Il fantasma della coscienza

Siamo coscienza, siamo passione e nutriamo il desiderio di trasformazione e di vita.

Viviamo costantemente tra le altalene del tempo, tra i viaggi nell’io e nel mondo.

Sto affrontando i temi dell’occulto: inizi da quelli più blandi, come l’astrologia e la lettura dei tarocchi, per giungere alla divinazione e molto altro, il tutto all’interno di un thriller psicologico.

Mi direte: allora stai scrivendo un thriller paranormale?

No, non esattamente. Voglio mettere a fuoco l’ambiguità che regna nel mondo delle percezioni, dei fantasmi e della psicologia.

Psiche, per i Greci, era una dea: aveva un corpo, esisteva in quanto tale.

Ora, per noi, la psiche ha raggiunto una forma molto più astratta eppure altrettanto concreta – se non addirittura di più – di una dea nell’Olimpo.

Noi creiamo manifestazioni della realtà e, piano piano, ne scopriamo i dettagli, contribuendo a definirne il disegno.

Sono le nostre proiezioni a dare forma alla realtà, e questo vale anche nell’occulto.

Una cosa diventa vera se ci si crede abbastanza.

E, visto il mio amore per le parabole, le metafore e le storie fantastiche – che in realtà sono molto pragmatiche e reali – ho scelto di affrontare l’ambiguità del reale nel thriller psicologico.

Cosa, se non una manipolazione della realtà attraverso l’occulto, può incarnare il folle desiderio, la passione, l’amore?

In psicologia si parla spesso della rimozione, del dimenticare un evento tragico pur di sopravvivere alla quotidianità.

In realtà, cosa differenzia questo da un fantasma che torna ad abitare la realtà perché non è pronto a lasciarla andare?

Entrambe le cose sono eteree, inafferrabili eppure trasformano profondamente l’individuo che le vive.

In questa analogia, tra il fantasma e la coscienza, tra il senso di colpa e la visione, si svolge la mia storia.

Un luogo in cui le passioni travolgenti si infiammano senza resistenza, in cui le barriere crollano, i cuori esplodono e, forse, le anime guariscono.

Un’odissea nei generi dell’ambiguità e della tensione.

Un viaggio anche nell’erotismo, nella manipolazione, nell’occulto e nella magia.

Ma, soprattutto, un viaggio nell’anima dei miei personaggi, dei quali scopro, ogni giorno, sfaccettature che non avevo colto.

Ogni giorno diventano sempre più umani, sempre più sfumati e, in un certo senso, sempre più ambigui.

Il bello di scrivere, per me, risiede proprio nell’opportunità di esplorare campi dello scibile che altrimenti non avrei conosciuto.

È come viaggiare con la mente.

Scopro così che le dimensioni che mi circondano sono tante quante le persone che vivono questa realtà.

Anzi, molte di più, perché Erik, Morgana, Euridice, Paolo, Aurora sono, per me, persone che esistono, che pensano, che hanno una visione del bene e del male e problemi da risolvere.

Ho consegnato il primo volume alle beta reader e sto ricevendo i primi riscontri, molto utili soprattutto per comprendere se lo stile, la struttura verbale e il flusso degli eventi risultano efficaci.

Questa saga è un’avventura creativa davvero ricca, che mi ha messo alle corde già a partire dal secondo volume.

Tutto fluisce in modo più sottile, subdolo.

È un labirinto anche per me, del quale conosco “più o meno” il finale, ma che mi costringe, ogni volta, a riscrivere quello che pensavo sarebbe accaduto.

Alla prossima pagina

Giù le mani dal passato

Ho riletto il quinto volume de L’Anello di Saturno. La sua conclusione.

È un volume che ho scritto tempo addietro e, come sapete, ora sto lavorando su Il Labirinto della Speranza. Una saga del tutto diversa, con tempi, ritmi, personaggi e temi diametralmente opposti a quelli così morbidi de L’Anello.

Mi ritrovo quindi davanti a una vecchia fotografia di me. Non aggiornata al presente, mi rimanda a un me distante, diverso. Uno scrittore che cercava di espandere la sua prosa, di rallentare il ritmo del racconto, di indugiare nella descrizione, nella narrazione dell’umanità dei personaggi.

La tentazione di rimettere le mani sul testo per aggiornarlo al mio nuovo stile è forte, e devo resistere. Non tanto perché non sarebbe un miglioramento, quanto perché mi voglio imporre di rimanere fedele al me che ha voluto raccontare l’amore.

Rileggere il volume mi ha messo in una piccola crisi. Sono passati alcuni mesi, più di cinque, da quando l’avevo finito di scrivere, e il ricordo che avevo era diverso. Più forte, più intenso. Invece, ho trovato morbidezza, tranquillità.

In un certo senso, ne sono felice. È una piccola dimostrazione che la natura della saga de L’Anello di Saturno è autentica, genuina. Come può essere la risoluzione dell’amore vero, se non nella morbidezza tragica della nostra vita?

Come scoprirete, il quinto volume ha una sua natura particolare, intensa, autonoma quasi.

“Vive di vita propria”, si potrebbe dire.

Che bello rileggersi a distanza di tempo. Non tanto per osservare la prosa o la trama, ma per ricordare quel me che si struggeva nella scrittura delle parole. Per rivivere, in un certo senso, il Flavio d’un tempo.

La scrittura è un viaggio profondo, che non finisce con la fine del libro. Perché ogni libro è un eco di un frammento di me.

Un tuffo nel passato.

L’arte è uno specchio, davanti al quale l’artista ha l’opportunità non solo di esplorare il mondo attorno a sé o il proprio mondo interiore, ma ha la fortuna di vederne una manifestazione tangibile, reale.

Una proiezione in carne, che gli ricorda chi è, da dove viene, cosa ha fatto per arrivare al presente.

Può essere una prigione come un’opportunità.

Un mio maestro mi diceva spesso che “non bisogna affezionarsi alle proprie idee”. E questo vale anche per le parti di noi.

E rileggendomi, provo grande tenerezza per il me che ero, che sono e che, spero, sarò.

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Elogio alla gentilezza

La gentilezza è una qualità rara, delicata e timida, che però, quando emerge, rende il presente un momento di piacere e comunione. È una forma di intelligenza inclusiva, che include, all'interno del pensiero, anche l'altro.

I miei genitori sono persone gentili e, di rimando, lo sono anche io. Spesso penso all'altro, a come reagirebbe se dicessi questa o quell'altra frase. Spesso taccio se capisco che in quel momento è l'altro ad aver bisogno di essere ascoltato.

Mi chiedo se la gentilezza non nasca da un velato senso di colpa, da un pensiero che di sfuggita ci ricorda che non facciamo abbastanza per gli altri. Forse, ma anche se fosse, non cambierebbe l'effetto benefico che può avere sia sugli altri, ma soprattutto, e qui entra l'artista che c'è in me, su di noi e sulla nostra capacità di crescere e affrontare le crisi.

Essere gentili significa ascoltare. E nella carriera di un artista, l'ascolto è importantissimo. Se in una prima fase, "chiamiamola scolastica", l'artista è costretto ad ascoltare i propri maestri imposti dalla strada che ha scelto, poi dovrà trovare i suoi maestri e sceglierli lui. Questo non è possibile se non vi è un buon grado di ascolto di ciò che ci circonda. È l'allievo che sceglie il maestro e, perché questo succeda, ci deve essere, in entrambi, maestro e allievo, gentilezza.

Badate, in questo caso la gentilezza non significa dolcezza o servizievolezza, al contrario. Un maestro può toccare punte di severità incredibili quando trova un allievo pronto ad assorbire veramente la sua arte, a rinnovarla per la sua generazione. Ma lo fa con gentilezza, ascoltandolo.

Si può dunque essere severi e gentili, duri e gentili, ma non cattivi e gentili. Dove sta la differenza? Nel rispetto della persona. E l'unico modo per rispettare una persona è ascoltarla.

La gentilezza dunque, nell'arte, è ascolto. Questo vale sia per quanto riguarda l'esecuzione, come ad esempio nella recitazione: un fattore fondamentale che determina quanto è bravo un attore a recitare è la sua capacità di ascoltare il proprio partner. Ma vale anche per un'altra forma di gentilezza, spesso sottovalutata o persino ignorata, la gentilezza verso noi stessi.

Spesso si parla di obiettivi, di raggiungere il successo, che sia ricchezza, fama, una famiglia, non importa. Ogni obiettivo che nasce dalla gentilezza è da rispettare. Ma dobbiamo anche rispettare la persona che siamo. Ascoltarci, ricordare da dove veniamo, cosa ci rende forti, cosa ci mette in difficoltà. Crescere è importante, ma va fatto con amore per se stessi. Con gentilezza.

E questa ultima frase la dedico a me. Purtroppo lì sono abbastanza carente. Penso spesso che il tempo che dedico a tutto ciò che non è "nel mio mirino" sia tempo perso. È un pensiero sbagliato, ne sono ampiamente consapevole, eppure quel senso di colpa che mi attanaglia ogni volta che non "sto sul pezzo" oppure che non "faccio la mia quota" è difficile da debellare.

Insomma, siamo quello che siamo, luci e ombre, forza e difetti.

L'importante, come diceva qualcuno, è essere gentili. Sempre.

Alla prossima pagina.

Il dolore è benzina

Il ricordo della morte di mia nonna, la spiaggia, il silenzio, mio fratello, il tempo che passa. Esperienze che, anche se difficili, ci formano e ci arricchiscono. E dopo averle registrate, le elaboriamo e le abbracciamo.

Ricordo il funerale di mia nonna. Non perché l'ho vissuto, purtroppo non ho avuto la possibilità di farlo, stavo girando. Ma ricordo gli ultimi giorni della sua vita. Arrivai a Cecina a fine marzo, sapendo che non le rimanevano che pochi giorni. Già da tre giorni non rispondeva più e il suo letto era diventato un luogo di addio per i vivi. Un sepolcro.

Un tempo, si nasceva e si moriva in casa. E forse non era poi così male.

Arrivai e c'erano tutti. Mio zio, mio fratello, mia sorella, mia madre. Mancava solo mio papà - il figlio - che arrivò poco dopo, anche lui sommerso di lavoro, era riuscito a venire giù da Milano.

Nonna se ne andò poco dopo che suo figlio l'aveva salutata.

Quel pomeriggio, io e mio fratello - non siamo cresciuti insieme - andammo in spiaggia. Le spiagge della Toscana sono strane. Sono tristi. Hanno quelle piccole alghe a forma di palline pelose marroni e ci sono tronchi secchi che spaccano la sabbia. Da una parte, un mare ancora selvaggio; dall'altra, le pinete.

Quel giorno, il cielo era bianco, c'era vento. Ma io e mio fratello, nel silenzio, camminammo a lungo, fianco a fianco. Successe qualcosa di magico. Decidemmo di spostare un tronco, insieme, per poterci sedere comodi a guardare il mare. In allegra armonia, proprio come un fratello maggiore e uno minore (io), spingemmo il pesante tronco verso il bagnasciuga.

Mio fratello si accese una sigaretta, chiedendo l'accendino a un gruppo di giovani poco più in là. Mi aveva chiesto di andarci io. Ma mi vergogno ancora ad andare a chiedere le cose alle persone che non conosco. Ero fatto così e lo sono tuttora.

Pochi anni dopo, mio nonno raggiunse l'amore della sua vita, chissà dove. La morte di nonno fu più dura, gli ero legato in modo speciale. Gli volevo proprio tanto bene. E piansi, ma non abbastanza.

Un giorno, mentre giravo "Cenerentola", il regista mi chiese di fare una scena con una forte disperazione. Era passato poco tempo e il dolore che mi portavo dentro per mio nonno e era ancora lì, dentro di me. Sentivo che aveva bisogno di uscire, che doveva essere estirpato dal mio cuore. E così feci. Piansi. Aprii i rubinetti. Lo feci così tanto che non riuscii a chiuderli per alcune ore. Il pianto convulso prese il meglio di me, e a fatica girai la scena (quella quando arrivo nel teatro per raggiungere "Cenerentola" da bravo principe azzurro.) e tutto andò per il meglio.

Il dolore è benzina per l'artista. E l'arte è la sua cura. Un circolo virtuoso che vale mille sedute di terapia.

Alla prossima pagina.

Ricordi

Ti prendo,
Come un caco d'estate.
Ti mangio,
Come marmellata.
Mentre vuoi andare
Ma non puoi che restare
Col pensiero già corto
E un respiro d'amore
Tra le labbra socchiuse.

le Paure di un Attore di 44 Anni

Questa è la settimana della scelta.

Come vi ho scritto nella pagina precedente, ho scelto di scrivere una pentalogia, una saga in cinque volumi. Una storia d'amore, di tempo e di destino.

Ma ora ho una scelta altrettanto importante da fare: Continuare o meno il "Paradiso delle signore".

Come molti di voi sanno, oltre a scrivere recito, e in questo ultimo anno ho intrapreso l'avventura di recitare "Tancredi di Sant'Erasmo" nel fantastico Daily di Rai Uno. Un personaggio molto ambiguo, c'è chi dice terribile, manipolatore, ma innamorato. Io lo definisco "il lato oscuro del romanticismo."

Ho cominciato a girare la serie del paradiso - che andrà in onda ora - a Maggio. Sono molti mesi di lavoro, per fare una stagione, lavoriamo ininterrottamente da giugno a gennaio dell'anno successivo. Durante lo shooting, è molto difficile partecipare ad altri progetti, perché siamo molto impegnati sul set.

Tancredi è un personaggio che ho imparato ad amare, e che in questa stagione avrà molte trasformazioni. Molti segreti, molte scoperte. Insomma sarà sicuramente al centro del fulcro narrativo.

A questo punto vi chiederete per quale motivo dovrei essere titubante se continuare o no a recitare dentro a questo stupendo progetto. Innanzitutto, dovete sapere che - per fortuna - in questa stagione, sulla Rai, uscirò con altri bei progetti, un fil m tv su Margherita Hack in cui interpreto il marito di lei, Aldo de Rosa (uno scrittore peraltro) e una serie sulla caduta del fascismo in cui interpreto Umberto II di Savoia. Insomma, sarà uno di quegli anni in cui sarò come il prezzemolo. Poi, c'è "La Divina Avventura", e poi ci sono i libri che sto preparando. Infine c'è il Diario. Ah, dimenticavo, ho una figlia di 6 anni e una meravigliosa famiglia. Insomma, ho moltissime cose e pochissimo tempo. E questo è il mio primo timore.

Un altro timore è quello di rimanere incastrato in un ruolo o in un progetto. E' una paura che ho, quella di essere poi relegato a "tu sei quello del paradiso". Ma non credo di incorrere in questo pericolo. In fondo sono anche quello de "Un medico in famiglia" oppure de "Distretto di polizia". Insomma, di progetti popolare (e non) ne ho fatti tanti, quindi oso sperare che piano piano la gente riesca a riconoscermi per tutti questi messi insieme.

L'ultima paura, la più grande, è il timore di perdere opportunità di lavoro. Come vi dicevo, facendo una serie importante come il "paradiso delle signore", non ho la possibilità di affrontare altri protagonisti. E con i miei 44 anni, sto entrando in un'età che viene definita "l'età dell'oro" per l'attore uomo. Sono ancora in forma, ma ho esperienza, so recitare e posso affrontare personaggi importanti, che hanno un bagaglio di vissuto forte ed emozionante. Sento di essere pronto a regalare interpretazioni complesse. E questo tipo di lavoro richiede un asseto diverso. Spesso è più facile farlo in un film, oppure in uno spettacolo teatrale, piuttosto che in una daily. Badate, Tancredi è un personaggio molto complesso e devo ammettere che quest'anno le giravolte emotive alle quali sono sottoposto non sono mica da ridere, anzi. Complimenti agli autori.

E poi dopo le paure, ci sono anche le cose  belle. Lavorare nel paradiso delle signore è come lavorare in una grande famiglia, si comincia a conoscere tutti, ci si saluta, ci si sente via Whatsapp. Ci si scambia opinioni, si affrontano le difficoltà del set insieme. Si trovano compromessi.

E poi è un lavoro che mi da molta stabilità, e nei giorni liberi che mi rimangono durante le settimane (perchè ci sono) posso scrivere. E questo, per chi ha imparato a conoscermi, non è un dettaglio da poco.

Insomma, domani devo incontrare il mio agente, Luca. Un amico. Sono 20 anni che lavoriamo insieme. E con lui parlerò del da farsi. Lui penso che preferisca che io salpi verso nuovi orizzonti. Io… io non lo so. Ma lo scoprirò a breve.

Alla prossima pagina.

La Mia Routine di Rigenerazione

Qual è il vostro primo ricordo di vacanza?

Quando andavo in collegio, dai 13 ai 19 anni, la vacanza era il momento in cui "andavo via da scuola" e tornavo dai miei genitori. Le grandi vacanze, poi, erano un momento di trasformazione. Passavo l'estate in un piccolo borgo ligure di nome Tellaro. Un luogo in cui ho sepolto mille dolori e mille amori. Un luogo che ho chiamato casa, pur sentendomi uno straniero per tutta la vita. Pochi amici, molte ferite. Ma era il luogo in cui sono cresciuto, in cui mi abbronzavo (passando inevitabilmente per scottature indicibili). Il luogo da cui tornavo per cominciare un nuovo anno in collegio.

Da giovane le vacanze erano il mio modo per rinnovarmi, per tornare un Flavio nuovo, pieno di esperienza, di cose belle da raccontare. Un'illusione, ovviamente, poiché tornavo sempre il solito ragazzo, al solito tempo, come direbbe il poeta che c'è un me.

Ricordo che un anno tornai così abbronzato che i miei amici fecero fatica a riconoscermi. Sono di carnagione chiara, e diciamolo, piuttosto restìo al sole. Ma quell'anno, forse fu quello dei miei sedici anni, passai delle vacanze sotto il sole. Probabilmente per amore.

Ora sono un adulto, un uomo, e la vacanza assume per me un valore diverso, un momento di pace e tranquillità in cui riposarmi. Mi aspettano 10 giorni di Sardegna, nel quale farò di tutto per rilassarmi. Ma riuscirò a non pensare, a non scrivere, a non generare idee? No. Lo so già. Non ne sono capace.

Anzi, quando mi immergo in seduto rilassanti, in momenti di vuoto, ecco che una valanga di idee fresche mi travolge il cuore. E sento la necessità di scriverle, soprattutto se sto, come adesso, generando una nuova storia. Sento il desiderio impellente di buttare giù qualcosa, di sentire che sto procedendo verso la fine, verso quel momento in cui la prima stesura è completa e inizia il lavoro "comodo", cioè l'editing, la bella, il momento in cui tutto torna, in cui i nomi dei personaggi si fanno roccia, in cui, come un indagatore, vado alla ricerca delle coerenze nei fatti e negli eventi della mia storia, in cui faccio ricerca minuziosa su un punto preciso, magari tecnico, che richiede fedeltà e realismo.

Insomma, io e le vacanze non siamo mai andati d'accordo. Vuoi per estraneità ai fenomeni di gruppo (non parlatemi di discoteche, fuggo) vuoi per incapacità personale di "vacare" nel senso latino del termine, cioè di trovare un vuoto.

Non sono capace di andare in vacanza, è questa la verità. Eppure, ci andrò. Quando leggerete questo articolo sappiate che starò cuocendo sotto un sole feroce, alla ricerca di una coca cola ghiacciata e un po' di ombra. La mattina, prevedo di scrivere con un bel caffè americano e il mio portatile. Il nuovo libro sta andando avanti, sono arrivato alla prima stesura del trentesimo capitolo, prevedo di scriverne 100, ma la sinossi è pronta, quindi la storia, nella mia mente, c'è.

Il dilemma ora è decidere se continuare come ho fatto con "La Divina Avventura" cioè andare da solo, senza casa editrice, oppure cambiare approccio e tentare un percorso più classico. Non riesco a trovare la risposta perchè dentro di me, come sempre, ferve il mio tragico desío d'indipendenza.

Prima o poi dovrò fare una scelta, ma nel frattempo, torno a giocare con Elettra sulle rive del mare, a ridere con lei, a gioire della mia famiglia e di quanto preziosa sia questa vita. Buone vacanze a tutti. Grazie di seguirmi. Ci vediamo al mio rientro.

Alla prossima pagina.

In viaggio verso il mio nuovo libro

Ho iniziato a scrivere il mio prossimo libro. Nei mesi a venire, il mio diario d'artista, noto per tracciare le mie personali idiosincrasie relative ai pensieri più o meno ortodossi dell'arte, si trasformerà in un luogo dove condividerò non la trama del libro, ma le sensazioni e le emozioni che la scrittura mi suscita.

Mi trovo attualmente in una fase successiva alla strutturazione della storia, su cui ho lavorato per più di un mese. Avevo già un'idea in mente e, qualche mese fa, in aprile se ricordo bene, mi sentivo spinto dal mio solito impulso di dover fare qualcosa, e decisi di iniziare a scrivere il mio secondo libro. Addio Avventura, benvenuto Amore!

Tuttavia, non posso ancora concludere. Devo seguire la Divina Avventura, difenderla per mesi come Don Chisciotte e i suoi mulini a vento. Non mi fermerò fino a quando non li avrò sconfitti! Sono perfettamente consapevole che stanno solo girando al vento, non sono mostri. Ma credo che anche Don Chisciotte lo sapesse.

In termini tecnici narrativi, mi trovo in quella fase denominata "il momento del vomito", dove tutto viene estratto e, anche se può sembrare disgustoso, non importa perché il vero lavoro viene dopo.

Il vomito, questa parola evoca immediatamente un senso di disgusto, un colore nauseabondo. Eppure, il vomito è un atto primordiale, indispensabile per l'artista. Non c'è arte senza vomito, poiché l'arte, tekne, tecnica, è proprio la scienza che trasforma il piombo in oro. In alchimia, esiste la "prima materia" (chi ha letto La Divina Avventura alzi la mano!) La prima materia - in alchimia - è il materiale nella sua forma più pura, da cui, attraverso vari processi, si può estrarre "l'oro", cioè la sua essenza.

Lo stesso processo si verifica nell'artista, che, dopo aver delineato il quadro generale (o piccoli dettagli, a vostra scelta), intraprende un viaggio dentro se stesso e vomita, estraendo frammenti di memoria, tempo, dolori e piaceri, da incastonare nella corona che sta forgiando per i suoi re: gli spettatori.

Oggi ho "vomitato" il primo capitolo, mi sono immerso in un "io" che so essere esistito, ma che ora è diverso, eppure così simile.

Sono Luca, sono Tancredi, sono Edoardo, sono Lorenzo. Ma, in fondo in fondo, sono Flavio.

Alla prossima pagina.

Un matrimonio

La finzione che invecchia,
Il presente che si ferma
Come una statua di luce.
L'immagine in movimento
Ha spento il mio amore
Insieme al mio televisore.
È una magia misteriosa:
La mia voce che si muta
In una tua emozione.

Espoir

Io spero
Che queste mille solitudini,
Queste formiche danzanti
Nell'occhio del destino
Si ritrovino un giorno,
Insieme,
Tra le braccia dell'amore.

Attore

Esibizionista timido
Nascosto in piena luce,
Alpinista dell'amore,
Tu beffi la morte.
muti com'un serpente,
E cambi pelle, cambi volto cambi ritmo.
Ma ritornerai,
Lo sai,
Il solito uomo col solito tempo.

Informativa sulla Privacy - Estratto

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Ultimo aggiornamento: 06 gennaio 2024

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