Melville avesse adottato una forma differente, avrebbe forse avuto successo? Ma se si fosse piegato alle regole del mercato, forse non avrebbe scritto quel capolavoro. Forse avrebbe prodotto quello che tutti gli altri suoi coevi scrivevano, risultando "uno fra tanti."

Insomma, l'aderenza artistica rappresenta un autentico dilemma. Un artista che rimane totalmente indipendente corre il rischio serio di non riuscire a vivere della sua arte, e un artista che invece aderisce alle regole del mercato, rischia di non essere autenticamente un artista, ma un copista, un impiegato a tempo indeterminato. Esistono compromessi? C'è un modo per far convivere entrambe le cose?

Forse sì. Molti artisti svolgevano due lavori. Uno per "guadagnarsi il pane" e uno per "Dialogare con l'eternità". Mantenevano questi due impieghi separati, quasi ermeticamente, in modo che uno non inquinasse l'altro. Almeno, ci provavano, ma non tutti ci riuscivano. Sicuramente, molti di loro conducevano una vita difficile, perché in fondo, l'anima romantica dell'artista lo permea in ogni sua cellula, e la mancanza di riconoscimento non può che condurlo alla frustrazione, a quel dubbio terribile di essere, come sottolineavo in un'altra pagina del Diario, "un impostore".

Ci saranno quelli che sostengono che l'arte risiede dove c'è commercio, e non posso dire che sbaglino. Molti grandi movimenti artistici furono legati a un successo commerciale, basta pensare al fastoso teatro del 1600/1700, epoca aurea della drammaturgia, che ci ha donato i Shakespeare, i Molière e i Lope de Vega. In quel periodo c'erano più drammaturghi che panettieri, (si fa per dire), e quindi, per una pura questione di statistica, i migliori erano davvero "migliori". L'abbondanza genera qualità, in un certo senso. La sopravvivenza del più forte. La legge della natura applicata all'arte.

Ma ci sono anche le "pecore nere", coloro che hanno lasciato il segno nella nostra storia senza essere minimamente riconosciuti durante la loro vita. Kafka è l'esempio più evidente. Addirittura scrittore postumo. Ma come Kafka, molti pittori, musicisti. Mozart fu sepolto in una fossa comune. Immaginate, Mozart.

Cosa significa tutto ciò? Non lo so. Non ho risposte a questa domanda. Credo che ognuno di noi si confronti con la propria etica, morale. I propri desideri. E non credo che ci siano desideri più giusti o meno giusti. C'è chi aspira al successo. Chi invece vuole perseguire la verità a ogni costo. Chi è convinto di qualcosa di cui nessun altro è convinto. Chi ha ragione e chi ha torto.

Concluderò con un altro esempio straordinario: Ignaz Semmelweis, un medico ungherese del XIX secolo. Celebre per aver proposto che i medici dovrebbero lavarsi le mani prima di assistere le donne durante il parto per prevenire la febbre puerperale. Questa era una malattia mortale che colpiva molte donne dopo il parto. Le teorie di Semmelweis furono largamente ignorate o respinte dai suoi contemporanei, che non compresero il nesso tra igiene e infezione, dal momento che i germi e i batteri non erano ancora stati scoperti.

Semmelweis cadde in disgrazia nella comunità medica e, alla fine della sua vita, fu ricoverato in un manicomio dove morì in circostanze misteriose.

Solo dopo la sua morte, e con la scoperta dei germi da parte di Louis Pasteur e Robert Koch, il suo contributo alla medicina fu riconosciuto e apprezzato.

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La favola di Gianni: alla scoperta delle porte piccole

Lasciate che vi narri la storia di Gianni, un bimbo con i riccioli aurei, ancora abbastanza piccolo da essere cullato tra le braccia dei suoi genitori quando il sonno lo assaliva. Gianni, durante le lezioni scolastiche, ascoltava la voce della sua entusiasta maestra, ma non ne decifrava completamente il significato. Lei gli aveva detto: "Ricorda, Gianni, nella vita esistono porte piccole e porte grandi. Le porte grandi accolgono un gran numero di persone, mentre quelle piccole, al contrario, ne accolgono poche. Scegli la porta piccola e scoprirai il mondo."
Gianni proseguì la sua esistenza con la sua solita allegria e leggerezza, dimenticando queste parole sagge e criptiche della maestra. Tuttavia, il seme piantato nel suo cuore cominciò a germogliare durante i suoi anni del liceo, quando Gianni, probabilmente guidato da quella frase dell'insegnante, iniziò a riflettere in maniera autonoma. Quando avvertiva che tutti erano in accordo su un argomento, in modo quasi istintivo, Gianni cercava la porta piccola, quell'opinione che nessuno condivideva o conosceva. Stimolato dalla curiosità, Gianni si avventurava nelle intricate vie del mondo, alla scoperta dell'invisibile, dell'ineffabile. Questa ricerca lo riempiva di gioia, poiché lentamente Gianni comprendeva che la verità non è sempre quella che ti fanno credere, che ciò che è considerato "giusto" o "sbagliato" non si trova necessariamente dietro la porta grande. Al contrario, spesso si trovava dietro la porta piccola con la realizzazione che, in un certo modo, il mondo stava cercando di ingannarlo.
"Perché?" si chiedeva Gianni. "Perché dalla porta grande continuano a giungere messaggi pacifici, uniformi, accomodanti, ma spesso ingannevoli?" Gianni non riusciva a trovare una risposta. "Perché la gente, come un gregge privo d'anima, si riversa in quel portone senza fare una piega, senza mettere in dubbio nulla?" Queste riflessioni tormentavano Gianni, che ora, trasformatosi in un giovane adulto, aveva fatto della sua passione il suo mestiere, proprio grazie alle sue decisioni.
"Non potrai mai vivere decentemente con la passione! La passione non mette il cibo sulla tavola! Trova un vero lavoro, come gli altri!" Questo è quello che gli dicevano coloro che sceglievano la porta grande. Ma Gianni, invece, aveva fatto un tesoro della sua passione. L'aveva nutrita con amore, l'aveva sviluppata con orgoglio. E da quel piccolo seme che era la sua arte, crebbe un albero sempre più prezioso, sempre più unico. Un albero che, ad un certo punto, quando Gianni divenne un uomo maturo, fu esibito proprio nella sala della porta grande.
Grande fu lo stupore di Gianni quando tutti quelli che prima lo ignoravano, ora lo acclamavano. Gianni si ritrovò un uomo apprezzato, un "maestro", come si dice.
Potreste pensare che Gianni, dopo una vita di solitudine, accompagnato solo da rare connessioni con anime affini (quelle che come lui sceglievano la porta piccola), ora avrebbe trovato la felicità. Ora che finalmente aveva raggiunto il successo, finalmente sarebbe stato felice.
Ma il successo, come suggerisce la parola stessa, è qualcosa che è già "successo". Il successo appartiene al passato, è dietro di noi, dietro a Gianni. E così, Gianni, solo in mezzo alla folla, con lo sguardo lucido di fronte alle espressioni emozionate dei suoi ammiratori, si rese conto di aver percorso anche lui la via della porta grande.
Fu pervaso da una tristezza profonda, sentì di aver fallito nel suo ruolo di pioniere, di guardiano del nuovo, dell'ignoto. Era un albero maestoso, e ora era questo il suo destino? Era venuto il momento di accontentarsi? Era venuto il momento di fermarsi e di gioire, finalmente, di quella porta larga e comoda che accoglieva chiunque?
Gianni sapeva che se fosse rimasto immobile lì, in mezzo alla folla che lo acclamava, sarebbe presto diventato l'ombra di se stesso. La vita lo avrebbe superato. Sarebbe diventato obsoleto. No, non poteva permetterlo.
E così Gianni, con la schiena curva e i capelli ormai ingrigiti dal tempo si allontanò silenziosamente dalla sala in cui tutti lo ammiravano. Salutò i suoi amici con discrezione e annunciò che non sarebbe tornato, ma che, se avessero deciso un giorno di varcare la porta stretta, lui li avrebbe accolti con amore e gioia.
E fu così che Gianni scomparve, lasciando dietro di sé scintille di meraviglia.

Chi sono: riflessioni di un esistenzialista sulla propria identità e la fortuna di essere vivi.

"Chi sono?" Vi siete mai fatti questa domanda? Io lo faccio costantemente. Sono un esistenzialista nell'anima. Quando scrivo, è come se lentamente mi guardassi allo specchio e la mia immagine diventasse sempre più chiara. Le mie paure inconsce e i miei desideri emergono dalla scrittura e grazie a voi che mi leggete e ai vostri commenti, diventano evidenti. Riflettendo su ciò che scrivete, ho riconosciuto alcuni temi ricorrenti nei miei pensieri e nelle mie parole: la fuga, la sensazione di non appartenere. Costruisco la mia casa con i mattoni che mi fornite voi, con i vostri commenti.

Pensando alla mia inarrestabile ricerca di qualcosa di diverso, ho cercato di capire perché sono fatto così. Chi sono?

La mia infanzia è stata colma d'amore da parte dei miei genitori, ma anche piuttosto movimentata. Ho viaggiato molto, cambiato scuole più volte di quante  un bambino possa contare sulle dita. E quando le dita non bastano più, è doloroso, perché ci si sente soli. Ci si crea un mondo personale, si trova rifugio nei libri e nei videogiochi, si teme l'altro, non per diffidenza, ma per paura che anche quella persona, prima o poi, finirà nell'album di ricordi di viaggio. Sono cresciuto vagabondo. Mi paragonerei a una "pianta in un vaso" , senza radici nel terreno. Il vantaggio è che, spostandosi da un terrazzo all'altro, si possono ammirare diversi tramonti, esperire soli di diverse intensità, piogge forti o leggere. Si gusta la diversità del mondo. Ma le radici rimangono nel vaso, non si connettono a quelle delle altre piante intorno. Si cresce forti e rigogliosi, ma soli.

Ognuno di noi ha la vita che gli è stata assegnata. Ieri ho ricevuto un'email molto toccante da una signora che mi segue. Descriveva la sua situazione difficile. Molto difficile. Mi ha stretto il cuore. Non avendo parole o soluzioni da offrire, le ho scritto un breve messaggio di incoraggiamento. Mi sono sentito così superficiale nel confortare una persona che potrebbe avere il doppio della mia età. Chi sono io per dire "Andiamo" o "La vita è bella", quando della vita ho conosciuto principalmente la fortuna? Certo, conosco i miei angoli bui, ma a volte penso che siano fin troppo illuminati.

Sì, sono fortunato.

Tuttavia, se riusciamo a guardare oltre noi stessi, siamo tutti fortunati. Siamo fortunati a vivere in Italia, o meglio, in Europa. Un paese che non ha vissuto una guerra per quasi 80 anni. Un paese che aiuta chi è in difficoltà, che accetta diverse fedi religiose, agnostici, atei. Un paese con una storia millenaria. Siamo fortunati a essere nati qui. Ma se allarghiamo ulteriormente la nostra visione, siamo fortunati semplicemente a essere vivi. Il processo di fecondazione che chiamiamo "amore" è un campo di battaglia. Per la nascita di ciascuno di noi, milioni di spermatozoi hanno incontrato un destino negato. Solo uno ha trionfato. Uno solo. Siamo i vincitori della lotteria della vita. E per questo, dovremmo essere grati per le sofferenze, le delusioni, le gioie, i ricordi e tutto ciò che il tempo e lo spazio ci donano incessantemente.

La mia esistenza è un mosaico di luoghi, persone e esperienze. Tutti pezzi unici che insieme creano il quadro della mia vita. C'è tristezza e gioia, solitudine e compagnia, ma attraverso tutto, c'è la scrittura. Il mio specchio, il mio rifugio e il mio mezzo per esplorare chi sono.

È un viaggio costante alla scoperta di noi stessi, e ogni giorno è una nuova opportunità per leggere e scrivere la propria vita. Quindi non smettiamo di farci domande, di cercare risposte, di riflettere sulla vita e sulle esperienze. Continuiamo a viaggiare, a sperimentare, e  a imparare.

Alla prossima pagina

Il Paradiso delle Signore: fitting costumi e progetti imminenti

Tra poco, precisamente martedì, mi aspetta l'atteso fitting dei costumi per "Il Paradiso delle Signore". Dopo aver terminato le riprese a fine gennaio 2023, il periodo da gennaio a maggio è stato intenso e proficuo. Ho avuto modo di lavorare su molteplici progetti: l'implementazione di un nuovo sito web, la creazione di questo audio blog, il completamento della "Divina Avventura" e  la creazione di una campagna pubblicitaria per annunciare la mia nuova carriera. Ho anche girato un film per la TV con Cristiana Capotondi su Margherita Hack. Fortunatamente, sono riuscito a fare molto.

Ieri ho anche terminato la stesura del "trattamento" per il mio prossimo libro. Un trattamento è un documento dettagliato che descrive gli eventi di ogni capitolo del libro. In questo caso, sono 18 pagine di "sintesi" che però contengono l'essenza di ciò che verrà sviluppato, dalla psicologia dei personaggi, ai loro archi narrativi, ai luoghi e agli eventi. Insomma, è la "trama" del romanzo. Era fondamentale terminare questo documento prima di tornare sul set del "Paradiso delle Signore".

Questa è una foto della prima pagina, del primo pdf che ho ricevuto per la prossima stagione de "Il paradiso delle signore". Si comincia!

Recitare ne "Il Paradiso delle Signore" è un'impresa impegnativa. Ci sono giornate in cui dobbiamo preparare 8/9 scene a memoria, un lavoro che richiede una preparazione mnemonica intensa. L'anno scorso, mi sono prefisso l'obiettivo di arrivare sul set sapendo tutte le mie scene a memoria, senza improvvisazioni. Il mio personaggio, Tancredi, è ricco di sfaccettature, preciso, dotato di un'eccellente dialettica e di una psicologia complessa ma chiara e coerente. Sono molto soddisfatto del risultato, e nonostante sia un personaggio negativo, sono entusiasta di interpretarlo nuovamente quest'anno e di scoprire insieme agli autori cosa succederà.

Martedì prossimo, dunque, ci sarà la prova costumi, l'occasione per vedere i vestiti, i colori selezionati e gli oggetti che il mio personaggio avrà con sé. Mi farebbe piacere ascoltare i vostri suggerimenti: quali colori vi piacerebbe vedere su Tancredi? C'è un abito o un'immagine che vorreste condividere con me? Prometto di portarli al costumista e di discuterne con lei. A volte le intuizioni esterne possono essere molto utili. Scrivete nei commenti.

Subito dopo la prova costumi, alla fine di maggio, riprenderemo le riprese. Saranno mesi impegnativi, durante i quali non solo lavorerò duramente sul set, ma dovrò anche affrontare l'effettiva pubblicazione del libro su Amazon. Molti di voi stanno attendendo la versione cartacea per effettuare l'acquisto. Per completare la versione cartacea, devo prima finire l'ultima revisione con Federico, il mio editor. La data di pubblicazione è prevista per il 16 giugno, e poiché la stesura definitiva non è ancora stata completata, potete immaginare quanto stiamo lavorando a ritmo serrato. Ma ne usciremo a testa alta.

Questo non è un momento di bilanci, ma un momento di speranze per il futuro. E il mio futuro è chiaro: voglio continuare a scrivere  per voi, grazie al vostro aiuto spero di incontrare nuovi lettori che possano apprezzare la mia scrittura, e ho l'ambizione di crescere questo spazio dove è possibile dialogare con i lettori. Migliorare e crescere insieme a voi, per portarvi in luoghi che solo gli Hu-ga di questo mondo possono raggiungere.

PS: (Se non sapete chi è Hu-ga, ecco il link alla favola. Ho sentito dire che verrà letta a una classe di bambini di 10 anni. Spero che qualcosa di questo spirito di esplorazione dell'ignoto e di condivisione rimanga nei loro cuori.)

Alla prossima pagina.

Hu-ga e il Paradiso Nascosto: Il Viaggio di un Sognatore del Paleolitico

Molto tempo fa, in una terra non troppo lontana da noi, viveva Hu-ga, un ragazzo del Paleolitico superiore. Aveva la mascella larga, gli occhi neri e una folta chioma. Non era alto, ma si muoveva bene ed era curioso. Se ne stava nel suo villaggio stanziale insieme alla sua tribù. Oggi era il giorno di caccia, ma lui non era stato invitato. Huga non era un abile cacciatore o pescatore come i suoi atletici coetanei, era troppo distratto, aveva sempre lo sguardo rivolto verso il cielo. Così, il capo villaggio aveva deciso di lasciarlo con le femmine, ad occuparsi dei figli.

Quella notte, dopo che tutti i neonati erano finalmente calmi tra le braccia delle madri addormentate, Huga si allontanò, osservando la luna piena. Così luminosa da sembrare un sole. Si guardò indietro, il falò del villaggio era lontano, ma la luna non sembrava avvicinarsi. Questa cosa lo incuriosì a tal punto che decise di continuare la sua camminata. Una lucciola gli fece strada, poi altre mille, e Huga si inoltrò nella foresta, circondato dalle piccole luci fosforescenti degli spiriti del bosco.

Armato solo di un bastone rudimentale, Huga cammina tutta la notte, superando ostacoli, affrontando il buio. Non vede cosa lo circonda, ma nota occhi luminosi, sente ruggiti lontani, bestie gigantesche, corni, mostri. Mentre procede cercando di fare silenzio, le sue fantasie prendono vita. Immagina serpenti a sei teste, cavalli alati con corna d'oro. Ma alla fine della notte, proprio quando l'alba tinge di rosso il manto erboso, emerge dalla foresta scoprendo un meraviglioso lago. Cristallino, placido e colmo di pesci da vederli ad occhi nudi. Il suo stupore è immenso: mai, nella sua vita, aveva visto qualcosa di simile.

Huga passa la giornata a godersi il lago, nuotando, ridendo e bevendo a bocca spalancata l'acqua dolce in abbondanza. Dagli alberi, frutta matura, intonsa, sembra aspettare di essere mangiata. Ma, sdraiato all'ombra di un albero, Huga si rende conto che tutta questa gioia non ha senso se non viene condivisa. Così, decide di tornare al villaggio per condividere la sua scoperta. Il viaggio di ritorno è pieno di pericoli, ma Huga ora conosce la strada, conosce le rocce dietro le quali nascondersi, gli alberi sui quali salire per evitare i mostri. La notte è sua. La luna è un'amica che lo aiuta a superare le paure.

Tornato al villaggio, Huga narra le sue avventure davanti a un fuoco acceso. Tutti lo ascoltano con meraviglia. Persino il capo, così severo e duro, cede alle incredibili storie che Huga racconta, usando gesti, disegnando sulla sabbia quello che aveva visto, prendendo gli spettatori per le spalle, raccontando con entusiasmo e forza la sua impresa, la sua avventura. Le sue storie sono piene di emozione e di stupore, Huga descrive creature incredibili, e soprattutto, un paradiso nascosto. Un luogo incantato, dove acqua, cibo e pace aspettano chi lo seguirà. Tutti sono a bocca aperta davanti a questo racconto. E il ragazzo che una volta era considerato un sognatore distratto, diventa un portatore di speranza. Stimato e rispettato.

Alla fine della sua storia, Huga invita i suoi simili a seguirlo, a scoprire il paradiso che ha trovato. Il capo teme per l'incolumità della sua tribù: "In quella foresta ci sono i mostri. Moriranno." Ma Huga spiega come fare, bisogna camminare silenziosi nella notte. Come ha fatto lui. Il capo guarda il suo villaggio, le scorte sono finite, l'inverno è alle porte, forse quel paradiso potrebbe dare alcuni anni in più alla sua breve vita. E così, tutti partono per un esodo notturno che li porta, proprio come successe a Huga, verso il paradiso.

Fu così che Huga, pioniere di nuove scoperte e immaginazione, diede nuova vita al suo villaggio, ai suoi simili e in fondo, a tutti noi. In un certo senso, Huga è stato il primo artista dell'umanità, che usò le sue parole per dipingere immagini vive nella mente di coloro che lo ascoltavano. Il precursore di molti dopo di lui, che insieme, fecero crescere il ruolo dell'arte come mezzo per condividere esperienze, stimolare l'immaginazione e unire le persone. 

Alla prossima pagina

Pensée

Pettorale scolpito:
Lo lascio agli uomini di latta.
C'è chi è latta e chi è nuvola,
Io non sono,
Al massimo appaio,
Come una nuvola
In un cielo terso.

Un matrimonio

La finzione che invecchia,
Il presente che si ferma
Come una statua di luce.
L'immagine in movimento
Ha spento il mio amore
Insieme al mio televisore.
È una magia misteriosa:
La mia voce che si muta
In una tua emozione.

Little Bang

Nuoto in un mondo incrementale,
Sommerso dai dubbi
Del mare digitale.
Tra dati e bit cangianti,
Dove "meglio" vuol dire "di più."
Da uno a mille, poi dal milione all'infinito!
Ma è subito dopo lo zero
Che nasce quel che conta.

Cielo e deserto

Non vivo d'obiettivi.
Guardo l'orizzonte
E seguo l'orizzonte
Perché so
Di non raggiungerlo mai.
Io vivo nel presente.

Il giavellotto

Fluttuo, sospeso dopo il lancio.
Sono fermo e fisso
La mia idea allontanarsi.
Essa sfreccia e vola
Verso il campo del reale.
Veloce taglia le nuvole,
Apre speranze,
Per conficcarsi nell'orizzonte.
Nell'attesa del colpo,
Nulla conta.

Diacronico

Quanto vorrei essere in linea con il mio tempo,
In perfetta sincronia con la mia generazione
In simbiosi con la mia età,
In armonia con le mie giornate,
In ascolto con il mio cuore
Nell'istante
Che è già passato.

Tempus Fugit

Passando, incontro l'eco sbiadita
D'una mia promessa dimenticata.
Sta lì, in silenzio,
Sulla panchina del tempo.
Aspetta un senso che non ha più.
Spero che non mi riconosca,
Che non mi chieda:
"Dove è finita la mia destinazione?"
E mentre attraverso i suoi occhi come nebbia nel deserto,
Il vento urla d'un vecchio,
Irriconoscibile persino a sé stesso.
Figurati ad una promessa.

Il cambio

Mi vedo, nel cambio
Un po' in ritardo
Sia nel tempo che nel cambio
E la marea d'altri che sta davanti
Mentre io penso
Al cambio che
Non cambia nulla.

Il Volo

Ad occhi aperti cado
Verso la mia idea.
Braccia tese verso l'impatto
Creo ali col pensiero.
E forte di gravità,
Figlio del vento,
Scivolo sulla morte
E decollo,
Come l'illuso che mai atterra.

SenzaNord

Nel caso tornassi
Semino pensieri luminosi
Tra le mura buie
Di questo labirinto di scelte.
E sento,
Sopra arcobaleni lastricati di cemento,
Che in questo cimitero di lucciole
Non tornerò.

Phoenix

Io, Sole, brucio.
E come una Fenice
Rinasco dalle ceneri.
Fino a che sarò
Polvere di stelle.

Espoir

Io spero
Che queste mille solitudini,
Queste formiche danzanti
Nell'occhio del destino
Si ritrovino un giorno,
Insieme,
Tra le braccia dell'amore.

Pierrotz

Pagliaccio erotico
Con la lacrima tatuata
In gara col tuo specchio.
T'agghindi con colori
Che fan sesso agl'insetti,
Ti copri di mostri
Che spaventano i Maori.
Tu, mentre ti fai una tartina
Imburrata,
Sotto il sole d'occidente,
Non esagerare, mi raccomando
Che poi non vedo il muscolo tirato
Mentre mi dici cos'è importante
Con sguardo ammiccante
E proteine nelle vene.

Nunc

Come una scintilla
Negli abissi del mare
Siamo l'attimo vivo
Tra le erbacce del tempo.
L'urlo non udito
Il pugno mai sferrato,
Che infrange gli specchi
E sfonda porte aperte.
Mai come ora,
Brucia, il presente.

Hic

Il desiderio
Sta al di là del velo
Del mondo che ho.
È un sogno di fantasia,
Un seme di follia,
Un'ombra che illumina
Il mio stare
Qui.

Piangente

Ci son giorni
Dove il sole non sale
Nella valle dei soli.
Solo fischia muto il vento
Tra i rami secchi e le piume dei corvi,
Mentre il mio freddo fiato,
Come un fantasma di nebbia,
Si specchia su un lago di lacrime,
Eterno amico d'alba e tramonti.
Ci son giorni
Dove il sole non sale
Nella valle dei soli.

Splendente

Vivi d'immediati istinti presenti,
D'espedienti di niente,
D'ardori vivi e cuore di cristallo.
E quando l'anima quieta
Il buio infine abbraccia,
Degli abissi
Sii splendida lucciola.

Domini

Un domino,
Un atto, una scelta.
Un bivio, uno stop.
Un colpo.
E nasco.
Cado nel buio
Che s'avvicina,
M'avvolge.
E perdo la vista.
Ma ecco la luce,
La luce che cresce,
M'avvolge.
E perdo la vista.
Chiudo gli occhi e aspetto.
Il vento nei capelli,
Il volo nel corpo.

Insieme

Dopo,
Cercami fra gli atomi del tempo.
Mi troverai,
Un po' sbiadito, negli occhi dei figli.
Un eco genetico, un sorriso.
Una lacrima in gola.
Attraversiamo,
Come l'onda che bagna la sabbia,
Un istante, distanti, insieme.

Caos

Ho gli occhi di Chaos
E l'anima barcollante
Tra lupi e specchi rotti.
Divoro la calma,
Prosciugo il presente,
E mi confondo
Col rumore del mondo.
Ditemi il silenzio dov'è.

Assenza

Mi tuffo nei ricordi,
Tra bolle d'altri me.
Sfioro esplosioni,
Rubo boccate d'aria,
Mentre aspetto che la luna
In superficie,
Sole diventi.

Rete Sociale

Profili liquidi,
Cangianti e statici.
Mentori di sé stessi,
Alunni del proprio eco.
Piroette digitali
Gli occhi specchiati
Nell'oscurità
Dei loro display.

La Nascita dell'Arte: Una Favola di Amicizia e Creatività

Cos'è un artista, davvero?

In una serata indimenticabile, durante il matrimonio di un vecchio compagno di collegio, a cui ero stato invitato come testimone, ho trovato un risvolto amaro alla risposta di questa domanda. Fu un invito che accettai con gioia e senza esitazione. Il matrimonio si svolgeva in una splendida città del Nord Europa, e mi offrì l'opportunità di trascorrere una giornata rilassante con un vecchio amico che non vedevo da tempo. Era come fare un salto indietro nel tempo, rievocando tanti "ti ricordi" e piani per il futuro.

In seguito, quella stessa sera, avevamo prenotato un tavolo in un ristorante indiano. Durante la cena, si verificò un incidente che, a posteriori, avrei identificato come il preludio della fine della nostra amicizia. Mentre attendevamo papadam e samousa, discutevamo dei nostri rispettivi progetti futuri. Il mio amico aveva sempre aspirato a essere un artista, con interessi che spaziavano dalla regia alla scrittura, e possedeva un talento indiscutibile. Tuttavia, le circostanze della vita lo avevano portato su un percorso diverso. Io, al contrario, avevo scelto di diventare un narratore fin dai vent'anni, percorrendo un sentiero che non ho mai abbandonato, nonostante i molti sacrifici necessari per raggiungere i miei obiettivi. 

Mentre discutevamo di arte, la neosposa del mio amico mi chiese, con un tono che oscillava tra il polemico e il sardonico: "Ah, quindi tu ti ritieni un artista?" Ricordo di essere rimasto molto ferito da quella domanda e soprattutto dal fatto che il mio amico non disse nulla per difendermi. Non risposi, ritenendo che non valesse la pena di farlo. Tuttavia, era evidente che quella domanda aveva creato una crepa irrimediabile tra noi. Nei mesi successivi, ci siamo scritti sempre meno, finché, dopo un altro scontro causato da un commento che ho percepito come eccessivamente critico e cattivo su un mio primo romanzo (mai pubblicato), decisi che era arrivato il momento di tagliare i ponti con questo amico di lunga data.

Vi racconto questo episodio perché, anni dopo, mi pongo ancora la fatidica domanda: cosa significa essere un artista? Vuol dire essere una persona che vive del proprio mestiere artistico? O è qualcuno che crea arte indipendentemente dal guadagno? O forse qualcuno che ha la "sensibilità" di osservare il mondo attraverso lenti uniche? La discussione è aperta e non esistono risposte definitive. L'arte assume tante forme quanto le opinioni e le idee che la circondano. E le modalità per esprimerla - emotive, intellettuali, fisiche - non pongono limiti alla sua definizione.

Per questo, oggi, ho deciso di tentare un esperimento inusuale. Questa pagina di "Diario d'artista" sarà in due episodi. Ho l'intenzione di inventare e raccontare una favola a questo proposito: "Cos'è un artista?"

Permettetemi di presentarvi Hu-ga. Potreste trovare il suo nome insolito. Ma, al tempo di Huga, le parole come le conosciamo non esistevano ancora. I fulmini erano considerati manifestazioni divine, il fuoco era una magia che cadeva dal cielo, e il sole non era nemmeno trascinato dal carro di Helios, perché la ruota, ai tempi di Huga, non era stata ancora inventata. Huga apparteneva a un folto gruppo di uomini e donne: una tribù. Vestivano pelli, erano forti e robusti, e i più abili tra loro brandivano bastoni con una roccia affilata all'estremità. Huga era speciale. Possedeva un dono, anche se ancora non ne era consapevole. Era giovane, ma secondo gli "standard dell'epoca", era un uomo nel pieno della sua vita. Dovete sapere che durante il Paleolitico superiore, l'aspettativa di vita era notevolmente più bassa rispetto a oggi. Un uomo poteva considerarsi fortunato se raggiungeva i 30 anni. Huga, con i suoi 16 anni, era quello che oggi chiameremmo un "uomo nel fiore degli anni". In questo breve racconto, intendo narrare la sua storia. La storia del primo artista della specie umana.

IL PRIMO ARTISTA

Molto tempo fa, in una terra non troppo lontana da noi, viveva Huga, un ragazzo del Paleolitico superiore. Aveva la mascella larga, gli occhi neri e una folta chioma. Non era alto, ma si muoveva bene ed era curioso. Se ne stava nel suo villaggio stanziale insieme alla sua tribù. Oggi era il giorno di caccia, ma lui non era stato invitato. Huga non era un abile cacciatore o pescatore come i suoi atletici coetanei, era troppo distratto, aveva sempre lo sguardo rivolto verso il cielo. Così, il capo villaggio aveva deciso di lasciarlo con le femmine, ad occuparsi dei figli. Quella notte, dopo che tutti i neonati erano finalmente calmi tra le braccia delle madri addormentate, Huga si allontanò, osservando la luna piena. Così luminosa da sembrare un sole. Si guardò indietro, il falò del villaggio era lontano, ma la luna non sembrava avvicinarsi. Questa cosa lo incuriosì a tal punto che decise di continuare la sua camminata. Una lucciola gli fece strada, poi altre mille, e Huga si inoltrò nella foresta, circondato dalle piccole luci fosforescenti degli spiriti del bosco [...]

Alla prossima pagina, per la continuazione e conclusione della favola.

Il futuro dell'arte nell'era degli algoritmi: sfide e opportunità

Oggi tocco un tema caldissimo: Il futuro dell'arte in un mondo di algoritmi...

Spesso rifletto sulla figura dell'artista e sulle difficoltà che dovrà affrontare negli anni a venire: Il mondo si trasforma, evolve, e noi continuiamo ad osservarne i dettagli cangianti ogni giorno, senza sapere se esserne terrorizzati o affascinati.

Come ho già affermato, immagino l'artista come un esploratore di mondi. Se dovessi immaginarlo ai tempi in cui il sapiens ancora migrava, l'artista sarebbe colui che partiva - da solo - alla ricerca di qualcosa oltre la foresta e, dopo alcuni giorni, tornava con una storia da raccontare davanti al fuoco. Forse non aveva carne o acqua, ma portava entusiasmo, stupore, energia e amore. Ecco ciò che, a mio avviso, alimenta l'artista dentro di noi; sono queste le qualità che devono emergere nel momento in cui una storia - qualsiasi storia, che sia scultura, danza, architettura, musica o poesia - viene raccontata.

Ma ora, con l'arrivo degli algoritmi generativi, come si devono comportare gli artisti? Fotografi, illustratori e ora anche scrittori e musicisti (e presto attori, registi, montatori) temono l'avanzata degli algoritmi, capaci di produrre contenuto infinito, sempre diverso e perfetto come una sfera stampata in 3D. È dunque questo il futuro che ci aspetta? Un panorama artistico di pillole perfettamente sferiche, senza difetti, che nutrono i nostri desideri nel modo più "corretto" possibile in base ai nostri profili social? Il Dio macchina sta per dominarci con una carezza? E se fosse così, allora quale futuro ci sarebbe per l'arte?

Ma in tutto questo, la vera domanda che io pongo gli artisti è: pensate davvero che lo spettatore si accontenterà della riproduzione meccanica e perfetta di ciò che è già stato fatto? Credete che la vita si limiti a galleggiare placidamente nel costrutto artificiale di ciò che è, in effetti, morte? Perché ciò che viene generato dall'algoritmo di intelligenza artificiale non è altro che la somma di ciò che è già stato creato. L'algoritmo è un Moloch che assorbe e rigetta. È uno strumento, non un creatore. È una calcolatrice. Utile se si ha qualcosa da fare o da dire.

Vi faccio un esempio. Quanto stupido può sembrare una persona che chiede a una calcolatrice di fare 123523532543/346674534 ed esulta quando ottiene il risultato? Completamente stupida, perché di per sé il calcolo non è interessante. Ma se mi dite che questo calcolo serve per capire quanto carburante deve essere messo in un motore per compiere tot chilometri per arrivare su Marte, ecco che la calcolatrice trova il suo giusto contesto di utilizzo.

Tornando alla figura dell'artista in questa nuova era tecnologica, credo che debba fare ciò che sto cercando di fare io: sviluppare una relazione diretta con chi lo segue. Non affidarsi più alle piattaforme (Facebook, Instagram, ecc.), ma creare un legame il più diretto e concreto possibile con chi lo apprezza, per generare un piccolo giardino di speranza e arte in cui prosperare. Ed è questa la funzione di "Diario D'artista", del sito e di tutto ciò che vedete. È il mio modo di creare un legame con voi. Ed è l'unico futuro possibile per l'artista: una "rete" che lo lega a coloro che vogliono viaggiare con lui.

"La divina avventura" è solo la punta di questo gigantesco iceberg che sto cercando di costruire, ma che non avrebbe senso se non ci foste voi a seguirmi.

Quindi questa pagina la dedico a te, che mi stai leggendo, che mi segui, che guardi le fiction in cui partecipo, che magari conosci "Sogno Farfalle Quantiche" o "#ByMySide", che hai seguito la follia di "Days" e che ora tifi perché questo libro abbia successo.

Grazie di cuore, senza di te, io non sarei qui.

Piccolo

Delle ombre passano
Sopra la mia caverna,
Che non ha pareti come confini
Ma solo paure come burroni.
E si mescola la mia mente
Traccia linee casuali
Che disegnano solo
Ciò che l'io, solo, suppone.
Mentre tra i granelli di sabbia
Tra la schiuma e la spiaggia
C'è una vita arenata
Nelle onde del mare.

Attore

Esibizionista timido
Nascosto in piena luce,
Alpinista dell'amore,
Tu beffi la morte.
muti com'un serpente,
E cambi pelle, cambi volto cambi ritmo.
Ma ritornerai,
Lo sai,
Il solito uomo col solito tempo.

Il Volo II

L'anima sta sotto le coperte degli amanti.
Tra i sensi e i profumi d'istinto.
Nel vuoto magnetico
Che separa i nostri atomi.
E salendo la salita da dove vengo
Volo in caduta libera
Verso te.

Sintropia

Il pensiero, affilato come lama
Taglia frontiere di cemento
Cuce distanze, come il vento
Piega i sensi e le montagne
Poi come il fumo, vola via
Lentamente, nella mente, assente,
Si dissolve in un ricordo,
In un eco, poi genetico.
Nell'erba, nella polvere, nelle stelle.

Desìo d'estate

Vorrei voler dire di più
Urlare, parlare, sussurrare,
Esistere.
Ma giaccio nel silenzio, come grano al sole.
Immobile dimentico,
Che sono ancora qua.

Senzatetto

Ancorato al passato
Proiettato nel futuro.
Ogni volta assillato
Da una noia assassina.
"Solitudine" è il male
E la vita è medicina.
"Abitudine" il virus
Che ti porta alla follia.
Pensi troppo, vivi poco
Senti solo le parole.
Quelle sì che sono tante,
Ma la vita
È una sola.

Ritorni

So che un tempo,
Io ero un tutt'uno con te.
Una sola ed unica
Sintesi d'ombra e luce.
Invisibile, ma così lucente
Da bruciare il creato.
L'esplosione
Ci strappò dall'abbraccio,
E lacerati,
Tornammo polvere,
Insieme.

Days - The CrossMovie

Produzione, Regia e Montaggio: Flavio Parenti
Scritto da: Nicholas Di Valerio su un'idea di Flavio Parenti.
Cast: Fiorenza Pieri, Pier Luigi Pasino, Eros Galbiati, Matteo Alfonso, Gaetano Sciortino, Claudia Coli, Matteo De Castello, Flavio Parenti, Fiammetta Bellone, Jacopo Bicocchi.
Crew: Samuele Grippo, Matteo De Castello, Flavio Parenti.

Sogno Farfalle Quantiche

Regia, montaggio ed Effetti speciali: Flavio Parenti
Scritto da: Matteo Alfonso e Flavio Parenti
Cast: Matteo Alfonso, Flavio Parenti, Pier Luigi Pasino, Gisella Szanislo, Jacopo Bicocchi, Tommaso Benvenuti, Emiliano Iovine, Pietro Tammaro.

#ByMySide

Regia, montaggio ed Effetti speciali: Flavio Parenti
Scritto da: Pier Luigi Pasino e Flavio Parenti
Cast: Matteo Alfonso, Pier Luigi Pasino, Jacopo Bicocchi, Flavio Parenti.

La sindrome dell'impostore: quando l'artista dubita del suo successo e di sé stesso

Conoscete la sindrome dell'impostore? Oggi voglio parlare di questo pensiero subdolo che spesso assale gli artisti, affermati e meno noti. È importante sapere che l'artista, costantemente in attesa di un riscontro sul suo operato, è spesso una persona fragile, o almeno, si pone in una posizione di fragilità, in quanto lascia che sia il giudizio altrui a definire, se non la sua felicità, sicuramente una parte della sua esistenza. Pertanto, l'artista si interroga frequentemente sul valore del suo lavoro: "Ne varrà la pena?", "Riuscirò mai a guadagnare abbastanza per farne una professione?", "Forse avevano ragione i miei genitori/parenti/amici/opinionisti a dire che l'arte non dà da mangiare."

Tuttavia, grazie alla fatica, alla volontà, allo studio, l'artista, a volte, raggiunge il successo. A questo punto, si potrebbe pensare che tutto sia risolto, che non avrà più problemi e che godrà del riconoscimento di tutti. Tutti gli diranno quanto sia bravo nel fare ciò che gli piace. Finalmente, la pace! Eppure, non è così. Dietro la porta del riconoscimento, si nasconde la sindrome dell'impostore.

In sostanza, la sindrome dell'impostore scatta quando l'artista inizia a dubitare di sé e del suo successo, pensando che forse tutto sia un bluff. Magari non è così bravo come credeva o come gli altri pensano. Magari invece ha ingannato tutti! E così pensa che per un'incomprensibile allucinazione collettiva, tutti lo hanno elevato a un livello che non merita. Mentre i suoi amici - forse più talentuosi - meriterebbero molto più di lui. Queste insicurezze possono portare a conseguenze tragiche, in quanto sentirsi un impostore è il preludio all'annientamento dell'identità e all'infertilità creativa.

È interessante sapere che esiste un concetto chiamato "profezia che si autoavvera", un tema affascinante. Per riassumere: noi amiamo avere ragione. Quindi, se iniziamo a pensare che "tutti gli uomini tradiscono" (tanto per fare un esempio), inconsciamente inizieremo a cercare uomini che tradiscono, così da poter confermare la nostra teoria! Questa follia è stata analizzata e confermata da molti esperti. Funzioniamo in questo modo, vogliamo realizzare ciò in cui crediamo. Quindi, fate attenzione alle vostre convinzioni!

Tornando alla sindrome dell'impostore, l'artista, anch'esso soggetto alla profezia che si autoavvera, pensa di sé: "Sono un impostore". E non importa quanto coloro che gli vogliono bene si ostinino a dirgli il contrario, lui continua a nutrire questa insicurezza e si perde in essa.

Personalmente, vivo questa sindrome ogni giorno, sia come attore che come artista in generale. Quando ho finito la scuola di recitazione di Genova, ero convinto di essere circondato da attori più bravi di me, e ne sono tuttora convinto. Attori che magari non lavorano o che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Per non parlare delle mie regie e delle mie produzioni, delle mie poesie. E ora del libro. Ho un costante tarlo nella mente che mi dice: "Sei un bluff, dietro tutto quel parlare c'è solo il vuoto. Sei qui solo perché hai gli occhi azzurri." Sono serio, purtroppo questi pensieri, dopo 20 anni di carriera, continuano a corrodere la mia anima.

E cosa si può fare? Onestamente, non lo so. Mi piacerebbe cancellarli, dimenticarli, o dimostrare a me stesso che non è vero. Forse è quello che sto facendo quotidianamente, scappare lontano, senza fermarmi, per mostrare a me stesso che no, non sono un impostore, che c'è qualcosa dentro di me che ha valore, che è mio, che ho coltivato personalmente e che mi rispecchia.

Non credo che riuscirò mai a trovare la pace, perché questa mia corsa, in fondo, fa solo cambiare continuamente il panorama, ma io sono sempre io: un uomo che corre e non si ferma mai, per paura di guardarsi allo specchio.

Alla prossima pagina.

Il mio percorso artistico: dalle radici dei miei nonni alla produzione di arte tecnologica

Il mio debutto artistico, per rintracciare le mie radici, risale a mio nonno: un falegname, pittore e cuoco. Insomma, uno di quella generazione che ha contribuito a ricostruire l'Italia con impegno e sensibilità. Era letteralmente un uomo d'altri tempi, con occhi così chiari da sembrare quasi bianchi. La sua storia d'amore con mia nonna durò oltre 60 anni, e quando lei se ne andò, lui la raggiunse un anno dopo. Ciao Nonna. Ciao Nonno. Vi capita mai di pensare che ci stiano osservando e ridendo, considerando quanto poco sappiamo di ciò che ci aspetta dopo? A me sì.

Tornando al mio percorso artistico. Dicevo, nonno pittore. Ma anche Zia illustratrice. Per 40 anni ha messo in pagina i migliori fumetti francesi, tra cui quelli di Enki Bilal. I miei genitori non sono artisti, ma ho avuto una costellazione di persone che mi hanno dato, negli anni, i semi necessari per conquistare i miei desideri: l'amore incondizionato dei miei genitori mi ha permesso di crescere sorretto dalla certezza che loro sarebbero stati lì a raccogliermi in caso di caduta. E così è stato.

L'ultimo mio anno di maturità, avevo studiato così poco che i libri - acquistati ad inizio anno - erano rimasti così chiusi che ad aprirli si sentiva la colla che legava le pagine "rompersi" 😁

Ero una "pecora nera", al punto da essere espulso dal collegio negli ultimi quattro mesi, proprio prima degli esami di maturità. Mio papà mi raggiunse, mi aiutò a studiare e mi sostenne durante tutto quel periodo. Contro ogni aspettativa, mi diplomai con menzione, nonostante fossi considerato nel collegio un personaggio da evitare perché troppo "borderline". I pregiudizi accumulati in 5 anni di collegio sarebbero degni di un capitolo a parte.

Non sono mai stato un bravo studente, ma ho letto e continuo a leggere molto, arricchendo il mio bagaglio culturale giorno dopo giorno. Perché? Perché non ho mai smesso di cercare. Coloro che si fermano e accettano le risposte senza discutere, aderiscono al sistema ma non crescono più. Sono un ribelle nell'anima e ho così tanti aneddoti dal collegio che forse, un giorno, scriverò qualcosa a riguardo. Ogni volta che a tavola ne racconto uno, esce sempre fuori una voce che dice "ma scrivi il libro!" Quindi chissà.

Tornando al tema principale, la tecnologia e l'arte: nonno, zia, scuola, e poi mio padre, un informatico che mi mise tra le mani un computer all'età di otto anni. Da lì, il mio percorso artistico si è sviluppato attraverso recitazione, regia, produzione, film, serie, videogiochi, poesie e libri. Non credo ci sia un regno della narrazione in cui non abbia messo piede!

In molti di questi ambiti, soprattutto quelli "antichi" come il teatro e l'editoria, ho percepito una forte avversione verso la tecnologia. Tuttavia, l'etimologia della parola "tecnologia" deriva da "Teknè" (arte) e "Logos" (discorso). La tecnica è parte integrante dell'arte e ogni nuova forma d'arte è legata alla tecnologia, come il cinema.

Grazie alle mie passioni nerd, ho sempre avuto una propensione verso la produzione di arte "tecnologica". Eppure, ora mi confronto con il libro, l'origine di tutto. Anche lì, le cose sono cambiate. Pensate a questo articolo e a quanti aspetti tecnologici nasconde: registrazione audio, commenti, condivisioni via e-mail e sui social network. Tutto ciò richiede una vasta combinazione di conoscenze tecnologiche, oltre, ovviamente, a contenuti interessanti e significativi.

L'arte continuerà a evolvere parallelamente alla tecnologia. L'intelligenza artificiale e le nanotecnologie trasformeranno il mondo futuro (purché non lo distruggiamo prima), e l'artista deve essere colui che si trova in prima linea, inseguendo instancabilmente qualcosa di nuovo e sperando di non essere colpito da un proiettile vagante.

La mia storia personale e la mia esperienza con l'arte e la tecnologia dimostrano che è possibile combinare tradizione e innovazione. Che si tratti di raccontare storie attraverso il teatro, il cinema, i fumetti o i libri, l'arte è destinata a cambiare e adattarsi alle nuove sfide e alle nuove opportunità offerte dalla tecnologia.

Come artisti, dobbiamo abbracciare il cambiamento e utilizzare la tecnologia per ampliare le nostre possibilità espressive e comunicative. Non dobbiamo temere l'avanzata della tecnologia, ma piuttosto imparare a lavorare con essa, sfruttandone le potenzialità per creare opere d'arte che possano ispirare, emozionare e stimolare il dibattito.

Nel mio percorso, sono grato per l'eredità artistica di mio nonno e mia zia, e anche di tanti altri, e per il sostegno - soprattutto - incondizionato dei miei genitori. Grazie a loro, ho potuto esplorare il vasto universo della narrazione e della creatività, sperimentando le intersezioni tra arte e tecnologia.

Alla prossima pagina.

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