Siamo esseri multidimensionali

Il mondo, la realtà, sono dei misteri che mai si sveleranno. Come il velo di Maya: dietro al velo non vi è la verità, bensì un altro velo da svelare.
La realtà, questa realtà, è determinata dai nostri sensi.

Ma i sensi, ci limitano.

Per fortuna c’è l’immaginazione.
La creatività è la nostra chiave di trascendenza. Con lei che ci guida, possiamo volare lì dove i sensi non ci portano: nel mondo dell’intuizione, degli archetipi, dei sentimenti, delle emozioni.

Luoghi che non hanno colori, né temperature, non hanno spazio e nemmeno tempo.
Luoghi non-luoghi, in cui la parola che determina i confini è: libertà.

Questo spesso ci spinge a immaginare che la realtà attorno a noi sia solo uno strato di un grande mosaico cangiante.
Nell’Anello di Saturno, Luca parte alla ricerca di un anello magico, e questo lo porterà a scoprire la multidimensionalità della realtà, la riscrittura del destino.

Anche ne Il Labirinto della Speranza affronto questo tema, in maniera — vedrete — molto più ambigua.
Rimango sul confine liminale tra percezione e realtà.
Tra proiezione ed empirico.
Lì dove «Ciò in cui credo definisce ciò che è».

Quindi lavoro sulla multidimensionalità del reale. A volte fantastico, a volte immaginato.
Ma poi, a pensarci bene, che differenza c’è?
Una fantasia è forse meno reale di una paura? Un sogno meno reale della realtà?
E come mi piace dire: un fantasma è forse meno reale di un senso di colpa?

Siamo esseri multidimensionali perché, vivendo nel regno della percezione, creiamo — ognuno di noi — la nostra dimensione, in cui le regole condivise sono tante, ma ci sono anche regole subliminali, nascoste, non dette, che ci guidano.

Quanti non camminano sotto una scala?
Quanti salutano le pecore sul lato della strada?
Quanti ascoltano il proprio oroscopo o chiedono consiglio a veggenti?

Siamo esseri multidimensionali e non sappiamo di esserlo.

Pensate alla dimensione — ora tanto di moda — del digitale.
Abbiamo un’identità che appartiene esclusivamente a quella dimensione. Amici che frequentiamo solo in quella dimensione.
Informazioni, arte, curiosità.

Il digitale è una dimensione del reale. Isolante nei confronti della realtà «vera», ma poi, in quella realtà, tessiamo legami, ci emozioniamo, cresciamo.
Quindi, come si fa a dire che è meno vera della realtà?

È diversa.
Siamo esseri multidimensionali anche in questo.

Non sono il primo a dirlo, e non sarò l’ultimo.
E chissà che un giorno la scienza non lo dimostri in maniera empirica: che questa realtà è condivisa con altre infinite realtà, in cui ogni cosa è diversa.

A quel punto, in quell’oceano di possibilità, la mia domanda principale rimane.
La stessa domanda che mi pongo ne La Divina Avventura, ne L’Anello di Saturno, e anche ne Il Labirinto della Speranza.

In questo mosaico infinito, ricorsivo, frattale…
L’anima è forse la costante?

Continuerò a cercare una risposta.

Nel frattempo,
Alla prossima pagina.

Effimeri come farfalle

Ho visto un video di Nadal, a cui viene dato l’onore, dopo aver vinto ben 14 Roland Garros, di avere una lastra incisa su uno dei campi ufficiali del torneo.

Questo mi ha fatto capire una cosa allo stesso tempo terribile e leggera, tragica ed effimera.

Nadal, tennista senza precedenti, me lo ricordo con i capelli lunghi e il braccio teso. La gamba lunga, il polsino giallo. Un gladiatore del campo, contro Federer, Djokovic, contro tutti.

Ora, davanti alla vista della sua impronta incisa nel marmo, sporca di terra battuta, rossa come il deserto al tramonto, davanti a una platea commossa quanto lui, scoppia a piangere. Accanto a lui, abbracci. Un momento che ha commosso anche me, ma che poi ha fatto emergere nel mio cuore una sensazione ambigua.

Siamo un battito d’ali,
e diventiamo una lastra
nel migliore dei casi.

Spesso l’artista si ritrova ad affrontare la sua mortalità. In realtà, l’arte è un piccolo sogno di immortalità, un desiderio di superare la soglia del tempo con un lascito, che anch’esso, prima o poi, diventerà, come dice tanto bene Rutger Hauer in Blade Runner: «lacrime nella pioggia».

Se non è ora, è tra cento anni. Se non sono cento saranno mille, o miliardi. Che importa il tempo, se confrontato con la nostra finitudine e l’immensità del creato?

Forse un giorno affronterò una «saga» che sia anche questo. Un procedere nel tempo, lasciando che i protagonisti di una pagina diventino un ricordo lontano pochi capitoli dopo, e infine, una statua, un’effigie, una frase, un pensiero a cui nessuno è più capace di collegare l’autore, ma che è ancora presente, che permea la coscienza.

La bellezza della vita è nel presente, nella scoperta dell’ignoto che ci circonderà sempre, sia nel tempo che nello spazio. L’arte è il simbolo della nostra finitudine: come farfalle estemporanee, voliamo d’idea in idea, verso una roccia stabile, che lanciamo tra le onde del tempo, sperando che qualcuno, dall’altra parte della soglia, continui il testimone.

Sì, un giorno affronterò questo tema con coraggio. Con una saga che avrà gli esseri umani come formiche, protagonisti di pagine nell’oceano del tempo. Non ne ho ancora i mezzi; è probabilmente qualcosa che mi richiederà tutta l’energia che ho, tutta la saggezza e la forza.

Perché, siamo onesti, affrontare «la leggerezza esistenziale» richiede un coraggio da leoni, la saggezza di Platone e una tecnica eccelsa.

Per ora, mi diletto nello strutturare il terzo volume de Il labirinto della speranza e mettere a posto il secondo volume. Che casino! Un castello intricato, pieno di trappole e illusioni, un labirinto di specchi dove vedo frammenti di me, di coloro che incontro.

Tra l’altro, mi rendo conto sempre di più che adoro ascoltare gli altri. Perché sono una continua fonte di ispirazione per i miei personaggi, le mie storie. Appena sento qualcosa di interessante, lo assorbo e lo inietto nel mio percorso.

E mi rendo conto che più tendo le orecchie e apro gli occhi, più il mondo mi regala perle da mettere alle mie collane.

Alla prossima pagina

Giù le mani dal passato

Ho riletto il quinto volume de L’Anello di Saturno. La sua conclusione.

È un volume che ho scritto tempo addietro e, come sapete, ora sto lavorando su Il Labirinto della Speranza. Una saga del tutto diversa, con tempi, ritmi, personaggi e temi diametralmente opposti a quelli così morbidi de L’Anello.

Mi ritrovo quindi davanti a una vecchia fotografia di me. Non aggiornata al presente, mi rimanda a un me distante, diverso. Uno scrittore che cercava di espandere la sua prosa, di rallentare il ritmo del racconto, di indugiare nella descrizione, nella narrazione dell’umanità dei personaggi.

La tentazione di rimettere le mani sul testo per aggiornarlo al mio nuovo stile è forte, e devo resistere. Non tanto perché non sarebbe un miglioramento, quanto perché mi voglio imporre di rimanere fedele al me che ha voluto raccontare l’amore.

Rileggere il volume mi ha messo in una piccola crisi. Sono passati alcuni mesi, più di cinque, da quando l’avevo finito di scrivere, e il ricordo che avevo era diverso. Più forte, più intenso. Invece, ho trovato morbidezza, tranquillità.

In un certo senso, ne sono felice. È una piccola dimostrazione che la natura della saga de L’Anello di Saturno è autentica, genuina. Come può essere la risoluzione dell’amore vero, se non nella morbidezza tragica della nostra vita?

Come scoprirete, il quinto volume ha una sua natura particolare, intensa, autonoma quasi.

“Vive di vita propria”, si potrebbe dire.

Che bello rileggersi a distanza di tempo. Non tanto per osservare la prosa o la trama, ma per ricordare quel me che si struggeva nella scrittura delle parole. Per rivivere, in un certo senso, il Flavio d’un tempo.

La scrittura è un viaggio profondo, che non finisce con la fine del libro. Perché ogni libro è un eco di un frammento di me.

Un tuffo nel passato.

L’arte è uno specchio, davanti al quale l’artista ha l’opportunità non solo di esplorare il mondo attorno a sé o il proprio mondo interiore, ma ha la fortuna di vederne una manifestazione tangibile, reale.

Una proiezione in carne, che gli ricorda chi è, da dove viene, cosa ha fatto per arrivare al presente.

Può essere una prigione come un’opportunità.

Un mio maestro mi diceva spesso che “non bisogna affezionarsi alle proprie idee”. E questo vale anche per le parti di noi.

E rileggendomi, provo grande tenerezza per il me che ero, che sono e che, spero, sarò.

Alla prossima pagina.

Buone Vacanze

È venuto il momento anche per me di staccare, di lasciarvi, ma solo per alcune settimane.

Le vacanze sono il momento in cui ci rincontriamo, in cui ritroviamo quella parte di noi che avevamo sepolto sotto gli obiettivi da raggiungere, le bollette o i problemi sul lavoro. Ora arriva un periodo così caldo che l'unica cosa che ci rimane da fare è appoggiare la testa al morbido cuscino e aspettare la frescura del tardo pomeriggio, tra un bagno e una focaccia con pomodoro e mozzarella.

Vi auguro, a tutti, italiani e non, brasiliani, argentini, francesi, cileni, tutti. Vi auguro un bellissimo ritorno alla vostra anima. Abbiatene cura.

Ci si rivede a settembre, come a scuola, un po' abbronzati, un po' cambiati. Con tanta voglia di stupire e quel pizzico di desiderio di tornare a frequentare tutto ciò che conosciamo: amici, sogni e maschere.

Nel frattempo, auguro anche una buona lettura a chi ha cominciato l'Anello di Saturno, a chi lo sta continuando con il volume due, a chi lo scoprirà tra un anno. Concludo con un "grazie" sentito verso tutti voi che mi seguite, che trovate il tempo di ritagliarvi cinque minuti due volte a settimana per far entrare nel vostro cuore le mie parole.

Ne sono onorato.

Ci rivediamo il 3 settembre.

Alla prossima pagina.

Elogio alla gentilezza

La gentilezza è una qualità rara, delicata e timida, che però, quando emerge, rende il presente un momento di piacere e comunione. È una forma di intelligenza inclusiva, che include, all'interno del pensiero, anche l'altro.

I miei genitori sono persone gentili e, di rimando, lo sono anche io. Spesso penso all'altro, a come reagirebbe se dicessi questa o quell'altra frase. Spesso taccio se capisco che in quel momento è l'altro ad aver bisogno di essere ascoltato.

Mi chiedo se la gentilezza non nasca da un velato senso di colpa, da un pensiero che di sfuggita ci ricorda che non facciamo abbastanza per gli altri. Forse, ma anche se fosse, non cambierebbe l'effetto benefico che può avere sia sugli altri, ma soprattutto, e qui entra l'artista che c'è in me, su di noi e sulla nostra capacità di crescere e affrontare le crisi.

Essere gentili significa ascoltare. E nella carriera di un artista, l'ascolto è importantissimo. Se in una prima fase, "chiamiamola scolastica", l'artista è costretto ad ascoltare i propri maestri imposti dalla strada che ha scelto, poi dovrà trovare i suoi maestri e sceglierli lui. Questo non è possibile se non vi è un buon grado di ascolto di ciò che ci circonda. È l'allievo che sceglie il maestro e, perché questo succeda, ci deve essere, in entrambi, maestro e allievo, gentilezza.

Badate, in questo caso la gentilezza non significa dolcezza o servizievolezza, al contrario. Un maestro può toccare punte di severità incredibili quando trova un allievo pronto ad assorbire veramente la sua arte, a rinnovarla per la sua generazione. Ma lo fa con gentilezza, ascoltandolo.

Si può dunque essere severi e gentili, duri e gentili, ma non cattivi e gentili. Dove sta la differenza? Nel rispetto della persona. E l'unico modo per rispettare una persona è ascoltarla.

La gentilezza dunque, nell'arte, è ascolto. Questo vale sia per quanto riguarda l'esecuzione, come ad esempio nella recitazione: un fattore fondamentale che determina quanto è bravo un attore a recitare è la sua capacità di ascoltare il proprio partner. Ma vale anche per un'altra forma di gentilezza, spesso sottovalutata o persino ignorata, la gentilezza verso noi stessi.

Spesso si parla di obiettivi, di raggiungere il successo, che sia ricchezza, fama, una famiglia, non importa. Ogni obiettivo che nasce dalla gentilezza è da rispettare. Ma dobbiamo anche rispettare la persona che siamo. Ascoltarci, ricordare da dove veniamo, cosa ci rende forti, cosa ci mette in difficoltà. Crescere è importante, ma va fatto con amore per se stessi. Con gentilezza.

E questa ultima frase la dedico a me. Purtroppo lì sono abbastanza carente. Penso spesso che il tempo che dedico a tutto ciò che non è "nel mio mirino" sia tempo perso. È un pensiero sbagliato, ne sono ampiamente consapevole, eppure quel senso di colpa che mi attanaglia ogni volta che non "sto sul pezzo" oppure che non "faccio la mia quota" è difficile da debellare.

Insomma, siamo quello che siamo, luci e ombre, forza e difetti.

L'importante, come diceva qualcuno, è essere gentili. Sempre.

Alla prossima pagina.

Il dolore è benzina

Il ricordo della morte di mia nonna, la spiaggia, il silenzio, mio fratello, il tempo che passa. Esperienze che, anche se difficili, ci formano e ci arricchiscono. E dopo averle registrate, le elaboriamo e le abbracciamo.

Ricordo il funerale di mia nonna. Non perché l'ho vissuto, purtroppo non ho avuto la possibilità di farlo, stavo girando. Ma ricordo gli ultimi giorni della sua vita. Arrivai a Cecina a fine marzo, sapendo che non le rimanevano che pochi giorni. Già da tre giorni non rispondeva più e il suo letto era diventato un luogo di addio per i vivi. Un sepolcro.

Un tempo, si nasceva e si moriva in casa. E forse non era poi così male.

Arrivai e c'erano tutti. Mio zio, mio fratello, mia sorella, mia madre. Mancava solo mio papà - il figlio - che arrivò poco dopo, anche lui sommerso di lavoro, era riuscito a venire giù da Milano.

Nonna se ne andò poco dopo che suo figlio l'aveva salutata.

Quel pomeriggio, io e mio fratello - non siamo cresciuti insieme - andammo in spiaggia. Le spiagge della Toscana sono strane. Sono tristi. Hanno quelle piccole alghe a forma di palline pelose marroni e ci sono tronchi secchi che spaccano la sabbia. Da una parte, un mare ancora selvaggio; dall'altra, le pinete.

Quel giorno, il cielo era bianco, c'era vento. Ma io e mio fratello, nel silenzio, camminammo a lungo, fianco a fianco. Successe qualcosa di magico. Decidemmo di spostare un tronco, insieme, per poterci sedere comodi a guardare il mare. In allegra armonia, proprio come un fratello maggiore e uno minore (io), spingemmo il pesante tronco verso il bagnasciuga.

Mio fratello si accese una sigaretta, chiedendo l'accendino a un gruppo di giovani poco più in là. Mi aveva chiesto di andarci io. Ma mi vergogno ancora ad andare a chiedere le cose alle persone che non conosco. Ero fatto così e lo sono tuttora.

Pochi anni dopo, mio nonno raggiunse l'amore della sua vita, chissà dove. La morte di nonno fu più dura, gli ero legato in modo speciale. Gli volevo proprio tanto bene. E piansi, ma non abbastanza.

Un giorno, mentre giravo "Cenerentola", il regista mi chiese di fare una scena con una forte disperazione. Era passato poco tempo e il dolore che mi portavo dentro per mio nonno e era ancora lì, dentro di me. Sentivo che aveva bisogno di uscire, che doveva essere estirpato dal mio cuore. E così feci. Piansi. Aprii i rubinetti. Lo feci così tanto che non riuscii a chiuderli per alcune ore. Il pianto convulso prese il meglio di me, e a fatica girai la scena (quella quando arrivo nel teatro per raggiungere "Cenerentola" da bravo principe azzurro.) e tutto andò per il meglio.

Il dolore è benzina per l'artista. E l'arte è la sua cura. Un circolo virtuoso che vale mille sedute di terapia.

Alla prossima pagina.

L'uomo divino

Vi è una teoria affascinante riguardo a Michelangelo e la Cappella Sistina, un'immagine che mi ha sconvolto quando l'ho vista: il divino come coscienza, come voce interiore.

La Creazione di Adamo, uno degli affreschi della Cappella Sistina, fu realizzata da Michelangelo tra il 1508 e il 1512. È una delle opere più celebri al mondo, realizzata nel cuore del Vaticano, luogo di genesi della religione cattolica.

Un giorno, bazzicando per i forum per studiare un suo contemporaneo, Raffaello, che ho interpretato in Raffaello, principe delle arti, mi sono imbattuto in un'immagine che mi ha scosso profondamente. Se siete su Spotify, vi invito a vederla sul sito, poiché descriverla è davvero complesso, ma ci proverò.

Come sapete, nell'affresco, Michelangelo dipinge il momento precedente al tocco divino che ha dato ad Adamo la vita. Infatti, se guardate lo sguardo dell'uomo, è inespressivo, privo di vita. Il suo dito è piegato verso il basso, come se non fosse mosso da un'energia propria. Sopra, nel cielo, la figura di un uomo barbuto, circondato da putti e angeli, avvolti in una grande cappa rossa, si avvicina. È Dio, che sta per dare la scintilla della vita all'uomo.

Ma quello che mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta è ciò che l'immagine mostrava accanto: una sezione del cervello umano che, se sovrapposta alla grande cappa divina, sembra essere identica.

Michelangelo, si sa, come Leonardo e gli altri del Rinascimento, amava dissezionare corpi e cadaveri per studiare le anatomie. Questa somiglianza, a mio avviso, è difficilmente casuale. Un artista del suo calibro non faceva nulla a caso. Ogni dettaglio, persino un dito, era pensato. Figuriamoci la raffigurazione di Dio nel cuore della Santa Sede.

E quindi, cosa significa? Cosa voleva dire Michelangelo con questo affresco?

Le interpretazioni le lascio a voi. Quello che conta, in questo caso, è l'incredibile potenza di un messaggio che ha letteralmente superato il tempo. Siamo una società evoluta, in cui la sezione del cervello è riconoscibile quasi da tutti. E quindi, ci è più semplice vedere ciò che l'artista ha creato. All'epoca, erano in pochi a sapere come fosse fatto un cervello. In pochissimi. Si può quindi supporre che il messaggio fosse, in un certo senso, segreto.

Vi ricordate quando vi parlai dell'artista che supera il tempo perché la sua genialità emerge solo nel momento in cui gli occhi degli uomini sono capaci di intuirla? Ecco, per me questo è un esempio chiaro.

Sono curioso di sapere le vostre interpretazioni, vi aspetto nei commenti.

Alla prossima pagina.

Ho paura di invecchiare

Una volta, mi chiesero chi fossi.

Risposi, "un uomo con troppe idee e poco tempo."

É proprio così... sforno idee come se fossero i croissant del sabato mattina al centro di Parigi. Ne ho decine al giorno e ognuna meriterebbe che le dedicassi un po' di tempo, per fiorire, per diventare qualcosa di più.

Ho imparato a tenermele in testa, a lasciarle fondersi con le altre, a maturare fino a diventare elementi che non riesco a dimenticare. E quando, a mesi dalla nascita dell'idea, continuo a pensare ad essa, allora vuol dire che c'è qualcosa di buono.

Ma ciò non toglie che sento di non avere il tempo necessario per fare tutto ciò che desidero. Sento che le mie giornate sono troppo brevi, vorrei poter scrivere la mia saga più velocemente, dedicarmi al Diario con più calma, stare di più con mia figlia, occuparmi di più dei videogiochi che Untold Games - la società che ho fondato - produce.

Faccio troppe cose, oppure ho semplicemente paura di morire troppo presto?

Forse è un misto dei due. Da una parte, sono una persona curiosa, che ama l'esplorazione, e quindi ho viaggiato in mille dimensioni, ho recitato con Woody Allen, ma sono anche stato nei quartieri Generali di Facebook e Google per parlare di Realtà virtuale. Ho prodotto film spettacoli, ma scrivo saghe. Ho aperto e chiuso srl che spaziavano dal sound design, alla moda, a dispositivi biomedici.

Ho seguito le mie passioni e ho fallito molte più volte di quante volte ho avuto successo. Speravo che crescendo, diventando adulto, tutto questo si calmasse, che io riuscissi a trovare un equilibrio, una pace in questo mio continuo moto tempestoso di ricerca.

Invece no. Sono sempre peggio. Temo che sia perchè comincio ad avere la percezione netta che il mio tempo in questo mondo sia limitato. Anzi, più che percezione ormai è proprio qualcosa che sento dentro, lo so. Me lo dice la spalla che ogni mattina, quando mi sveglio mi fa male. Me lo dicono gli anni che passano sempre più in fretta. Ricordo un tempo in cui le stagioni erano lunghe e piene di avvenimenti. Ora mi sembra che in un anno ci siano 4 mesi e due feste.

Quindi, come il coniglio bianco di Alice, convinto di essere sempre in ritardo, "vado a mille". Per paura di non concludere nulla, scrivo, faccio e ho il cervello che fuma come una locomotiva a vapore. Ci manca solo che mi metta a cantare.

Non lo farò, ma non perchè non lo voglia, ma perchè è giusto decidere i propri limiti. Io voglio scrivere. Almeno, voglio farlo fino a che non avrò più nulla da dire. A quel punto mi fermerò. L'unica cosa è che spero di non ripetermi.

Confesso di avere una paura terribile di ripetermi, di dire le stesse cose che magari ho già detto in una pagina di alcuni mesi fa di cui ho completamente scordato l'esistenza. Il tempo, la ripetizione, l'invecchiare. Benvenuto nel mondo adulto, Flavio.

A proposito di cantare, vi lascio con i versi di un grandissimo cantante Belga, il mio preferito: Jacques Brel che, nella "canzone dei vecchi amanti" diceva: "c'é voluto del talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti." Vi lascio il link

Alla prossima pagina

La Mia Routine di Rigenerazione

Qual è il vostro primo ricordo di vacanza?

Quando andavo in collegio, dai 13 ai 19 anni, la vacanza era il momento in cui "andavo via da scuola" e tornavo dai miei genitori. Le grandi vacanze, poi, erano un momento di trasformazione. Passavo l'estate in un piccolo borgo ligure di nome Tellaro. Un luogo in cui ho sepolto mille dolori e mille amori. Un luogo che ho chiamato casa, pur sentendomi uno straniero per tutta la vita. Pochi amici, molte ferite. Ma era il luogo in cui sono cresciuto, in cui mi abbronzavo (passando inevitabilmente per scottature indicibili). Il luogo da cui tornavo per cominciare un nuovo anno in collegio.

Da giovane le vacanze erano il mio modo per rinnovarmi, per tornare un Flavio nuovo, pieno di esperienza, di cose belle da raccontare. Un'illusione, ovviamente, poiché tornavo sempre il solito ragazzo, al solito tempo, come direbbe il poeta che c'è un me.

Ricordo che un anno tornai così abbronzato che i miei amici fecero fatica a riconoscermi. Sono di carnagione chiara, e diciamolo, piuttosto restìo al sole. Ma quell'anno, forse fu quello dei miei sedici anni, passai delle vacanze sotto il sole. Probabilmente per amore.

Ora sono un adulto, un uomo, e la vacanza assume per me un valore diverso, un momento di pace e tranquillità in cui riposarmi. Mi aspettano 10 giorni di Sardegna, nel quale farò di tutto per rilassarmi. Ma riuscirò a non pensare, a non scrivere, a non generare idee? No. Lo so già. Non ne sono capace.

Anzi, quando mi immergo in seduto rilassanti, in momenti di vuoto, ecco che una valanga di idee fresche mi travolge il cuore. E sento la necessità di scriverle, soprattutto se sto, come adesso, generando una nuova storia. Sento il desiderio impellente di buttare giù qualcosa, di sentire che sto procedendo verso la fine, verso quel momento in cui la prima stesura è completa e inizia il lavoro "comodo", cioè l'editing, la bella, il momento in cui tutto torna, in cui i nomi dei personaggi si fanno roccia, in cui, come un indagatore, vado alla ricerca delle coerenze nei fatti e negli eventi della mia storia, in cui faccio ricerca minuziosa su un punto preciso, magari tecnico, che richiede fedeltà e realismo.

Insomma, io e le vacanze non siamo mai andati d'accordo. Vuoi per estraneità ai fenomeni di gruppo (non parlatemi di discoteche, fuggo) vuoi per incapacità personale di "vacare" nel senso latino del termine, cioè di trovare un vuoto.

Non sono capace di andare in vacanza, è questa la verità. Eppure, ci andrò. Quando leggerete questo articolo sappiate che starò cuocendo sotto un sole feroce, alla ricerca di una coca cola ghiacciata e un po' di ombra. La mattina, prevedo di scrivere con un bel caffè americano e il mio portatile. Il nuovo libro sta andando avanti, sono arrivato alla prima stesura del trentesimo capitolo, prevedo di scriverne 100, ma la sinossi è pronta, quindi la storia, nella mia mente, c'è.

Il dilemma ora è decidere se continuare come ho fatto con "La Divina Avventura" cioè andare da solo, senza casa editrice, oppure cambiare approccio e tentare un percorso più classico. Non riesco a trovare la risposta perchè dentro di me, come sempre, ferve il mio tragico desío d'indipendenza.

Prima o poi dovrò fare una scelta, ma nel frattempo, torno a giocare con Elettra sulle rive del mare, a ridere con lei, a gioire della mia famiglia e di quanto preziosa sia questa vita. Buone vacanze a tutti. Grazie di seguirmi. Ci vediamo al mio rientro.

Alla prossima pagina.

Il mio approccio al self-publishing

Sono nato come informatico.

Non ve l'ho mai raccontato, ma prima di studiare recitazione al Teatro Stabile di Genova, aspiravo a creare videogiochi. Ho sempre desiderato intraprendere quella carriera. Mio padre è un imprenditore, così come lo era mio nonno. Ci fu un tempo in cui mio nonno Pietro costruì un ristorante con le sue mani, un locale che divenne uno dei migliori della città. Mio papà ha creato il suo mondo di indipendenza attraverso l'informatica. E io ho sempre voluto seguire le sue orme. Mia madre mi ha sempre spronato all'eccellenza, a essere irreprensibile. Perciò, per imitazione, ho sempre sognato di essere indipendente, di riuscire a fare ciò che desideravo. Ho fallito molte volte, ma a volte le cose sono andate bene. L'azienda di videogiochi, per esempio, è un esempio di cosa possono offrire talento, opportunità e un pizzico di fortuna ai coraggiosi.

Oggi voglio parlare del self-publishing e di come affronto questo processo - non dal punto di vista dello scrittore - ma da quello dell'imprenditore. Ho iniziato a studiare il settore a gennaio 2023. Sono passati otto mesi durante i quali ho osservato attentamente cosa stava succedendo negli Stati Uniti e come si muovevano gli scrittori indipendenti.

Oggi vi svelerò i segreti che ho scoperto su come dobbiamo fare marketing per il nostro libro.

  1. Avere un sito web. Il sito è la nostra casa. È il luogo in cui abbiamo il controllo totale, dove se un giorno un social network, una piattaforma o chiunque decide che non siamo più i benvenuti, possiamo sempre tornare. È il luogo dove ci potranno sempre trovare. Il sito è il posto in cui ci presentiamo e presentiamo i nostri progetti.
  2. Ora che abbiamo un sito web, dobbiamo creare una mailing list. Si tratta di persone che sono interessate a ricevere da noi notizie relative ai nostri libri, ecc. Non è facile attrarre persone, il modo migliore per farlo è offrire qualcosa in cambio, qualcosa di gratuito, gli americani lo chiamano il "lead magnet". Una storia breve? I primi cinque capitoli in formato audiolibro? Poesie? Scegliamo noi, ma sia strettamente legato a quello che si aspettano da noi: cioè qualcosa di scritto.
  3. Ora che abbiamo persone nella mailing list, non possiamo dimenticarci di loro! Sono le persone che ci hanno dato la loro fiducia, che ci hanno fornito nome, cognome e indirizzo email, si aspettano qualcosa da noi. Qualcosa di bello. Qualcosa di scritto. Ecco dove entra in gioco la newsletter. Ogni tanto, in base alle nostre capacità di produzione (l'importante è essere consistenti, sempre lo stesso giorno, sempre la stessa ora), scriviamo agli iscritti alla mailing listi che ci seguono qualcosa che sia personale, ma anche utile. Qualcosa che sia in sintonia con la nostra carriera di scrittori. Che abbia a che fare con i temi che trattiamo, con il desiderio di emozionare a parole coloro che ci seguono. Queste email che invieremo saranno apprezzate e permetteranno a coloro che ci vogliono seguire e conoscerci meglio, di interagire con noi e di attendere con ansia il nostro prossimo scritto.
  4. Abbiamo un sito, abbiamo la mailing list e scriviamo le nostre newsletter. Ottimo. Nel frattempo abbiamo anche terminato il libro, fatto l'editing, formattato, trovato un buon copertinista. (Nessuno ha mai detto che pubblicare da soli sia facile). Ora è il momento di fare pubblicità. Creiamo una pagina sul nostro sito dove presentiamo il nostro libro, scriviamo, disegniamo, invogliamo chi visita quella pagina a sfogliare le pagine del nostro libro. Appena il libro è disponibile su Amazon, mettiamo in moto la nostra newsletter, i nostri social network, i nostri contatti. Facciamo sapere, in modo organico, che il nostro libro è disponibile. Cerchiamo di far accedere il più alto numero di persone alla nostra pagina su Amazon. Se possiamo permettercelo, possiamo fare pubblicità a pagamento sui social network, ma è un'arte difficile e soprattutto non è efficace quando si ha solo un libro.
  5. Il nostro libro è uscito, la nostra mailing list cresce. Chiediamo ai nostri lettori di lasciare una recensione su Amazon e di seguirci con la nostra newsletter o sui social. In questo modo, al prossimo libro, saranno con noi (a patto che il nostro libro sia stato di loro gradimento, ovviamente).

Ora, vi lascio l'ultimo segreto, quello più importante, quello che supera tutti gli altri: scrivere il prossimo libro, andare avanti e ripetere questo processo raffinandolo ogni volta. Continuare fino a che non funziona.

Potrei entrare in ogni punto e scrivere altri 10 articoli per ognuno di essi. Forse lo farò, se vedo che è utile per gli autori che decidono di prendere questa strada. Se avete altri suggerimenti, oppure delle domande, vi aspetto nei commenti.

Alla prossima pagina.

Hu-ga e il Paradiso Nascosto

Molto tempo fa, in una terra non troppo lontana da noi, viveva Hu-ga, un ragazzo del Paleolitico superiore. Aveva la mascella larga, gli occhi neri e una folta chioma. Non era alto, ma si muoveva bene ed era curioso. Se ne stava nel suo villaggio stanziale insieme alla sua tribù. Oggi era il giorno di caccia, ma lui non era stato invitato. Huga non era un abile cacciatore o pescatore come i suoi atletici coetanei, era troppo distratto, aveva sempre lo sguardo rivolto verso il cielo. Così, il capo villaggio aveva deciso di lasciarlo con le femmine, ad occuparsi dei figli.

Quella notte, dopo che tutti i neonati erano finalmente calmi tra le braccia delle madri addormentate, Huga si allontanò, osservando la luna piena. Così luminosa da sembrare un sole. Si guardò indietro, il falò del villaggio era lontano, ma la luna non sembrava avvicinarsi. Questa cosa lo incuriosì a tal punto che decise di continuare la sua camminata. Una lucciola gli fece strada, poi altre mille, e Huga si inoltrò nella foresta, circondato dalle piccole luci fosforescenti degli spiriti del bosco.

Armato solo di un bastone rudimentale, Huga cammina tutta la notte, superando ostacoli, affrontando il buio. Non vede cosa lo circonda, ma nota occhi luminosi, sente ruggiti lontani, bestie gigantesche, corni, mostri. Mentre procede cercando di fare silenzio, le sue fantasie prendono vita. Immagina serpenti a sei teste, cavalli alati con corna d'oro. Ma alla fine della notte, proprio quando l'alba tinge di rosso il manto erboso, emerge dalla foresta scoprendo un meraviglioso lago. Cristallino, placido e colmo di pesci da vederli ad occhi nudi. Il suo stupore è immenso: mai, nella sua vita, aveva visto qualcosa di simile.

Huga passa la giornata a godersi il lago, nuotando, ridendo e bevendo a bocca spalancata l'acqua dolce in abbondanza. Dagli alberi, frutta matura, intonsa, sembra aspettare di essere mangiata. Ma, sdraiato all'ombra di un albero, Huga si rende conto che tutta questa gioia non ha senso se non viene condivisa. Così, decide di tornare al villaggio per condividere la sua scoperta. Il viaggio di ritorno è pieno di pericoli, ma Huga ora conosce la strada, conosce le rocce dietro le quali nascondersi, gli alberi sui quali salire per evitare i mostri. La notte è sua. La luna è un'amica che lo aiuta a superare le paure.

Tornato al villaggio, Huga narra le sue avventure davanti a un fuoco acceso. Tutti lo ascoltano con meraviglia. Persino il capo, così severo e duro, cede alle incredibili storie che Huga racconta, usando gesti, disegnando sulla sabbia quello che aveva visto, prendendo gli spettatori per le spalle, raccontando con entusiasmo e forza la sua impresa, la sua avventura. Le sue storie sono piene di emozione e di stupore, Huga descrive creature incredibili, e soprattutto, un paradiso nascosto. Un luogo incantato, dove acqua, cibo e pace aspettano chi lo seguirà. Tutti sono a bocca aperta davanti a questo racconto. E il ragazzo che una volta era considerato un sognatore distratto, diventa un portatore di speranza. Stimato e rispettato.

Alla fine della sua storia, Huga invita i suoi simili a seguirlo, a scoprire il paradiso che ha trovato. Il capo teme per l'incolumità della sua tribù: "In quella foresta ci sono i mostri. Moriranno." Ma Huga spiega come fare, bisogna camminare silenziosi nella notte. Come ha fatto lui. Il capo guarda il suo villaggio, le scorte sono finite, l'inverno è alle porte, forse quel paradiso potrebbe dare alcuni anni in più alla sua breve vita. E così, tutti partono per un esodo notturno che li porta, proprio come successe a Huga, verso il paradiso.

Fu così che Huga, pioniere di nuove scoperte e immaginazione, diede nuova vita al suo villaggio, ai suoi simili e in fondo, a tutti noi. In un certo senso, Huga è stato il primo artista dell'umanità, che usò le sue parole per dipingere immagini vive nella mente di coloro che lo ascoltavano. Il precursore di molti dopo di lui, che insieme, fecero crescere il ruolo dell'arte come mezzo per condividere esperienze, stimolare l'immaginazione e unire le persone. 

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Diacronico

Quanto vorrei essere in linea con il mio tempo,
In perfetta sincronia con la mia generazione
In simbiosi con la mia età,
In armonia con le mie giornate,
In ascolto con il mio cuore
Nell'istante
Che è già passato.

Tempus Fugit

Passando, incontro l'eco sbiadita
D'una mia promessa dimenticata.
Sta lì, in silenzio,
Sulla panchina del tempo.
Aspetta un senso che non ha più.
Spero che non mi riconosca,
Che non mi chieda:
"Dove è finita la mia destinazione?"
E mentre attraverso i suoi occhi come nebbia nel deserto,
Il vento urla d'un vecchio,
Irriconoscibile persino a sé stesso.
Figurati ad una promessa.

Il cambio

Mi vedo, nel cambio
Un po' in ritardo
Sia nel tempo che nel cambio
E la marea d'altri che sta davanti
Mentre io penso
Al cambio che
Non cambia nulla.

Nunc

Come una scintilla
Negli abissi del mare
Siamo l'attimo vivo
Tra le erbacce del tempo.
L'urlo non udito
Il pugno mai sferrato,
Che infrange gli specchi
E sfonda porte aperte.
Mai come ora,
Brucia, il presente.

Insieme

Dopo,
Cercami fra gli atomi del tempo.
Mi troverai,
Un po' sbiadito, negli occhi dei figli.
Un eco genetico, un sorriso.
Una lacrima in gola.
Attraversiamo,
Come l'onda che bagna la sabbia,
Un istante, distanti, insieme.

Attore

Esibizionista timido
Nascosto in piena luce,
Alpinista dell'amore,
Tu beffi la morte.
muti com'un serpente,
E cambi pelle, cambi volto cambi ritmo.
Ma ritornerai,
Lo sai,
Il solito uomo col solito tempo.

Ritorni

So che un tempo,
Io ero un tutt'uno con te.
Una sola ed unica
Sintesi d'ombra e luce.
Invisibile, ma così lucente
Da bruciare il creato.
L'esplosione
Ci strappò dall'abbraccio,
E lacerati,
Tornammo polvere,
Insieme.

Come ho scelto la copertina del mio libro

La copertina del libro: per molti, dopo il titolo, rappresenta il fulcro, il centro di tutto, l'autentico ingresso nel mondo immaginario dell'autore. Una copertina è un biglietto da visita. Durante le mie ricerche per prepararmi al lancio del libro, ho scoperto che una persona guarda la copertina per soli due secondi prima di decidere se è interessata o meno. Due secondi!

Il tempo di un saluto e la scelta è già stata fatta.

In molti aspetti della vita, pur dando importanza alla ragione e al pensiero elaborato, spesso le nostre decisioni avvengono in un istante, quasi istintivamente. Le nostre scelte sono il risultato di chi siamo e non richiedono ulteriore elaborazione, poiché in fondo "già sappiamo" cosa scegliere ancor prima di farlo. Siamo pre-programmati dalle nostre esperienze, dalla nostra vita e dalla nostra storia. Così si formano i giudizi e i pregiudizi.

Per questo è fondamentale nutrire il proprio inconscio con "cibi" sani. In questo modo, quando non sarà possibile affidarsi completamente alla ragione, la disciplina con cui avete coltivato il vostro sapere vi sosterrà. Detto in altre parole, se continuate a consumare contenuti superficiali e vuoti, come i social media, i reality e altri contenuti basati sulla banalità, non solo state perdendo tempo, ma vi state danneggiando. State nutrendo il vostro inconscio con materiale povero, e quando arriverà il momento di fare quella fatidica scelta, non sarà Platone a guidarvi, ma un qualunque influencer e i suoi selfie in spiaggia.

Tornando alla copertina, vi racconto come ho incontrato il mio copertinista. Forse non tutti sanno che ho fondato, dieci anni fa, un'azienda di videogiochi (http://www.untoldgames.com) che dà lavoro a molte persone e prospera nella splendida città di Genova. Per il primo gioco che sviluppammo, "Loading Human", abbiamo collaborato con un artista per creare gli "artwork" che avrebbero ispirato i grafici del gioco. Questi artwork sono stati realizzati dal grande Massimo Porcella, artista rinomato e di fama internazionale. La sua formazione nella concept art proviene da master di concept art con la CGSociety, poi diventata CGMA nel corso degli anni. Potete ammirare i suoi lavori qui: https://www.artstation.com/max

L'ho contattato subito per chiedergli se fosse disposto a realizzare la copertina del mio libro, ed eccola qui:

La copertina de "La Divina Avventura"

A causa di quei due secondi a disposizione per catturare l'attenzione, la copertina deve trasmettere un messaggio semplice e immediato. Non potevo perdermi nei dettagli, almeno non prima di aver chiarito quale fosse l'energia da comunicare. E voi, cosa vedete? Cosa vi ispira questa copertina? Lasciate un commento e vi risponderò spiegandovi cosa volevamo esprimere noi. Vedremo se l'intento e la percezione coincidono.

La copertina del libro è un elemento fondamentale nella decisione di leggere o meno un'opera. Ecco perché è importante dedicare tempo ed energia alla sua creazione, collaborando con artisti di talento come Massimo. In un mondo in cui siamo bombardati da informazioni e stimoli visivi, avere una copertina accattivante può fare la differenza nel successo di un libro.

Alla fine, come autore, il mio obiettivo è condividere con voi la mia passione e le mie idee attraverso le parole, e la copertina è il primo passo in questo viaggio. Spero che, oltre ad essere attratti dalla copertina, possiate immergervi nel mondo che ho creato e trarre piacere, emozioni e ispirazione dalla mia storia.

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Informativa sulla Privacy - Estratto

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Ultimo aggiornamento: 06 gennaio 2024

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