Siamo esseri multidimensionali

Il mondo, la realtà, sono dei misteri che mai si sveleranno. Come il velo di Maya: dietro al velo non vi è la verità, bensì un altro velo da svelare.
La realtà, questa realtà, è determinata dai nostri sensi.

Ma i sensi, ci limitano.

Per fortuna c’è l’immaginazione.
La creatività è la nostra chiave di trascendenza. Con lei che ci guida, possiamo volare lì dove i sensi non ci portano: nel mondo dell’intuizione, degli archetipi, dei sentimenti, delle emozioni.

Luoghi che non hanno colori, né temperature, non hanno spazio e nemmeno tempo.
Luoghi non-luoghi, in cui la parola che determina i confini è: libertà.

Questo spesso ci spinge a immaginare che la realtà attorno a noi sia solo uno strato di un grande mosaico cangiante.
Nell’Anello di Saturno, Luca parte alla ricerca di un anello magico, e questo lo porterà a scoprire la multidimensionalità della realtà, la riscrittura del destino.

Anche ne Il Labirinto della Speranza affronto questo tema, in maniera — vedrete — molto più ambigua.
Rimango sul confine liminale tra percezione e realtà.
Tra proiezione ed empirico.
Lì dove «Ciò in cui credo definisce ciò che è».

Quindi lavoro sulla multidimensionalità del reale. A volte fantastico, a volte immaginato.
Ma poi, a pensarci bene, che differenza c’è?
Una fantasia è forse meno reale di una paura? Un sogno meno reale della realtà?
E come mi piace dire: un fantasma è forse meno reale di un senso di colpa?

Siamo esseri multidimensionali perché, vivendo nel regno della percezione, creiamo — ognuno di noi — la nostra dimensione, in cui le regole condivise sono tante, ma ci sono anche regole subliminali, nascoste, non dette, che ci guidano.

Quanti non camminano sotto una scala?
Quanti salutano le pecore sul lato della strada?
Quanti ascoltano il proprio oroscopo o chiedono consiglio a veggenti?

Siamo esseri multidimensionali e non sappiamo di esserlo.

Pensate alla dimensione — ora tanto di moda — del digitale.
Abbiamo un’identità che appartiene esclusivamente a quella dimensione. Amici che frequentiamo solo in quella dimensione.
Informazioni, arte, curiosità.

Il digitale è una dimensione del reale. Isolante nei confronti della realtà «vera», ma poi, in quella realtà, tessiamo legami, ci emozioniamo, cresciamo.
Quindi, come si fa a dire che è meno vera della realtà?

È diversa.
Siamo esseri multidimensionali anche in questo.

Non sono il primo a dirlo, e non sarò l’ultimo.
E chissà che un giorno la scienza non lo dimostri in maniera empirica: che questa realtà è condivisa con altre infinite realtà, in cui ogni cosa è diversa.

A quel punto, in quell’oceano di possibilità, la mia domanda principale rimane.
La stessa domanda che mi pongo ne La Divina Avventura, ne L’Anello di Saturno, e anche ne Il Labirinto della Speranza.

In questo mosaico infinito, ricorsivo, frattale…
L’anima è forse la costante?

Continuerò a cercare una risposta.

Nel frattempo,

La regia e la Scrittura

Chi ha letto i miei romanzi sa che dentro vi è la mia recitazione, il mio desiderio. Chi ha ascoltato gli audiolibri ancora di più, poiché do voce al mio scrivere. Dicitore e scrittore, una cosa rara tra gli autori.

Ma chi mi conosce da veramente tanto tempo sa bene che la mia passione, forse seconda solo alla scrittura, è sempre stata la regia. Ho prodotto e messo online ben tre prodotti audiovisivi. Il primo era un film di “animazione” denominato Sogno Farfalle Quantiche, in cui raccontavo con estrema creatività visiva la turbolenta estate di Matteo e Flavio. Un filmino dell’estate con funghetti allucinogeni.

Poi ci fu #bymyside, una specie di "Aspettando Godot" urbano, sempre con gli stessi attori e compagni di vita, che mi seguirono anche in quella che fu poi la mia ultima impresa audio-visiva: Days, un film interattivo in cui, come in Rashomon, era possibile per lo spettatore, scegliere “chi” seguire dei personaggi. Un’interazione in cui ciò che cambia non è la storia, bensì il punto di vista. Andò bene, ma non abbastanza.

Del perché forse ne parlerò più avanti. Ora voglio concentrarmi su ciò che queste esperienze mi hanno portato nella scrittura. 

Prima di fare questi film, dovete sapere che avevo fatto 4 anni di regia al Teatro Stabile di Genova, e altrettanti a fare da assistente alla regia di Sciaccaluga, Langhoff, Nichetti.

Insomma, ho la regia nel sangue. Ho visto tutto Kubrick più di una volta, amo l’estetica essenziale, la forma pulita.

Quando leggerete le pagine dei miei libri, ci farete caso. La regia è presente, e ha un sapore fortemente cinematografico, ne sono consapevole.

Ora sto scrivendo Il Labirinto della Speranza, e ciò che faccio, nella prosa, non è scrivere, ma descrivere. Cerco di raccontare, attraverso la parola, l’oggettività dell’azione. Per lasciare poi che il processo creativo avvenga nella mente di chi mi legge. Scrivere e leggere sono legate da un rapporto armonico. Io non sono che la scintilla che accende l’anima, il resto, il lavoro di immaginazione, lo fa il lettore. Per questo ogni lettura è diversa. Perché ogni lettore ha una sua tonalità di rosso mattone, ogni lettore vede la montagna innevata che taglia le nuvole in modo diverso.

L’uomo non è un animale pensante, ma sognante.

Il sogno emerge dalla lettura che gli dà spago.

Sempre più mi piace perdermi nella prosa, per poi, in editing, tagliarne una buona fetta per mantenere il giusto equilibrio, quello fondamentale, quello del desiderio di continuare a leggere.

Ah, giusto, la regia nella scrittura!

Ora, sopresa, come piccola anticipazione di cosa vi aspetta, vi lascio un estratto del Labirinto della Speranza, ditemi voi dove vedete la regia. Se la vedete. Poi vi rispondo nei commenti.

Piccola premessa, questa è una prima stesura, che ho cercato di formalizzare come fosse finale, in questo modo, vi darà una previsione anche di sensazione. Il contenuto potrebbe variare alla pubblicazione. Zero spoiler.


Erik arriva davanti alla porta del suo appartamento.

Gira le chiavi nella serratura.

Apre. 

L’odore di muffa lo travolge. Pesante. Umido. Vivo.

Si ferma sulla soglia.

Un respiro. Un altro. L’aria entra a fatica nei polmoni. Troppo densa di passato.

Entra e chiude la porta alle sue spalle. 

Un clic soffocato.

La polvere aleggia tra i raggi di luna che filtrano dai vetri opachi. Gli spifferi sembrano parlare, sussurrando ricordi sepolti. In quel silenzio, cantano gli echi di una vita. La risata di Alice in cucina. Il suono di un cucchiaino di plastica che batte frenetico sul tavolo. Il profumo del caffè.

Erik volge lo sguardo al corridoio.

Si avvicina.

Si ferma davanti a una porta. Ha un adesivo scolorito al suo centro. Un cuore rosso, fissato con puntine colorate. 

Una scritta.


 (Non è quello che c’è scritto)

La mia nuova saga

Sto completando la primissima stesura del primo volume della saga "Il Labirinto Della Speranza".

Parliamo di un testo non coeso, pieno di errori e strafalcioni. Ma è giusto che sia così. Prima si rigurgita un prodotto informe che poi, con arte, sapienza e pazienza, verrà cucito di bellezza e diamanti.

Sono al piano terra del mio palazzo.

Le fondamenta le ho elaborate per sei mesi: ho scritto, riscritto e riscritto mille volte la “storia”, quello che poi sapevo di dover affrontare nella scrittura della pagina.

Ogni saga, ogni libro, è prima di tutto una storia.

Una storia “grande” che può essere raccontata fuori dalle pagine del libro.

La mappa, se vogliamo. Le pagine sono il territorio nel quale lo scrittore scopre e disegna i dettagli di un mondo immaginato.

Ora sono in questa fase.

Ed è una fase incredibile, emozionante e difficile.

Incredibile, perché aperta allo stupore. Apro una porta ma non so cosa c’è dietro.

E sono io a dovermelo immaginare. È un confronto diretto con l’ignoto, una sorta di rincorsa verso qualcosa che non esiste ma che, nel momento in cui lo rincorriamo, si scrive, si crea.

Emozionante, perché mi ritrovo a rivivere pezzi della mia vita, traslati nelle vesti del protagonista, o dell’amico, o di un personaggio secondario.

Mi specchio, piango, rido, vivo la scrittura come fosse un pezzo di vita surreale, immaginato ma tangibile.

Difficile, perché la coesistenza di creatività e struttura dà adito a un dilemma che sa quasi di follia.

Vi spiego.

Ho una storia, che ha un inizio, un centro e una fine, come direbbe il buon vecchio Aristotele.

E fin qui, tutto bene. Facile. Sono in controllo. Certo, magari cambio una cosa piuttosto che un’altra, rimodello, invento.

Le idee a questo “livello” costano poco: sono cinque parole in più o in meno.

“Prende l’aereo e scappa” oppure “La bacia, rimane e si sposano”. Poche parole, un’infinita differenza.

Ma poi, arriva il momento in cui la storia è pronta ad essere distrutta dai personaggi.

Ah, i personaggi.

All’inizio sono qualcosa di ideale, che esiste appunto in quelle poche parole che definiscono la storia.

Per me, i personaggi sono definiti dalle azioni che prendono nella mia storia.

Ma poi, quando li scrivo, ecco che succede una specie di guerra tra il mio volere (la storia) e il loro volere!

Come anguille sgusciano, fuggono dalle mie redini, almeno ci provano.

E io, per non rompere il mio legame con loro, li assecondo.

Ma a volte tirano forte, fortissimo, verso un luogo in cui non possono andare!

E lì inizia un processo difficile, di compromesso tra il loro volere e il mio.

Ecco, sono lì, nella scrittura.

La saga prende forma.

Sarà molto diversa da L’Anello di Saturno.

Più oscura, più occulta, più veloce. Un labirinto nel quale spero di farvi entrare, divertire e, chissà, uscire diversi.