Chi siamo, artisti?

Oggi mi domando chi io sia. Per quale motivo sposto mari e monti per scrivere storie, al punto da rischiare tutto per farlo. Cosa mi spinge a consumare tempo e risorse in questa impresa? Diventare uno scrittore, riuscire a far adattare le mie storie sullo schermo: tutto questo è per vanità? Oppure è un atto di generosità, un desiderio di condividere? O forse puro egoismo, quello di voler viaggiare nell’immaginazione alla ricerca di quelle famose perle, pensando che questo tragitto valga il tempo e il denaro altrui.

È un lavoro difficile, quello del contastorie. Come tutti i lavori belli, ti illude che basti il processo creativo a dare vita alla storia. Ovviamente, non è così. Scrivere storie somiglia un po’ a suonare la chitarra: sembra facile, e tutti sono capaci di strimpellarla. Ma diventare un virtuoso della storia, della trama, è un’arte difficile da inquadrare.

A volte mi chiedo se io lo sia davvero o se semplicemente stia facendo di tutto per convincere gli altri (e me stesso) di esserlo. Fatico a trovare un motivo, una ragione per tutto questo. Penso e spero di non essere l’unico a vivere questo dilemma. Anzi, credo che questa paura si estenda ben al di là dei confini dei contastorie.

Questo “mal comune mezzo gaudio” lenisce solo in parte quella sensazione di fragilità che permea il mio fare. Spesso mi dico che “devo andare avanti e non pensare”, e a volte funziona. A volte mi ritrovo in un luogo buio solo perché ho scelto di chiudere gli occhi. E, in questi casi, la mia forza di volontà ha la meglio.

La forza di volontà… Ora che ho scritto più di una storia, mi sembra di vederla come un filo rosso della mia poetica. Ho un rispetto incredibile per essa, e penso che ciò derivi dal mio assoluto desiderio di indipendenza. Questo è il tema dell’Anello di Saturno: quanto siamo noi a scegliere il nostro destino e quanto, invece, sono le forze fuori dal nostro controllo?

L’artista è colui che fa della propria ricerca interiore bellezza. Scavare tra i demoni per forgiare diamanti. Per farlo, c’è chi canta, chi suona, chi scrive o costruisce. Tutti legati da questo impellente desiderio di ricerca interiore ed esplorazione del mondo attorno. Oggi ho fatto ricerche sulla Val di Non, che sarà il luogo in cui la mia prossima saga si svolgerà. Prima di andarci fisicamente, spinto da quel desiderio di scoperta che mi porta a testare e tentare cose nuove, ho fatto un giro con le mappe di Apple. Mi sono messo lì, sono entrato in quello che si chiama “streetview” e mi sono fatto “un giro virtuale” dei vari paesi che la popolano. Ho cercato di percepire le distanze, i paesaggi.

E mi dico che è davvero un periodo incredibile per coloro che vogliono raccontare storie. Vi è una conoscenza a disposizione che era impensabile anche solo dieci anni fa. Abbiamo mappe su mappe.

E mentre lo facevo, qualcosa in me mi ricordava che “la mappa non è il territorio” e che, per quanto ci si sforzi di conoscere qualcosa attraverso l’analisi e lo studio, è nel processo vivo e reale che avviene il mutamento, la sensazione, l’odore. È quando tutti i sensi vengono calibrati sull’esperienza che l’autore può davvero esprimere qualcosa di umano, colmo di un calore personale e unico, e non lo specchio di tutto ciò che altri hanno vissuto prima di lui.

La conoscenza indica la via, ma è l’esperienza a portarci a destinazione.

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Aiutami a scegliere

Ho finito di registrare l'intero audiolibro del primo volume della Saga dell'Anello di Saturno. Dare voce ai personaggi, alle descrizioni, agli eventi, integrare la mia arte di attore con quella di scrittore, penso sia davvero il culmine della mia creatività. Lo ammetto: mi sono divertito tantissimo. Ho cercato di regalare, a chi deciderà di ascoltarlo nella sua interezza, un'esperienza immersiva da vero contastorie.

Ho scritto questa storia senza pensare di narrarla ad alta voce, ma per raccontare un pezzo di me e poi volare con la fantasia. Come scoprirete, la storia parte da una base vera, reale, tangibile: la storia di un ragazzo strappato dalle sue radici che arriva in un borgo sconosciuto. Un ragazzo sensibile, introverso, amante dei videogiochi, un po' francese… insomma, parto da ciò che conosco. Ma poi, man mano che la storia diventa veramente "storia" e il mondo fantastico che mi sono immaginato prende forma, i personaggi hanno cominciato a parlare con la loro voce, a pensare con la loro testa e allora è subentrato Flavio, lo scrittore, che ha cominciato a dirigere l'orchestra delle verità che Flavio, la persona, aveva deciso di donare come "pezzo di carne" per iniziare.

E ora, arriva Flavio, l'attore, che incarna i personaggi, che dà loro voce, che li rende reali. Che emozione! Ogni personaggio è un frammento di me, un pezzo di ricordo, di desiderio, di sogno. Poter aggiungere le sfumature della mia umanità all'interno della storia è davvero un piacere inaudito.

Ho deciso di farne un audiolibro per mio papà, che non ci vede più molto bene e per cui la lettura di un libro è diventata difficoltosa. Ecco, dunque, il mio modo per condividere quest'arte con lui, per dargli la possibilità di scoprire questo lato di me. E di rimando, lo sarà anche per voi. L'audiolibro rappresenta un modo nuovo di scoprire la lettura, che sia in macchina, mentre si cucina o prima di addormentarsi, a luci spente. Per questo motivo, ho puntato molto sull'immersività, perché sento che sia un modo antico, si potrebbe dire addirittura originale, di raccontare una storia, che supera anche la barriera della lettura. Spero di avvicinare molti ai libri in questo modo.

L'ho fatto con tutto l'amore del mondo, come cerco di fare ogni cosa. È un processo indipendente, in cui ho potuto controllare ogni aspetto creativo e imprimere la mia firma sull'intero progetto. Spero che sarà all'altezza di tutto il resto.

Il Volume Primo dell'Anello di Saturno è lungo 274 pagine e l'audiolibro durerà 6 ore e 40 minuti. Registrarlo è stata un'esperienza intensa, durante la quale spesso mi sono ritrovato senza saliva, ma, come ho già detto, è stata un'attività che mi ha divertito enormemente. Ritengo che narrare le storie che scrivo sia veramente un modo per unire i puntini, per offrire una visione completa della mia umanità, sia interiore che esteriore.

Ho deciso di condividere con tutti voi, che seguite il Diario d'Artista, tre campioni dell'audiolibro, seguiti da un sondaggio. Se ascoltate da Spotify, dovete venire sul sito per ascoltarli e per votare (flavioparenti.com). Potreste aiutarmi a scegliere quale campione vi piace di più e quale vi suscita maggiore desiderio di ascoltare l'intera storia. Il vincitore sarà il campione che utilizzerò come presentazione del libro su internet.

Il biglietto da visita per chi dovrà scoprire questa nuova storia…

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Sulla strada in tempesta

Il primo incontro

La sigaretta e l'amore


La buona scrittura

Ho concluso il quarto volume della saga dell'Anello di Saturno. Ora, come mi ero promesso, lavorerò per alcune settimane sulla coerenza narrativa degli eventi di tutti questi volumi. Questo significa scrivere le date, tenere a mente il passaggio di tempo, ciò che i personaggi si sono detti, e fare in modo che lo sviluppo narrativo sia come una sequenza di domino che cascano uno dopo l'altro, in maniera naturale, senza che vi sia l'artificio del deus ex machina, a meno che non sia voluto.

Ma in questa fase di revisione, per quanto io mi trattenga dal lavorare sullo stile e la forma delle frasi, il mio occhio non può che cascare lì. Appena mi rileggo, ecco che parte in me l'editor che cambierebbe quella frase, quella parola, quella virgola.

Stephen King suggerisce, nel suo meraviglioso libro "On Writing" di scindere in maniera netta la scrittura dall'edizione. Cosa significa? Che la prima bozza deve essere brutta, illeggibile. La prima bozza non è per gli altri, è solo un suggerimento a noi stessi, un modo per incanalare la creatività in maniera fluida e cangiante. Per questo motivo è meglio evitare di renderla bella, per non fissarla.

Un altro grande scrittore, Chuck Palahniuk, racconta di come lui odi i software di editing di testo (come word, per intenderci) Il motivo? "Perché sembra già bello", dice. (Vi consiglio di guardare, se conosce l'inglese, l'incredibile intervista di Joe Rogan a Palahniuk, vi lascio il link sul sito. Occhio, sono contenuti espliciti: #1726 - Chuck Palahniuk - The Joe Rogan Experience | Podcast on Spotify)

Insomma, bisogna rimanere elastici, così da non affezionarsi alle proprie idee. Un'altra espressione inglese è "Kill your darlings" che tradotto fa più o meno "Ucciditi i tuoi preferiti". Questa frase sta a significare che spesso le idee alle quali siamo più affezionati, sono anche le più deboli e andrebbero eliminate. nel mio caso, per esempio, la storia dell'Anello di Saturno iniziava in modo molto diverso. Si completava in due volumi. Ho dovuto lavorare molto su me stesso per trovare il coraggio di cancellare quel finale, e di produrre una storia nuova dalle sue ceneri. Chissà, forse un giorno ne parlerò più a fondo.

Questo lavoro di autodistruzione è delicato e va esercitato con precauzione ed esperienza. Ma devo dire che spesso mi è capitato di riscontrare in esso una grande verità. Questo non vale solo nel campo della scrittura. Marco Sciaccaluga, di cui ero allievo regista, spesso mi suggeriva di non affezionarmi alle mie idee registiche.

Che cosa è, quindi, la buona scrittura? Sono i temi? É la storia? O la prosa? Oppure la forma? Ovviamente, è un po' tutto questo messo insieme, ma anche quel talento che permette ad ogni bivio (e ce ne sono davvero tanti) di fare la scelta "giusta". Ma qui entriamo nel metafisico. Cosa sia giusto o meno per gli altri io non lo so, ma sento che dentro di me, a volte, c'è una bussola che si agita quando mi avvicino a qualcosa di interessante, e che si spegne quando mi ritrovo nel deserto.

Mi piacerebbe acuire questo senso, questa eccitazione che sale quando il filone è corretto. Riuscire a percepirla appena nasce, e poi soprattutto avere il coraggio di seguirla. Spesso ci riesco, ma spesso mi ritrovo a dover lottare con le voci interiori che mi castrano, che mi dicono che "no, è una scelta troppo difficile", oppure che potrebbe non piacere.

Bisogna avere coraggio, nell'arte. E quel coraggio non lo troverete nelle parole degli altri, ma solo in voi stessi.

Voi conoscete metodi per non avere paura del giudizio interiore? Per trovare il coraggio di seguire le vostre intuizioni? Ci sono tecniche? La meditazione, forse? Vi aspetto nei commenti.

L'abito fa il monaco

Diventiamo la maschera che portiamo.

C'è un detto, "L'abito non fa il monaco." Oggi vorrei sfatare questo mito e spiegare come, secondo me, l'abito faccia il monaco eccome.

Lo so per esperienza, di abiti io me ne intendo. Ogni volta che indosso un personaggio, qualcosa di esso rimane in me. Un ricordo, un pensiero, qualcosa che piano piano cresce, come un nuovo albero, introducendo nel vecchio Flavio nuovi concetti, nuovi sentimenti, nuove visioni del mondo.

È uno dei più grandi lussi della recitazione: quello di vivere la vita altrui. Non solo perché è molto divertente, e lo si fa in una situazione controllata, in cui parole, azioni e reazioni sono già state scelte, ma soprattutto perché l'attore ne rimane arricchito. E non parlo del portafoglio, ma del bagaglio umano che abbiamo in noi.

Spesso si parla di "entrare nella parte", cioè riuscire a comprendere appieno il personaggio, i suoi desideri, le sue movenze, i suoi pensieri. Non ho mai avuto problemi a farlo, perché in sostanza, non l'ho mai fatto. Non credo nella recitazione che prova a dipingere un altro da me. Credo in qualcosa di più semplice: esporre la mia anima, e metterla nelle condizioni di essere sincera, umana, emozionante.

Questo significa che non sono io, con le mie scelte attoriali, a dipingere il personaggio. Non sono altro che un tramite che, con l'aiuto di costumi, trucco e parrucco, dà vita ad un altro Flavio, che vive in un'epoca diversa, che dice parole diverse (scritte da qualcuno che, quello sì, ha avuto il compito di immaginarsi un essere umano diverso).

Quindi quando intendo "l'abito fa il monaco" intendo dire che il mio modo di arrivare al "personaggio" se così possiamo chiamarlo, non è di fare una ricerca interiore, di inventarmi il suo passato familiare, storie di cui non si parla nemmeno in sceneggiatura. No, il mio compito è dirla bene, essere sincero e comprensibile. Il resto lo fa "la magia del cinema" (e cioè il montaggio, la regia, i reparti, etc...)

Per me, l'attore diventa monaco indossando gli abiti del monaco. Ma è la sua capacità a toccare le corde dell'anima che giustifica il suo cachet.

Ma c'è di più. Sapevate che a forza di portare una maschera, ne diventiamo noi stessi lo specchio? A forza di essere burberi, per esempio, diventiamo burberi dentro. A forza di sorridere, la nostra anima sorride. A volte sforzarci di essere quello che non siamo in quel momento, è il primo passo per diventare quello che desideriamo.

Grotowski, grande teorico della biomeccanica e del teatro fatto di carne, ossa, sudore, uomini, spesso esponeva un aneddoto. L'aneddoto del grizzly: "Poniamo che siete in una foresta e davanti a voi appare un enorme grizzly, terribile, spaventoso che vi punta. La prima cosa che fate è fuggire. Ma la mia domanda è. Avete paura e quindi fuggite, oppure fuggite di riflesso e la paura vi viene mentre state correndo via dal pericolo?"

Ecco qua, queste sono le due scuole di pensiero della recitazione. La prima è detta Stanislavskiana o Strasberghiana (Actor's studio), parla della nascita dell'azione (cioè della fuga dal grizzly) partendo dall'interiorità (cioè dalla paura che nasce dentro). La seconda, la scuola Grotoswkiana, ipotizza che invece la "maschera" generi lo stato d'animo interiore. Cioè che sia la fuga a generare la paura e non il contrario.

In poche parole, se volete indurre in voi la felicità, ci sono più strade: potete pensare a qualcosa che vi rende felice, e fare la scuola Strasberghiana, oppure potete sorridere e basta, e i pensieri felici verranno da soli.

E voi, quale delle due preferite?

La Saga prende vita

L'Anello di Saturno procede. Ho completato i primi tre volumi e sto ora scrivendo il quarto, il penultimo. Il percorso di scrittura di una saga è davvero emozionante.

Il mio metodo narrativo, come ho indicato in molti articoli precedenti, l'ho denominato "il metodo della pizza". Parto da una frase che racchiude tutta la mia storia, come fosse un aneddoto, e da lì, poco a poco, la faccio lievitare. In questo caso, si tratta di una storia di circa 350.000 parole.

Potete immaginare come, a un certo punto, il tutto prenda vita da sé! I personaggi, che all'inizio l'autore ancora non conosce e quindi plasma, riescono, dopo circa 100.000 parole, a parlare da soli. Addirittura, cominciano a reagire in maniera diversa, portando la storia verso direzioni non progettate inizialmente.

Quando ciò accade, è estremamente divertente, perché si avverte che non si tratta più solo di creazione, ma di collaborazione. L'autore collabora con la sua creazione che, essendo divenuta viva, ha le sue necessità, le sue richieste. Scrivere richiede una forma di rispetto nei confronti dell'opera scritta, e quindi, del nostro passato sé.

Se abbiamo scritto questo, non possiamo cancellarlo, ma dobbiamo abbracciarlo, costruendo, mattone dopo mattone, un edificio che rappresenti non solo la nostra volontà, ma anche il nostro inconscio, il nostro sé passato, con i suoi desideri, le sue visioni.

Ho approcciato questa saga in un modo piuttosto originale, lo vedrete. È una storia d'amore e di tempo, con un narratore molto particolare e un flusso creativo altrettanto unico. Ogni volume affronterà un sottogenere della storia d'amore, con forti movimenti narrativi che metteranno i personaggi in situazioni inaspettate e diverse ad ogni volume.

Durante la presentazione della Divina Avventura, ho incontrato Antonello Venditti, il copertinista. Il suo lavoro è stato così apprezzato che l'ho scelto per tutti e cinque i volumi de "L'Anello di Saturno". Ho avuto l'idea, insieme a lui, di rendere la copertina parte dell'esperienza, aiutando i lettori a scoprire dettagli e segreti nascosti tra le parole dei volumi.

In sintesi, sto lavorando sodo per creare un'esperienza coinvolgente e stimolante, sia dal punto di vista della fantasia che emotivo. Qualcosa che vi faccia piangere, provare adrenalina, curiosità e, soprattutto, che vi faccia sognare.

Detto questo, torno al lavoro!

Sublimare le emozioni

Perché fare arte? Perché esprimersi?

È una domanda che non mi pongo spesso, ma ogni volta che lo faccio, sono costretto a vedere le mie fragilità. Le prime risposte - che non è detto che siano quelle giuste - sono che "lo faccio per un appagamento personale", "per esistere, per essere riconosciuto. Essere amato." Spesso si dice che gli artisti (gli attori soprattutto) siano vanesi, narcisisti. Spinti solo dal desiderio di apparire.

Ma è davvero così?

Forse no. Almeno, non tutti. Io ho capito che lo faccio per vivere e per sopravvivere. Per affrontare meglio quelle difficoltà che emergono durante la vita, con strumenti di consapevolezza diversi, più intimi, profondi, naturali. L'arte non solo affila tali strumenti, ma né genera di nuovi.

Recitare, per esempio, mi fa vivere dimensioni che altrimenti non conoscerei: "la vita di un altro", scrivere mi permette di indagare su di me, sul mio stato, sulla mia vita. In entrambi i casi, si tratta di sublimazione.

"Sublimare" è una parola stupenda, soprattutto se legata al marcio che dentro tutti noi giace. Come diceva De André: "Dal diamante non nasce niente, dal letame, nascono i fior." Sublimare è quella cosa che eleva il magma interiore a diamante pronto ad essere mostrato ed indossato.

Certo, quanto più piace quel diamante, quanto più ritorno economico l'artista avrà dal suo operato. Non nego che sia importante, per tutti, anche l'artista, l'inflazione è reale. Ma il guadagno attraverso l'arte è quella che si chiama una condizione necessaria, ma non sufficiente, almeno per me.

Io credo che l'arte debba curare l'anima. Portando chi ne fruisce e chi la esercita su un binario comune, in cui per vie quasi magiche, la sublimazione dell'artista permette al fruitore di individuare i propri nodi interiori, come uno specchio dell'anima. Perché solo così, individuandoli, si possono affrontare i demoni.

Come si può sconfiggere ciò che non si conosce?

L'artista si immola, cavia di sé stesso, e scava dentro di sé per esplorare l'inconscio, il subconscio, il noumeno, per trovare ciò che sobbolle tra i demoni e gli angeli, nella terra del sangue. E poi, con un principio che supera persino l'alchimia, ne fa piccole perle da restituire a coloro che avranno la pazienza e la voglia di fruirne.

Questo principio di ricerca, che nulla ha a che fare con la consapevolezza meditativa del conoscersi, ma più con la potente esperienza dell'affrontarsi e del plasmare con le proprie proiezioni qualcosa di manifesto, vero. Questo processo è necessario. Questo processo per me è arte.

Il resto, come direbbe qualcuno, sono solo canzonette.

Un futuro radioso

Che dire, le prossime settimane si riveleranno intense.

Sembra che Tancredi finalmente riprenda in mano la sua vita. Ho molte scene, si comincia a sentire la fine della stagione, e tutto ciò che ne consegue. Sarà una stagione importante, questa del paradiso delle signore. Una stagione che vi ricorderete a lungo.

Ho anche una bellissima notizia da condividere con voi. Venerdì 8 dicembre (segnatevelo!) dalle 13, alla Nuvola dell'Eur, a Roma, presenterò ufficialmente l'edizione da libreria de "La Divina Avventura".

É un'edizione speciale, curata da un'editor, nel quale sono state apportate piccole modifiche, sia di testo che di formattazione, e soprattutto con una copertina del tutto nuova che svelerò durante la conferenza stampa, che avverrà all'interno de "Piu libri più liberi" che è la fiera della piccola e media editoria. Non solo presenterò il libro, ma per tutto il giorno sarò li pronto a fare il firmacopie, quindi, se venite, sappiate che firmerò con grande piacere qualsiasi cosa!

Questo per me sarà un momento importante, in cui questa impresa di scrittore che ho cominciato quasi un anno fa sta lentamente prendendo vita e dando frutti insperati. "La Divina Avventura" ha ricevuto tantissime recensioni positive, non potevo davvero chiedere di più. Grazie a tutti e tutte per l'appoggio incondizionato che mi avete dato in questi mesi e se verrete alla presentazione, ve ne sarò grato.

Per chi non potesse essere presente l'8 dicembre, ripeterò il firmacopie anche domenica 10, sempre alla nuvola, tra le 14 e le 16.

Detto questo, Natale è alle porte. Si cominciano a comprare gli addobbi, ci si scalda il cuore quando le luci sulle strade sopra i negozi, di notte, scintillano. Io uso un albero di plastica. Da una parte sono consapevole che è un mostro anti-ecologico, dall'altra, è un albero tagliato in meno che non lascia aghi ovunque (ma neanche emana quello splendido odore) ed è super comodo da montare e smontare. Vi prometto che quando lo avremo addobbato, vi posterò una foto sui social.

Non solo Natale, ma anche Capodanno! Quest'anno abbiamo preparato una cosa spettacolare per Elettra, che non posso svelare perché è un segreto talmente segreto che non vogliamo che nessuno lo sappia. Diciamo solo che abbiamo preparato un lungo viaggio verso una destinazione che, quando scoprirà qual è, credo che esploderà in una gioia incontrollata. Non vedo l'ora di vederla saltare di entusiasmo.

E poi arriverà il nuovo anno. Il 2024 sarà un anno pieno di sorprese. Ho scelto di continuare a fare il paradiso delle signore per almeno un'altra stagione. Tancredi, come vedrete, quest'anno affronterà delle grandi sfide, che metteranno a dura prova la sua persona. Il prossimo anno, forse, sarà un anno di rinascita e di scoperte di un pezzo di cuore che non sa nemmeno lui dove sta, chissà... Non vedo l'ora di scoprirlo insieme agli autori.

Ma prima della prossima stagione del Paradiso, ci sono due progetti a cui tengo molto che usciranno all'inizio dell'anno. "La Lunga Notte" in cui interpreto Umberto Secondo di Savoia, e "Margherita delle stelle" in cui interpreto Aldo de Rosa, il marito di Margherita Hack. Le date non sono state ancora definite con precisione, ma si tratta dei primi due mesi dell'anno prossimo. Comunque, anche lì, vi farò sapere tutto tramite il diario e i social.

Insomma, la vita dell'artista è piena di sorprese, su questo non ci sono dubbi. Alti e bassi, crisi ed entusiasmi, è una montagna russa di emozioni del quale sono grato, sia nel bene che nel male.

Come diceva Clark Gable, riflettendo con humour sulla lunga ed estenuante strada che gli attori devono percorrere nella loro carriera, suggerendo che le difficoltà non finiscono mai veramente, nonostante l'apparente "facilità" acquisita con l'esperienza:

"Non dimenticare che nel mestiere di attore solo i primi 30 anni sono duri."

Clark, ho superato i 20 anni, altri 10 e poi mi rilasso!

Scrivo, recito, vivo

Finalmente sono tornato a pieno regime. Giro il Paradiso delle signore, scrivo la saga, seguo le vendite della Divina Avventura, e vivo la vita.

In questi mesi intensi che hanno prima preceduto il lancio del libro e poi i mesi a seguire, ho imparato tanto. C'è una qualità, nel fare ciò che si desidera, che nessun libro può insegnare. L'esperienza empirica. Il comprendere i nessi tra situazioni e opportunità che a colpo d'occhio sembrano slegate, e invece sono connesse.

Per esempio, ho scoperto che andando "da solo" mi sono precluso la possibilità di fare firma copie del libro e di uscire in libreria. É qualcosa che già sapevo e avevo fatto i conti con questo. Ma poi, vuoi per caso, vuoi per destino, vuoi per fortuna che, come dice Seneca, "è il talento che incontra l'opportunità" ho incontrato un'opportunità, appunto, che ho colto al balzo.

Un'opportunità che mi darà la possibilità di fare tutto quello che non ho fatto finora, senza dover rinunciare al lavoro fatto fino ad adesso. Più avanti vi informerò.

In questi giorni ho scritto il primo lungo capitolo del secondo volume della saga. Pagine strazianti, difficili, che mi prosciugavano mentre le scrivevo. É un'esperienza nuova scrivere una storia in volumi. Perchè quando scrivi un volume singolo, ti poni davanti alla responsabilità di "quando cominciare", ti devi chiedere in quale momento la storia inizia davvero, per evitare di raccontare fatti che non sono inerenti al grande disegno che hai in mente.

Ma quando scrivi in volumi, è diverso. Il secondo volume non può che continuare li dove il primo si è concluso. Ma come vi ho detto, questa storia non è solo una storia d'amore, ma di tempo e di destino. E quindi, anche se il secondo volume continua "lì dove il primo si è concluso", comincia 16 anni dopo. Non preoccupatevi, capirete tutto quando lo leggerete.

Mi chiedono spesso "ma quando riesci a scrivere con tutto quello che fai?". É una domanda complessa, nel senso che ci sono mille modalità di scrittura. C'è la prima fase, cioè lo scrivere "la storia", la struttura. É una fase lunga e cogitativa, che avviene perlopiù tra le fibre dei miei neuroni. Una fase in cui nomi, luoghi, eventi, sono fluidi, indistinti, in cui sono alla ricerca del tema, delle domande, dei miei desideri. Il momento in cui le idee mi vengono in mente e in cui, paradossalmente, non scrivo, proprio per permettere alla mia mente di maturare, di produrre con libertà. Questo lo faccio sostanzialmente sempre, ovunque, persino nel sonno.

Poi, strutturata la storia, passo alla fase creativa. Una fase in cui scrivo letteralmente le scene. In cui piano piano la storia prende corpo e da favola che era, diventa qualcosa di tangibile, in carne ossa, mura e meteo. Questa è la fase più difficile per me, perchè richiede almeno un paio di ore di solitudine, nel quale posso immergermi nella mia fantasia, e creare di tutto punto qualcosa di interessante. Una fase che somiglia alla recitazione, in un certo senso.

Provo a creare ogni giorno, ma purtroppo non riesco, poiché non è facile, considerando la mia fitta agenda, infilare 2 ore di buco di fila. Ma faccio di tutto per farlo e rinuncio a molte altre cose.

Infine, c'è l'editing, il pulire e limare la prosa. Individuare le incoerenze, aggiungere piccoli dettagli, trovare il tono e la voce del narratore e fare in modo che tutto sia consistente su tutta la durata del testo. Spesso faccio questo lavoro nel pomeriggio, tra un momento e l'altro. Il bello di questa fase è che può essere fatta a piccoli blocchi, perchè sono già stati scritti.

Spesso, durante una scena di buco sul set, dopo che ho cambiato costume, mi siedo alla mia scrivania del camerino, e mi immergo, per quanto possibile, nel mondo che sto immaginando.

Mi piacerebbe un giorno dedicarmi esclusivamente alla scrittura, avere uno studio personale, un luogo dove coltivare la mia immaginazione, con libri, legno e il mio fedele computer.

Sono convinto che arriverà.

le Paure di un Attore di 44 Anni

Questa è la settimana della scelta.

Come vi ho scritto nella pagina precedente, ho scelto di scrivere una pentalogia, una saga in cinque volumi. Una storia d'amore, di tempo e di destino.

Ma ora ho una scelta altrettanto importante da fare: Continuare o meno il "Paradiso delle signore".

Come molti di voi sanno, oltre a scrivere recito, e in questo ultimo anno ho intrapreso l'avventura di recitare "Tancredi di Sant'Erasmo" nel fantastico Daily di Rai Uno. Un personaggio molto ambiguo, c'è chi dice terribile, manipolatore, ma innamorato. Io lo definisco "il lato oscuro del romanticismo."

Ho cominciato a girare la serie del paradiso - che andrà in onda ora - a Maggio. Sono molti mesi di lavoro, per fare una stagione, lavoriamo ininterrottamente da giugno a gennaio dell'anno successivo. Durante lo shooting, è molto difficile partecipare ad altri progetti, perché siamo molto impegnati sul set.

Tancredi è un personaggio che ho imparato ad amare, e che in questa stagione avrà molte trasformazioni. Molti segreti, molte scoperte. Insomma sarà sicuramente al centro del fulcro narrativo.

A questo punto vi chiederete per quale motivo dovrei essere titubante se continuare o no a recitare dentro a questo stupendo progetto. Innanzitutto, dovete sapere che - per fortuna - in questa stagione, sulla Rai, uscirò con altri bei progetti, un fil m tv su Margherita Hack in cui interpreto il marito di lei, Aldo de Rosa (uno scrittore peraltro) e una serie sulla caduta del fascismo in cui interpreto Umberto II di Savoia. Insomma, sarà uno di quegli anni in cui sarò come il prezzemolo. Poi, c'è "La Divina Avventura", e poi ci sono i libri che sto preparando. Infine c'è il Diario. Ah, dimenticavo, ho una figlia di 6 anni e una meravigliosa famiglia. Insomma, ho moltissime cose e pochissimo tempo. E questo è il mio primo timore.

Un altro timore è quello di rimanere incastrato in un ruolo o in un progetto. E' una paura che ho, quella di essere poi relegato a "tu sei quello del paradiso". Ma non credo di incorrere in questo pericolo. In fondo sono anche quello de "Un medico in famiglia" oppure de "Distretto di polizia". Insomma, di progetti popolare (e non) ne ho fatti tanti, quindi oso sperare che piano piano la gente riesca a riconoscermi per tutti questi messi insieme.

L'ultima paura, la più grande, è il timore di perdere opportunità di lavoro. Come vi dicevo, facendo una serie importante come il "paradiso delle signore", non ho la possibilità di affrontare altri protagonisti. E con i miei 44 anni, sto entrando in un'età che viene definita "l'età dell'oro" per l'attore uomo. Sono ancora in forma, ma ho esperienza, so recitare e posso affrontare personaggi importanti, che hanno un bagaglio di vissuto forte ed emozionante. Sento di essere pronto a regalare interpretazioni complesse. E questo tipo di lavoro richiede un asseto diverso. Spesso è più facile farlo in un film, oppure in uno spettacolo teatrale, piuttosto che in una daily. Badate, Tancredi è un personaggio molto complesso e devo ammettere che quest'anno le giravolte emotive alle quali sono sottoposto non sono mica da ridere, anzi. Complimenti agli autori.

E poi dopo le paure, ci sono anche le cose  belle. Lavorare nel paradiso delle signore è come lavorare in una grande famiglia, si comincia a conoscere tutti, ci si saluta, ci si sente via Whatsapp. Ci si scambia opinioni, si affrontano le difficoltà del set insieme. Si trovano compromessi.

E poi è un lavoro che mi da molta stabilità, e nei giorni liberi che mi rimangono durante le settimane (perchè ci sono) posso scrivere. E questo, per chi ha imparato a conoscermi, non è un dettaglio da poco.

Insomma, domani devo incontrare il mio agente, Luca. Un amico. Sono 20 anni che lavoriamo insieme. E con lui parlerò del da farsi. Lui penso che preferisca che io salpi verso nuovi orizzonti. Io… io non lo so. Ma lo scoprirò a breve.

La Mia Routine di Rigenerazione

Qual è il vostro primo ricordo di vacanza?

Quando andavo in collegio, dai 13 ai 19 anni, la vacanza era il momento in cui "andavo via da scuola" e tornavo dai miei genitori. Le grandi vacanze, poi, erano un momento di trasformazione. Passavo l'estate in un piccolo borgo ligure di nome Tellaro. Un luogo in cui ho sepolto mille dolori e mille amori. Un luogo che ho chiamato casa, pur sentendomi uno straniero per tutta la vita. Pochi amici, molte ferite. Ma era il luogo in cui sono cresciuto, in cui mi abbronzavo (passando inevitabilmente per scottature indicibili). Il luogo da cui tornavo per cominciare un nuovo anno in collegio.

Da giovane le vacanze erano il mio modo per rinnovarmi, per tornare un Flavio nuovo, pieno di esperienza, di cose belle da raccontare. Un'illusione, ovviamente, poiché tornavo sempre il solito ragazzo, al solito tempo, come direbbe il poeta che c'è un me.

Ricordo che un anno tornai così abbronzato che i miei amici fecero fatica a riconoscermi. Sono di carnagione chiara, e diciamolo, piuttosto restìo al sole. Ma quell'anno, forse fu quello dei miei sedici anni, passai delle vacanze sotto il sole. Probabilmente per amore.

Ora sono un adulto, un uomo, e la vacanza assume per me un valore diverso, un momento di pace e tranquillità in cui riposarmi. Mi aspettano 10 giorni di Sardegna, nel quale farò di tutto per rilassarmi. Ma riuscirò a non pensare, a non scrivere, a non generare idee? No. Lo so già. Non ne sono capace.

Anzi, quando mi immergo in seduto rilassanti, in momenti di vuoto, ecco che una valanga di idee fresche mi travolge il cuore. E sento la necessità di scriverle, soprattutto se sto, come adesso, generando una nuova storia. Sento il desiderio impellente di buttare giù qualcosa, di sentire che sto procedendo verso la fine, verso quel momento in cui la prima stesura è completa e inizia il lavoro "comodo", cioè l'editing, la bella, il momento in cui tutto torna, in cui i nomi dei personaggi si fanno roccia, in cui, come un indagatore, vado alla ricerca delle coerenze nei fatti e negli eventi della mia storia, in cui faccio ricerca minuziosa su un punto preciso, magari tecnico, che richiede fedeltà e realismo.

Insomma, io e le vacanze non siamo mai andati d'accordo. Vuoi per estraneità ai fenomeni di gruppo (non parlatemi di discoteche, fuggo) vuoi per incapacità personale di "vacare" nel senso latino del termine, cioè di trovare un vuoto.

Non sono capace di andare in vacanza, è questa la verità. Eppure, ci andrò. Quando leggerete questo articolo sappiate che starò cuocendo sotto un sole feroce, alla ricerca di una coca cola ghiacciata e un po' di ombra. La mattina, prevedo di scrivere con un bel caffè americano e il mio portatile. Il nuovo libro sta andando avanti, sono arrivato alla prima stesura del trentesimo capitolo, prevedo di scriverne 100, ma la sinossi è pronta, quindi la storia, nella mia mente, c'è.

Il dilemma ora è decidere se continuare come ho fatto con "La Divina Avventura" cioè andare da solo, senza casa editrice, oppure cambiare approccio e tentare un percorso più classico. Non riesco a trovare la risposta perchè dentro di me, come sempre, ferve il mio tragico desío d'indipendenza.

Prima o poi dovrò fare una scelta, ma nel frattempo, torno a giocare con Elettra sulle rive del mare, a ridere con lei, a gioire della mia famiglia e di quanto preziosa sia questa vita. Buone vacanze a tutti. Grazie di seguirmi. Ci vediamo al mio rientro.

Come Evitare il Blocco dello Scrittore

Molti mi chiedono come riesco a evitare il blocco dello scrittore.

Ho scritto un libro e ne sto scrivendo un altro, ho scritto sceneggiature, poesie, film e videogiochi, ma non ho mai sperimentato il blocco dello scrittore. Come è possibile? Come lo faccio? In realtà, la risposta è piuttosto semplice e si basa su una combinazione di disciplina, curiosità e continua attenzione al mondo che mi circonda.

Il blocco dello scrittore può insorgere per molte ragioni: può derivare da una mancanza di ispirazione, dalla paura di affrontare questioni dolorose, o, come ritengo sia il caso per molti, da una mancanza di chiarezza di intenti.

Cominciamo con l'ispirazione. Che cos'è l'ispirazione e come la si trova? L'ispirazione non è un diamante nascosto o una pepita d'oro che si scopre scavando nelle profondità del proprio io; quelle sono le idee. L'ispirazione è uno stato vitale, un modo di affrontare l'esperienza e la vita. Nasce dall'osservazione del mondo, dallo scrutare la natura, l'umanità, le debolezze e le meraviglie che ci circondano. L'ispirazione consiste nel tenere gli occhi aperti e lasciare che la continua trasformazione del tempo e dello spazio ci trasformi a nostra volta. L'ispirazione è costante cambiamento, è l'antitesi della stasi. Pertanto, se vi sentite privi di ispirazione, uscite, camminate, leggete, cercate qualcosa fuori da voi stessi. Non temete, l'ispirazione non si cerca, si vive.

In seguito, affrontiamo la paura. La paura di scoprire qualcosa di noi stessi, di dire qualcosa di vero, qualcosa che potrebbe ferire gli altri o creare tensioni con il nostro mondo. L'artista, non importa cosa si dica, è innanzitutto un prisma di coraggio. In tutte le sfaccettature della luce che emana, c'è una folle dose di coraggio. Esprimere onestamente i propri pensieri richiede coraggio, così come mostrare le proprie fragilità. L'artista punta il dito sulla realtà come un bambino che, inconsapevolmente, fa cadere il peso della verità sugli adulti che continuano ad ingannarsi per non affrontarla.

Infine, giungiamo alla chiarezza di intenti. È l'elemento fondamentale di ogni narrazione. Se sapete realmente di cosa parla la vostra storia, di cosa tratta, quale tema sostiene, quale idea la guida verso la realtà, allora non vi bloccherete mai fino a quando non l'avrete completata.

Se sapete cosa volete dire e riuscite a esprimerlo in una singola frase, allora siete sulla buona strada. Il metodo e la tecnica vi aiuteranno a sviluppare nel migliore dei modi lo scheletro della vostra opera e una volta completata la struttura, tutto ciò che vi resterà da fare sarà sedervi davanti a voi stessi e raccontare una storia che conoscete già.

Buona scrittura e buona scoperta.

Ci vediamo .

Interpretare "La Principessa sul Pisello"

Oggi desidero discutere sul senso delle cose. È giusto voler attribuire un significato a tutto? È corretto desiderare di trasmettere un messaggio chiaro, oppure è preferibile raccontare una storia nel migliore dei modi e lasciare che sia lo spettatore a interpretare la morale? È un dilemma interessante, ricco di sorprese inaspettate.

Ricordo una volta in cui scoppiò un acceso dibattito tra i miei genitori riguardo alla favola "La principessa sul pisello". Molti di voi la ricorderanno. In sostanza, la storia racconta di un principe che, dopo aver cercato invano una principessa adatta, si lamenta una sera di temporale che non esistono donne abbastanza sensibili, belle e delicate per lui. La madre, che ha respinto tutte le pretendenti con la fermezza tipica di una suocera, concorda con lui. Durante quella notte tempestosa, una giovane ragazza, fradicia dalla testa ai piedi, bussa alla porta del castello. Ha un volto splendido e modi garbati, e afferma di essere una principessa proveniente da un regno lontano, venuta per incontrare il principe. La regina, molto scettica, decide di mettere alla prova la delicatezza della presunta principessa. Ordina alla servitù di preparare un letto con ben sette materassi, e sotto il primo materasso - quello in fondo alla pila - pone di nascosto alcuni piselli secchi. La ragazza ringrazia per l'ospitalità e si ritira a dormire.

La mattina seguente, con un bel sole a illuminare il cielo, la giovane esce dalla stanza. La regina le chiede subito: "Come hai dormito, cara?" "Terribilmente", risponde la ragazza. "È come se avessi dormito sulla roccia. Questi materassi sono davvero scomodi, non so come riusciate a dormirci sopra!" In quel momento, la regina capisce di avere a che fare con una vera principessa. Non passa molto tempo prima che il principe e la giovane si sposino e, come si suol dire, vivano felici e contenti. (Anche se ho qualche dubbio, e ora vi spiego il perché.)

Ero nel grande salone di casa a Milano e non ricordo come, ma io e i miei genitori finimmo a parlare di questa favola. La cosa più stupefacente furono le due diverse interpretazioni che emersero dalla storia. Uno dei due sostenne che "La principessa era così sensibile, con una pelle così fine e un'anima così delicata, da sentire persino i piselli sotto sette materassi". L'altro invece affermò: "Ma no, è evidente che non è possibile sentire tre piselli sotto sette materassi. Il fatto stesso che la principessa si sia lamentata di sette materassi dimostra che è una principessa! La regina ha capito che era una principessa perché, nonostante avesse tutto per dormire alla perfezione, si è lamentata comunque!"

Come è possibile che due interpretazioni così diverse possano emergere dalla stessa storia? Questo è, come ho già accennato, il potere dell'attribuzione. Ma è anche il potere della lettura. La lettura è un atto creativo, che genera in chi legge idee, visioni e morali singolari, specchi del nostro io. Nel processo di lettura non c'è "imposizione" del pensiero, ma piuttosto "creazione" del pensiero. Leggere significa libertà, crescita, autonomia. È l'esperienza più vicina che abbiamo al vivere qualcosa, senza i rischi annessi.

Quindi leggete! Leggete! Leggete! Chissà, forse una storia già letta potrebbe rivelarsi, dopo una rilettura, una storia completamente diversa.

Perché ho scelto il self-publishing: i problemi con l'editoria tradizionale.

Oggi desidero condividere con voi un argomento molto personale e controverso, che potrebbe sollevare dibattiti accesi soprattutto tra coloro che lavorano e prosperano nel mondo dell'editoria. Il tema che affronterò è il vero motivo per cui ho scelto di percorrere la strada del self-publishing.

Prima di tutto, cos'è il self publishing?

"Il self-publishing, o autopubblicazione, è un approccio alla pubblicazione di libri e altri contenuti in cui l'autore decide di pubblicare il proprio lavoro senza l'intervento di un editore tradizionale. In pratica, l'autore si assume la responsabilità di gestire l'intero processo di pubblicazione, dalla stesura del manoscritto fino alla promozione e alla distribuzione del libro."

Innanzitutto, tengo a sottolineare che non nutro alcun risentimento nei confronti di chi si dedica con passione alla scrittura, alla produzione e alla distribuzione di libri. L'editoria è un settore nobile e meraviglioso, e sarò sempre grato a tutte le collane (Adelphi e Astrolabio, parlo a voi!) che mi hanno permesso di arricchire il mio bagaglio culturale e di scoprire strumenti utili per la mia crescita personale. Pubblicare con un editore tradizionale può essere un'opzione affascinante e prestigiosa, soprattutto per chi non si sente portato per l'imprenditoria.

Tuttavia, ho notato che l'editoria italiana (e non solo) presenta alcune criticità che mi hanno spinto a optare per il self-publishing. Benché non abbia molta esperienza nel settore, ritengo che i seguenti problemi siano abbastanza gravi da aver influenzato la mia scelta.

Il primo problema riguarda la lentezza del processo editoriale. Da quando il manoscritto arriva sulle scrivanie degli editori alla sua pubblicazione possono trascorrere anni, il che rappresenta un ostacolo sia per il mio temperamento impaziente sia per il mio entusiasmo creativo. Gli artisti tendono a rinnegare i lavori precedenti e a voler promuovere solo le opere più recenti; un ritardo nella pubblicazione potrebbe quindi costringere un autore a promuovere un libro che non lo rappresenta più.

Il secondo problema concerne la libertà creativa. Un autore conosce a fondo la propria opera e desidera proteggerla come un figlio. Tuttavia, firmando con un editore tradizionale, l'autore rinuncia al controllo su aspetti cruciali come la copertina e la quarta di copertina. In caso di insuccesso, l'editore potrebbe decidere di abbandonare il progetto, mentre nel self-publishing l'autore ha la possibilità di cambiare strategia e di continuare a promuovere il proprio lavoro con determinazione.

Il terzo e più rilevante problema è di natura economica. Dopo aver dedicato almeno un anno e mezzo alla stesura del manoscritto, un autore che sceglie di pubblicare con un editore tradizionale riceverà un anticipo e dovrà attendere circa un anno per conoscere le vendite del proprio libro. La percentuale che gli spetta sul prezzo di copertina varia solitamente tra il 5 e il 10%, dopo aver coperto l'anticipo ricevuto. Inoltre, da quella somma, va decurtata la percentuale dell'agente che percepisce circa il 15/20% del guadagno dell'autore. A mio avviso, questa situazione è iniqua nei confronti dell'autore, che è la mente creativa dietro l'opera e che si è impegnato a lungo nella sua realizzazione.

E' facile scegliere il self publishing se si ha una certa fama e i soldi per investire in marketing, mi direte. E' vero, ma non è per questo che l'ho fatto. L'ho fatto perché sono convinto che questo percorso mi consenta di avere maggiore controllo sulla mia opera e di valorizzare al meglio il mio lavoro. Avrei potuto optare per un percorso più semplice e meno oneroso, ma il vero motivo che mi ha spinto verso il self-publishing è il rispetto che nutro per la figura dell'autore e la volontà di non accettare che siano considerati come l'ultimo anello nella catena dell'editoria. Gli autori sono il motore primigenio dell'intero settore.

Sono consapevole che il self-publishing comporta sfide e difficoltà, ma ritengo che offra agli autori l'opportunità di difendere con passione il proprio lavoro e di perseguire i propri obiettivi con determinazione. In futuro, pubblicherò un articolo che analizzerà in dettaglio i pro e i contro del self-publishing, per offrire un quadro più completo delle implicazioni di questa scelta.

Per ora, spero che questa mia "giustificazione" vi abbia offerto uno spaccato delle ragioni che mi hanno spinto a intraprendere la strada dell'autopubblicazione. Ogni autore ha le proprie motivazioni e priorità, e credo che sia fondamentale rispettare le scelte individuali in un settore così complesso e articolato come l'editoria. Il mio desiderio è che la mia esperienza possa essere d'ispirazione per altri autori e contribuisca a stimolare un dibattito costruttivo sul futuro dell'editoria e sul ruolo degli scrittori in questo panorama in continua evoluzione.

E poi... come dicono gli antichi: "Chi fa da sé, fa per tre"!