Parto per la tangente
Mi capita spesso di partire per la tangente, e devo dire che non so se sia il mio più grande difetto o una qualità intrinseca del mio processo.
Sono un ossessivo compulsivo, non mi fermo finché non sono soddisfatto totalmente, oppure talmente esausto che è il mio corpo a impormi la pace.
In queste ultime settimane, per esempio, mi sono addentrato in un territorio a me consono, ma che non frequentavo dai tempi dell’università. Sto sviluppando un app che mi aiuterà in questa impresa editoriale.
Per app intendo strumenti che mi permettono, in poco tempo, di fare analisi dei numeri, oppure servire a voi che mi leggete per trovare il volume giusto della saga giusta, o ancora farvi una domanda che mi aiuta a capire a che punto siete con la lettura (questo piccolo intermezzo che arriva a fine articolo).
Visto che negli ultimi anni mi sono dedicato anima e corpo non solo alla recitazione e alla scrittura, ma anche al marketing, ho deciso che era venuto il tempo di fare le cose sul serio, e di creare una mia suite di strumenti per «facilitarmi» il lavoro.
Mi viene da ridere, perché se forse è vero (forse) che mi faciliteranno il lavoro, è certo che ad oggi mi stanno consumando vivo. Sono almeno due settimane che passo ogni ora del giorno e della notte libera a raffinare, togliere e mettere cose che mi servono.
Da vero ossessivo compulsivo non riesco a resistere alla chiamata di introdurre una nuova cosa, sempre sperando che questa non si riveli un altro labirinto nel quale mi infilo e che mi richiederà dieci volte il tempo pensato.
E, puntualmente, è esattamente questo che mi aspetta.
Ma ora che ho immaginato cosa voglio, che ho salivato all’idea di avere questa nuova possibilità, come posso rinunciarvi?
Impossibile.
E quindi la mia personale scalata all’Everest prende un bivio ancora più rischioso, una diramazione che allunga di nuovo il viaggio.
E poi un’altra.
E un’altra ancora.
Per fortuna tengo bene a mente perché lo sto facendo. Credo che il «perché» sia l’unica domanda salvifica per l’artista. Lo costringe a una frontiera, a un limite che si allinea con la sua anima.
«Perché?»
«Perché scrivo? Perché recito? Perché?»
Perché mi piace comunicare, mi piace emozionare, mi piace vedere e sentire nell’altro un contatto che va oltre la molecola. Qualcosa che si muove nell’etere, nello spazio vuoto tra gli atomi. L’arte.
È per questo che lo faccio. Per esistere e coesistere nel presente con la recitazione e anche altrove, in voi che mi leggete.
Ho accumulato un ritardo di parecchie settimane sulla mia scaletta da scrittore. Dovrei già essere in mezzo alla scrittura del quarto volume del Labirinto della Speranza, ma non ho ancora consegnato il terzo ai beta reader.
In compenso, ho già la scaletta, quindi oso sperare che, arrivato al quarto volume, i personaggi siano ora più a fuoco e mi richiedano meno fatica. È bella, questa fase.
C’è da dire che in questa saga ho usato molto meccanismi narrativi moderni (il flashback, per esempio), che hanno la qualità di permettermi di scoprire il passato dei personaggi e capirne meglio il presente.
E ovviamente, per rendermi la vita facile (come avete capito, è la mia specialità :D), ho deciso che nell’ultimo volume avrò due linee temporali, e il flashback sarà incentrato (per la prima volta) sul protagonista.
Cosa significa?
Che il mio protagonista lo scoprirò davvero, sia nel passato che nel presente, a saga conclusa.
La seconda stesura sarà uno spasso.