L'Anello Di Saturno

Ultima Parte

Ascolta l'audiolibro 4 dell'Anello di Saturno

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- IV -

Luca, come un nobile parigino in rotta verso la ghigliottina, avanzava lentamente verso il fondo della piazza. Il gruppo di coetanei aveva preso possesso dei gradini sotto al monumento ai caduti. Il giovane sapeva a cosa andava incontro: ogni volta era la stessa storia. I genitori lo forzavano a incontrare gli altri e ogni volta finiva per essere rifiutato.

Avvicinandosi, solo uno di loro lo fece sentire accolto, esistente: Geppo, sedici anni, un ragazzo dai capelli crespi e naso importante, con la postura di un nuotatore professionista. Dal suo sorriso forte e sano, da quell’espressione bonaria, Luca intuì che Geppo era diverso, che ci teneva agli altri.
Appena Geppo si alzò per andare incontro a Luca, Ronnie lo fermò con un gesto. Poi, ergendosi con un sorriso tagliente tra le labbra, chiese a tutti: «A chi va di giocare a Torello?». Era una domanda retorica; nessuno poteva dire di no a Ronnie.

I ragazzi si disposero in cerchio al centro della piazza vuota. Ronnie, rivolgendosi a Luca, che era rimasto in disparte, disse: «Francesino, vuoi giocare?».
Luca si avvicinò timidamente, ancora incapace di capire di cosa parlasse quel ragazzo. Cos’era il Torello? Cosa avrebbe dovuto fare? si chiese camminando verso il cerchio di ragazzi.
Geppo intuì la difficoltà di Luca quando, giunto al centro, osservò tutti con uno sguardo smarrito e inconsapevole, tipico di chi non sa come agire. «Quelli in cerchio si passano la palla. Tu la devi intercettare, ma solo coi piedi. Se ci riesci, prendi il posto di quello che l’ha calciata per ultimo», spiegò Geppo.

Luca annuì in segno di ringraziamento. Fu sufficiente quel fugace scambio di sguardi per far comprendere a entrambi che erano destinati all’amicizia.

Il gioco prese il via. Geppo calciò la palla verso Ronnie; Luca, goffo ma dalle gambe lunghe, riuscì a sfiorarla, quasi prendendola con la punta dei piedi. Il suo cappuccio scivolò dal capo, la sua corsa si fece più concitata e il sudore lo trascinò in una trance che si potrebbe definire agonistica. Luca si muoveva inaspettatamente come un gatto cacciatore, eccitato dalla competizione. Acceso da un’energia nuova, comprese presto come anticipare il pallone.

Ronnie, nel tentativo di beffarlo, diede un calcio a pallonetto, il “cucchiaio”, come lo chiamava. Ma Luca, con un balzo atletico, fermò la palla con il petto e la posò sotto il suo piede, assumendo una posa trionfale.

Ronnie aveva perso davanti a tutti, e ora era il suo turno di andare al centro. Il bullo che covava in lui non perse tempo a segnare il territorio. Con due falcate si piazzò davanti a Luca e lo spinse a terra con violenza, in un gesto di pura frustrazione. Geppo intervenne immediatamente per fermare Ronnie, i cui pugni fremevano di rabbia per lo smacco subito.

Luca, decisamente più intelligente del suo avversario, si alzò, spolverando i jeans e mantenendo lo sguardo basso per evitare ulteriori tensioni. Si ritrasse di un passo, notando che il suo Game Boy era caduto sui sampietrini, proprio vicino ai piedi di Ronnie. Capovolto, lo schermo non era visibile. Un brivido di paura lo attraversò all’idea di aver perso il suo unico compagno di giochi.

Geppo, prontamente, raccolse il Game Boy per lui.

«Ma che stai a fare?» lo interrogò Ronnie.

«Ma si può sapere che cazzo t’ha fatto? Stava solo giocando», rispose Geppo, visibilmente irritato.
Ronnie, lanciando uno sguardo circospetto ai suoi compagni e notando la vergogna nei loro occhi, capì di aver esagerato. Con un gesto magnanimo ma finto disse: «Fate un po’ come cazzo vi pare...» e si ritirò sugli scalini a bere una birra, da solo.

Geppo allungò il Game Boy a Luca. «Io sono Andrea, ma qui mi chiamano tutti Geppo. Tu?»
Luca prese il suo videogioco, notando lo schermo scheggiato. «Luca...» rispose, serrando le labbra.

«Mi dispiace, Luca.»

«Non importa», rispose lui, riaccendendo la console. Lo schermo funzionava ancora. Alzò lo sguardo: «Grazie, Geppo». E si allontanò.

«Ciao Lucà», disse Geppo, enfatizzando l’accento francese in tono scherzoso. Luca non poté fare a meno di sorridere mentre si allontanava. Era un ragazzo che avrebbe voluto come amico, ma temette di perderlo ancor prima di conoscerlo, proprio come era successo con Julien.
Si allontanò senza una meta precisa, desiderando soltanto trovare un luogo tranquillo dove stare da solo. Si sentiva a suo agio in assenza degli altri, libero di immaginare di avere superpoteri, di saper fare karate e sconfiggere tutti.

Quanta fantasia produce la voglia di fuggire, caro lettore! E Luca ne era colmo, perché conosceva la fuga come le sue tasche. Fuggiva dagli altri, dal mondo che cambia troppo spesso eppure resta sempre uguale.

Ma soprattutto, fuggiva da se stesso.

***

Luca scese i grandi scalini dietro piazza Cavour, numerosi ma bassi e agevoli. Con lo sguardo incollato allo schermo del Game Boy, illuminato dalla luce gialla dei lampioni, giocava a Tetris con grazia e calma. La batteria del gioco era ormai quasi esaurita, segnalata dalla spia rossa più debole del solito. Quando la spia lo abbandonò, tutto si spense improvvisamente. Luca alzò lo sguardo per la prima volta. Si trovava in fondo alla scalinata, di fronte agli alberi del parco, lontano dalla piazza. Levando gli occhi verso la collina, intravide la punta del monumento ai caduti, ma i rumori del borgo erano scomparsi. L’odore della natura riempiva le sue narici, e fu immerso da un’insolita quiete, piacevole e cullante.

Il cielo era tempestato di stelle, più brillanti di quanto le avesse mai viste. “Sono così tante...” pensò, ammirando la Via Lattea visibile a occhio nudo e individuando pianeti come Marte, Venere e Saturno.
Poi si accorse di non essere solo. A una decina di metri da lui, sulla sua sinistra, sedeva una ragazza sotto la luce gialla dell’unico lampione acceso. Era seduta con le ginocchia piegate sul muretto, la schiena appoggiata al palo. Aveva un libro in mano e una sigaretta spenta tra le labbra.

Luca rimase a osservarla, immobile come gli alberi. La ragazza era così assorta nella lettura che ignorava le zanzare volare intorno a lei. Si interruppe solo per accendere la sua sigaretta, senza distogliere lo sguardo dalla fine del capitolo.

Luca la ammirò fumare, catturato dalla scena. Ogni soffio la avvolgeva in un velo di mistero. I suoi occhi smeraldi e felini, incorniciati da lunghe ciglia, seguivano le righe del libro. Aveva i tratti delicati, zigomi alti e lentiggini sulla pelle chiara. Indossava una canottiera, pantaloncini e sandali di tela. I suoi capelli erano lisci e castani.

Conclusa la lettura, la ragazza gettò la cicca, si spruzzò del profumo addosso, prese una gomma da masticare dalla borsa e si rivolse a Luca: «Come ti chiami?».

«Cosa?» rispose lui, risvegliato all’improvviso dall’ipnosi, sorpreso di essere stato notato.

«Sono dieci minuti che mi stai fissando. Come ti chiami?»

Luca sentì le ginocchia tremare e un rossore di vergogna gli salì al viso. Era stato lì a guardarla come un ebete e lei se ne era accorta. Balbettò la sua risposta: «Luca... io... mi...»

«E che ci fai qui?» chiese lei, scendendo dal muretto su cui era seduta. «Sei nuovo?»

Luca fece spallucce, cercando di giustificare la sua presenza. «No... niente,» alzò lo sguardo, «stavo guardando le stelle.»

La ragazza si avvicinò per osservarlo meglio. «Ce ne sono tante, quale guardavi?»

Luca deglutì nel sentirla così vicina. «Sa... Saturno...» rispose, quasi senza voce.

La ragazza scoppiò in una risata gentile: «Saturno non è una stella». E se ne andò, senza dire a Luca il suo nome.

***

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