Il pudore di esistere

Mi chiedo cosa mi spinga a considerare continuamente ciò che faccio inferiore a ciò che vale.

Mi spiego. Non faccio assolutamente fatica ad attribuire a qualcuno il successo che ha. Anzi, riesco a trovare argomenti che magari quella persona non aveva neanche immaginato. Riesco ad essere convincente, molto. Riesco a vendere ghiaccio agli esquimesi, quando si tratta di dimostrare una tesi.

Ma solo quando non si tratta di me.

Quando ho a che fare con il mio specchio, quando mi devo chiedere, per esempio, come mai quasi il 60% delle mie vendite viene da quello che si chiama “traffico organico”, cioè persone che hanno incontrato il libro dopo aver incontrato me, ma anche persone che non sanno nulla di me, o altri che hanno sentito parlare del libro (il famoso passaparola), ecco che il mio castello di certezze crolla.

No, non può essere perché il libro piace.

“È perché non sono abbastanza bravo a pubblicizzarlo con i canali a pagamento! Oppure è perché c’è qualcosa che non ho capito, qualcosa di sepolto e nascosto che sicuramente spiega queste vendite.”

Non può essere che qualcosa che faccio venda perché piace.

Ecco, di fondo è proprio questo che penso. E per quanto io provi ad estirpare da me stesso questa idea, a lottare contro il demonio della sindrome dell’impostore, ecco che di nuovo mi ritrovo a vedermi sotto quelle vesti.

Pensate che per anni (a volte mi capita ancora ora) una parte di me diceva che avevo fatto carriera come attore solo perché ero caruccio. Mai e poi mai possa anche balenarmi lontanamente nel cervello l’idea che io, forse, sappia recitare! Ora questa sindrome, almeno nel reparto “recitazione”, si è sedata. Ma ora ho capito perché! Perché si è accesa quella dello scrittore.

“Lascia stare, ma chi ti credi di essere? Kerouac?”

“È solo una perdita di tempo, non ci riuscirai mai.”

Lo dico a me stesso perché davvero, non ne posso più di questo mio atteggiamento.

Come posso riuscire a scacciare via questo pensiero? Come posso fare ad amarmi un po’ di più? A guardarmi nell’anima con una tenerezza sufficiente a quietare quest’agitazione che mi prende?

Sapete come faccio? Mi annullo. Fuggo da me stesso. Ecco perché recito, dirigo, scrivo, gioco a scacchi. Per dimenticarmi di me.

E il naufragar m’è dolce, in questo mar.

C’è chi pensa che mollare tutto sia la soluzione. Che forse bisogna rilassarsi un attimo, dimenticare non se stessi, ma il mondo. Ma come si fa? La mia è fame di vita, di riconoscimento, desiderio di esistere, di urlare la mia presenza, fino a che le lacrime si ghiaccino, fino a che il mio eco tocchi i confini dell’universo. Io voglio essere. Altro che non essere, caro Amleto. Essere, essere, essere!

L’erba del vicino è sempre la più verde… questo vale per il vicino, ma anche per il mondo là fuori dai nostri cuori. Ci sembra più verde e sapete perché? Perché lo vediamo con gli occhi dell’entusiasmo di chi non sa, di chi sogna solo le cose belle, e dimentica il sudore, la fatica e il lavoro che richiede ogni impresa. Persino la più poetica.

Quindi, olio di gomito, perseveranza ed entusiasmo!

Alla prossima pagina.

I piccoli piaceri della vita

"L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi."

Oggi inizio con questa frase, che quando lessi, mi colpì profondamente. Ognuno ha un piccolo piacere, una tentazione alla quale cede, perché la vita, in fondo, è anche questo: amare quel lato meno nobile, meno alto, ma pur sempre necessario. Il torbido che è in tutti noi ci rende normali, uguali agli altri.

Sono certo che, se la luce illuminasse tutte le nostre ombre in un colpo solo, ci guarderemmo con grande amore, perché ci renderemmo conto di quanto ognuno di noi sia fatto della stessa materia dell'altro. I nostri vizi, le nostre piccole debolezze, i piaceri della vita.

Io, per esempio, amo giocare a scacchi. A volte perdo tempo, mi dimentico del mondo, per rimanere immerso in una partita. È il mio piccolo piacere. Almeno, è quello che posso permettermi di condividere pubblicamente. Ognuno ha le sue ombre.

Fu mio padre a insegnarmi da piccolo. E, a ragion veduta, fu una manna. Gli scacchi, negli anni, non solo mi hanno donato una disciplina mentale, un modo di organizzare le idee, di visualizzare un piano, ma anche un modo per socializzare con altri ragazzi, con persone più anziane. Gli scacchi sono una lingua, una piccola scienza, un gioco che unisce.

Spesso vado a giocare al Bar del Fico, un posto nel centro di Roma, dove uomini di ogni estrazione sociale si incontrano per giocare sotto l'ombra del fico di Piazza del Fico.

In questo luogo, che reputo magico, è possibile vedere il miracolo che produce il gioco dei re. Come la livella di Totò, tutti i giocatori presenti, che siano guide turistiche abusive, senatori della repubblica, reietti appena usciti di prigione o impersonificazioni della grande bellezza (o persino attori famosi, come nel mio caso!), sono uguali davanti a quelle 64 caselle. E magicamente, ecco che ci si parla come fossimo fratelli, si ride con l'altro, non importa quanto diverso, non importa quanto distante.

I piccoli piaceri della vita: una camminata tra le bellezze romane, una partita al Bar del Fico, portare mia figlia a prendere il gelato e mangiarne uno anche io, anche se sono a dieta. Concedermi al vizio, di tanto in tanto, per ricordarmi che a volte, nella vita, il bello è tra le ombre del creato.

Nell'Anello di Saturno, ho scritto un momento, nel primo volume, in cui parlo proprio dell'oscurità, della notte e di quanto possa essere in un certo senso liberatoria. Il passo è quando Luca, deciso a seguire Anna in un'avventura ai limiti del legale, si ritrova a camminare per le strade di Anagni alle 4:48 del mattino. E in quel momento si rende conto di essere solo, in mezzo alle ombre, nella notte. Tesso le lodi dell'oscurità, perché quel velo che tutto nasconde rende anche le nostre ombre invisibili. Ed è come se, lasciandoci andare a quei piccoli piaceri della vita, anche le nostre ombre scomparissero, il tempo di un sorriso.

E poi, da bravi adulti, riprendiamo il cammino del controllo, i passi calcolati della razionalità che ci imponiamo per rimanere civili, per raggiungere gli obiettivi, per convivere in pace.

Alla prossima pagina.

La mia playlist di scrittura

La musica. La voce dell’anima. Arte potente persino più della parola, mistica, sacra, un filo diretto con l’emozione.

Quando scrivo, spesso mi trovo a dover affrontare il dilemma se restare nel silenzio o avvolgermi in una particolare musica o anche suoni meditativi. In questo post, voglio spiegare quando uso l'uno o l'altro, e alla fine, condividerò la mia playlist con voi.

Da piccolo suonavo il violino. Ho studiato alla villa Simonetta di Milano, ero bravo. Poi un giorno, a 10 anni, ho sentito una bambina prodigio suonare il violino alla scala, e anche se era più grande di me, questa cosa mi ha colpito così tanto che a quanto pare, ne ho avuto il rifiuto. Poi ho suonato anche il pianoforte. E poi la chitarra. E sono diventato quello che alle spiaggiate guarda gli amici sbaciucchiarsi mentre canta “Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi.”

Adoro cantare, ma solo a mia figlia per addormentarla. (Ora però sta crescendo e mi sa che tra un po’, ahimè, finirà. Maledetto il tempo che passa.)

Amo molti tipi di musica, ma quando si tratta di scrivere, ho una sola regola: deve essere strumentale. La voce mi ruba il pensiero e mi impedisce di viaggiare insieme alle emozioni della musica pura. Passo dalla musica classica, da Bach a Chopin, pezzi morbidi, emozionanti, non troppo orchestrali, ma anche, e soprattutto, la musica elettronica. Ho cominciato ad ascoltarla in collegio, da adolescente, e da lì, non mi sono mai più fermato. Uno dei miei DJ preferiti si chiama Joaquim Pastor. La musica elettronica ha la qualità di buttarmi in uno stato di trance, nel quale posso isolarmi dai miei pensieri, ma avvolto, appunto, dalla musica. Protetto. Spesso addirittura gioco a scacchi con la musica elettronica.

Inoltre, ho un piccolo segreto che voglio condividere con voi. Uso una app sul mio iPhone chiamata myNoise. In sostanza, la app genera dei sottofondi sia musicali che di luoghi, e visto che sono dei suoni generati, possono essere ascoltati per lungo tempo senza cadere troppo nel ripetitivo, e senza uscire da quel determinato mood, molto utile per scrivere. Per me è uno strumento fantastico per immergermi in una location, che sia un bar, o una città o il deserto del mio romanzo. O il mare freddo di Baltica. O la barca, sul mare, con il vento. Questi suoni generati mi aiutano ad essere lì, in quel posto. E devo dire che è molto utile per la mia immaginazione.

Spesso ascolto la musica in cuffia, uso cuffie isolanti, per bloccare tutto il rumore esterno, così da chiudermi in me stesso. L’avrete capito, sono un orso, amo la solitudine. Rasento l’ossessione. Ma ci sono anche giorni (ci sono ve lo prometto!) in cui mi piace la musica del mondo, in cui scrivo al bar, ascoltando le persone intorno a me, o da solo sul terrazzo, ascoltando il traffico di Roma, voci lontane.

E poi, infine, c'è il silenzio. Sottovalutato, fondamentale, irrinunciabile. Se dovessi scegliere una sola playlist per scrivere, sarebbe quella: il silenzio. Sono sempre stato un bambino silenzioso. Quando ero piccolo piccolo, mia mamma e mia zia mi chiamavano “le chou-fleur” (il cavolfiore 😃) per via del fatto che me ne stavo lì, in silenzio, ad osservare il mondo, come un cavolfiore. Il silenzio mi aiuta a concentrarmi, a mettermi in contatto con me stesso, con quello che dentro ho sepolto.

Ecco un po’ di pezzi presi a caso che rappresentano i miei gusti musicali.

Spero che questo piccolo articolo vi abbia fornito alcuni spunti interessanti per sperimentare l'uso della musica come strumento per aumentare la creatività durante il lavoro, qualunque cosa facciate. La musica può avere un grande impatto sul nostro umore e anche sulla produttività.

Vi invito a condividere i vostri pezzi preferiti e le vostre playlist nei commenti, in modo che tutti possano avere l'opportunità di scoprire nuove fonti di ispirazione.

Informativa sulla Privacy - Estratto

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Ultimo aggiornamento: 06 gennaio 2024

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