Il destino di un padre

Era notte. Mi trovavo in un villaggio medievale, un tipico borgo italiano in salita. Provavo una strana sensazione di vuoto, come se una parte di me si fosse allontanata, come se una solitudine straziante mi stesse aspettando. Potevo sentire i grilli e i miei passi sull'asfalto. Ero io, ma apparentemente più vecchio. Era un sogno, sebbene non ne fossi consapevole. I sogni, mentre li viviamo, spesso appaiono indistinguibili dalla realtà. Dentro di me c'erano tutti i ricordi preziosi che avevo accumulato durante la mia vita - la mia infanzia, la mia famiglia.

Mentre salivo il ripido sentiero di cemento, notai un'automobile, una macchina gialla antica, quasi fuori dal tempo, con il motore acceso. Dal tubo di scarico usciva del fumo. Era sul punto di partire. Avvicinandomi, realizzai che conoscevo chi era al suo interno. Era Elettra, mia figlia. Nonostante sapessi che era cresciuta, non potevo fare a meno di pensare a lei come una bimba di sei anni. Era alla guida dell'auto. Non la potevo vedere, ma sapevo che era lì.

Il motore aumentava di giri, era pronto per partire. In quel momento, mi resi conto che ero stato io a insegnarle a guidare, che avevo dedicato la mia vita al suo futuro, che le sue mani sul volante erano il risultato delle mie scelte, del suo amore, del suo desiderio di imitarmi, di seguire il mio cammino. E proprio in quel momento, mi resi conto di non averle insegnato a frenare.

"Non partire!" gridai. Ma in questo sogno, ero muto, ero solo con i miei pensieri, il mondo non era altro che una proiezione delle mie paure più profonde. La paura di perdere il controllo, la paura della perdita.

Mentre osservavo l'auto allontanarsi rapidamente, fui sopraffatto dalla disperazione per non averle insegnato a frenare.

Mi svegliai di colpo. Era ancora notte. Ero nel letto, l'aria condizionata era accesa, a 26 gradi, un clima confortevole. Mi alzai senza svegliare nessuno e mi diressi verso la stanza di Elettra. Il suo piccolo corpo addormentato sul letto era meraviglioso. Sembrava voler occupare tutto lo spazio disponibile, con le braccia larghe, le gambe distese e la bocca aperta. Mi avvicinai per guardarla meglio. Piccolo naso, occhi chiusi, guance così lisce...

"Un giorno crescerai, un giorno te ne andrai. Ma non sarà stanotte e nemmeno domani. Prometto che ti insegnerò a correre. Ma anche a frenare."

Come ho Imparato a Rispettare Gli Altri

Quando ero un ragazzino ("pischello", come si direbbe a Roma) non ero un bravo studente. Non perché mancasse l'intelligenza, ma piuttosto perché, da vero Toro, non trovavo nelle lezioni teoriche un'applicazione pratica che potesse migliorare la mia vita. Sono una persona semplice: quando imparo qualcosa, è perché mi serve, altrimenti la dimentico. Infatti, il mio apprendimento è proseguito ben oltre l'età della maturità. Ho iniziato a studiare seriamente all'età di 20 anni, quando ho preso in mano libri che mi servivano per migliorarmi nei campi che trovavo interessanti e che avevo deciso di coltivare per gli anni a venire: la comunicazione, la recitazione, la scrittura. Non avete idea di quanti manuali ho accumulato nel corso degli anni. Per più di un ventennio, ogni mio scritto era sempre accompagnato da un nuovo manuale, un testo di riferimento sul quale studiavo e applicavo le teorie che incontravo. Ho bisogno di mettere in pratica per capire. Ricordo il funzionamento di qualcosa solo quando riesco a realizzarlo.

Al collegio, la professoressa di francese ci aveva dato un compito da svolgere in gruppo. Eravamo in tre: Vincent, Emanuele ed io. Eravamo i tre italiani della classe (il collegio era in Francia) e quindi eravamo legati, seppur molto diversi tra di noi. Emanuele, negli anni, divenne uno dei miei più cari amici. Ognuno di noi doveva fare una parte del compito. Non ricordo cosa mi toccò, ma ricordo bene che la domenica prima della consegna del compito, prevista per il lunedì, non avevo fatto nulla. Assolutamente nulla. Ero così, all'epoca. Non mi interessava nulla, se non andare nel bosco con i miei amici e divertirmi. E così avevo fatto, abbandonando ogni responsabilità. Ma finché questo completo abbandono riguardava solo me, nessuno mi aveva mai rimproverato. In questo caso, tuttavia, stavo danneggiando altri ragazzi, un gruppo che non avevo scelto. Emanuele mi diede una lezione che ancora ricordo. Mi spinse, mi fece cadere, mi disse che dovevo rispettare gli altri, che non potevo comportarmi come se fossi l'unico al mondo. Fu una lezione dura, sia per il mio orgoglio che per la violenza che conteneva. Eppure, fu una lezione che ancora porto con me e che, dopo più di 25 anni, non ho dimenticato.

Emanuele aveva ragione, forse non nei modi, ma nel contenuto. Sapeva che ero un ragazzo sveglio, sapeva che potevo fare meglio, e soprattutto non avrebbe mai permesso a qualcuno di calpestare la sua libertà. Siamo tutti collegati, ognuno di noi è parte di un sistema, ognuno di noi è responsabile di qualcosa oltre al proprio piccolo mondo. Ogni volta che vi mettete in macchina, ogni volta che decidete di agire, lo fate per voi, ma lo fate in un luogo dove anche altri agiscono.

Pochi hanno avuto l'opportunità di cambiare rotta durante il loro percorso in questa vita, di cambiare radicalmente approccio. Passai la notte a recuperare quel compito. Feci tutto il possibile per farlo al meglio delle mie limitate risorse, poiché, come vi ho detto, non studiavo. Riuscii a produrre ciò che mi era stato richiesto, e ottenemmo un voto sufficiente per il compito. Non fu un trionfo, almeno non dal punto di vista del risultato. Ma quel giorno, grazie alla tenacia di colui che poi divenne un amico per la vita, cominciai a cambiare verso il Flavio che sono oggi.

Quindi, un ringraziamento speciale a Ema.

L'arte Cura l'Anima

Ieri ho ricevuto una recensione privata che mi ha molto commosso e che desidero condividere con voi. Ho anche altre domande riguardanti una diretta che voglio realizzare, e dato che questo è il luogo ideale per comunicare senza disturbi (quella famosa "chiarità di segnale" di cui parlo), ne approfitterò per scrivere qui.

Per ora, vi lascio con quello che la lettrice ha scritto riguardo a "La Divina Avventura":

"Un viaggio interiore che letto al momento in cui ne hai bisogno, ma che non sai di avere, ti porta a riflettere e a " guarire" delle ferite inconsce."

Queste parole mi hanno colpito profondamente, perché l'intento di questo libro era proprio questo: suscitare nel lettore una sorta di rinascita. Partendo dagli istinti della materia, cioè da quel giovane intrappolato dentro un carro armato a vivere di ricordi, così simile ai ragazzi di oggi chiusi dietro gli schermi dei loro telefoni, ho cercato di guidare il lettore verso le cime della gioia di vivere. Attraverso la crisi, certo, ma in questo caso, oltre al viaggio, direi che la destinazione conta molto. Quella frase, "Anche se non le vedete, le stelle brillano anche di giorno", riassume il percorso di Overton. Egli è riuscito, anche grazie alla tenace perseveranza di Kato, alimentata dall'illusione di un Dio che Dio non è (ma che quindi non è del tutto dannosa, poiché ha generato una nuova generazione di uomini), insomma Overton è riuscito a liberarsi dal suo passato e persino dal suo futuro. Overton non cerca più la perfezione, ma accetta che questa Divina Avventura sia un mistero per il quale, forse, dovremmo solo essere grati.

La vita di un libro è misteriosa, può richiedere mesi o addirittura anni per raggiungere la persona giusta. Quindi, come vi ho già detto, invece di limitarmi a seguirne il percorso, mi sono messo a scrivere il prossimo libro.

Mi avete già chiesto se sarà il seguito de "La Divina Avventura"... ma chi mi conosce sa che sono più simile a Overton che a Kato. Io guardo l'orizzonte, mi precipito verso nuovi mondi quindi sarà una nuova storia. Ma prima di dirvi di cosa tratterà, e non solo perché desidero coinvolgervi in tutto il processo creativo, sono curioso di sapere cosa vi aspettate.

Detto questo, nonostante l'enorme mole di lavoro che mi attende per il prossimo libro, ho deciso di continuare a pubblicare due post settimanali sul Diario D'artista. Questo per mostrare quanto mi importa di questo piccolo giardino!

A volte mi chiedo quale sia il ruolo dell'artista. Non credo che l'artista debba essere necessariamente politico, né etico o morale. Per me, l'aspirazione più grande è creare un mondo, una storia, con temi e personaggi che aiutino a curare l'anima di chi legge. Anche un semplice tocco gentile va bene. Credo che sia questo, almeno per me, la responsabilità dell'artista.

Per quanto riguarda il prossimo, prometto di fare tutto il possibile per superare me stesso.

PS: A che ora e in che giorno vi piacerebbe una diretta in cui rispondo alle vostre domande?

Come Liberare la Tua Anima Creativa

"La Sindrome dello Scolaretto"

Non penso che esista una sindrome come questa, almeno nei manuali. Tuttavia, l'ho spesso incontrata e agli inizi della mia carriera vi sono caduto più volte dentro. La denomino "la sindrome dello scolaretto" perché, in sostanza, equipara arte e compiti scolastici.

Molti artisti, soprattutto i novizi (e non tecnicamente parlando, s'intende, ma nel percorso di introspezione e ricerca, perchè è questa è la vera strada dell'artista - nessun manuale potrà insegnarvelo.) Insomma, i "novizi" confondono spesso "espressione personale" e "tecnica". Trasformano la tecnica in espressione, proprio come uno studente che affronta il compito non per un processo personale, ma per appagare l'insegnante.

Se questo può funzionare in una dimensione scolastica, nell'arte produce dei mostri. Perchè ciò che conta è il cuore, l'anima, l'amore, il sesso, la morte, la tragedia, la commedia. Bisogna far vibrare le anime! E nessuna tecnica ve lo insegnerà, perché la tecnica non è luce, la tecnica è "pulizia del segnale". Serve a togliere i fruscii, a pulire il messaggio, ma se per essere "giusti e corretti" sacrificate il cuore sull'altare del compito perfetto, ciò che avrete tra le mani alla fine sarà un'opera facilmente dimenticabile, apprezzabile forse solo da altri amanti della tecnica perfetta. E fidatevi, sono pochi. Perché se qualcuno investe tempo, denaro e attenzione nella vostra arte, in cambio cerca solo una cosa: trasformazione. Vuole ridere, piangere, emozionarsi, cambiare punto di vista sul mondo, raccontare agli amici della scoperta. Questo è l'arte.

Quindi fatevi un favore, dimenticate la pila di manuali che avete accumulato per anni, dimenticate ciò che credete sia "giusto". Dimenticate. E lasciatevi guidare dalla necessità, dal desiderio di esprimere ciò che vi sta realmente a cuore, scavate nella vostra anima, trovate un diamante e portatelo fuori. Poi, pulitelo, certo. Rendetelo splendente quanto volete. Ma fidatevi, potete pulire quanto volete un pezzo di chincaglieria da quattro soldi, ma resterà sempre chincaglieria.

Per fare arte bisogna sbagliare, bisogna conquistare territori inesplorati, quindi è inevitabile che vi troviate molto spesso davanti al muro dell'incomprensione dei vostri pari. Perché la maggior parte della gente - anche nell'arte - affronta il processo creativo a livello mimetico. Imita. Qualcosa funziona? Lo copio così funzionerà anche per me. Io sono per il processo mimetico, come diceva R. Girard, è fondamentale sia per la formazione l'individuo che per la stabilità della collettività. Ma il processo mimetico appartiene allo studente, non al maestro. L'artista è colui che trascende i suoi maestri e trova in sé e nel mondo che lo circonda l'ispirazione per rompere que gli argini nei quali è cresciuto. Solo così l'anima creativa si libera, solo così nasce lo stupore.

Siate minatori, cacciatori di nulla, farfalle che si sentono aquile, fragili bolle di sapone nel tornado della vita. E non desistete, perché ricordate, come dice Overton, che "Anche se non le vediamo, le stelle brillano anche di giorno."

Come gestire le critiche costruttive per migliorare la creatività?

Come Gestire le Critiche in Maniera Costruttiva?

Questo è un argomento delicato, specialmente per i romantici, quindi se siete tra coloro che tendono a prendere tutto sul personale, allacciate le cinture perché si prospetta un viaggio sulle montagne russe.

La critica. Quella maledetta critica. Come diceva Alberto Sordi, "i critici che devono fà? devono criticà". Quindi, prima di tutto, se la critica proviene da una fonte affermata, da un vero critico, che capisce il processo creativo, egli merita tutta la nostra attenzione. Siamo qui per migliorare, questo è il primo punto da ricordare. Nessuno di noi è perfetto. E mai lo sarà, come vi direbbe Argo, uno dei protagonisti della Divina Avventura.

Pertanto, quando affronto un commento, una critica, cerco di avere l'approccio più costruttivo possibile. Leggo, analizzo, cerco i miei errori. È faticoso! È incredibilmente doloroso! Essere consapevoli delle proprie debolezze, delle proprie imperfezioni è per me fonte di grande frustrazione. C'è qualcosa dentro di me che anela solo all'applauso, lo desidera intensamente. Quando recitavo accanto a Mariangela Melato in Madre Coraggio e i suoi figli, mi colpiva sempre il suo desiderio finale di applausi. Aveva bisogno di quell'approvazione, era il motivo del suo essere lì. Ecco, penso che molti artisti siano attratti dal conforto dell'applauso. Ma dobbiamo cercare anche la critica, perché è lì, come direbbe Overton, che si trova la crescita. L'ignoto.

Tuttavia, c'è un ma.

In questo nuovo mondo, in questo forum collettivo dove ognuno è sia produttore che consumatore di informazioni, cioè internet, tutti hanno lo stesso valore. Siamo tutti uguali di fronte al temibile algoritmo! Ogni opinione è valida, ogni giudizio è valido e non può essere messo in discussione. Ma è giusto? Valiamo davvero tutti allo stesso modo? Direi di sì, se tutti fossimo sinceri e non ci si mettesse di mezzo l'aspetto più Macchiavellico dell'essere umano. Quel "mors tua vita mea" che sembra alimentare alcune persone.

In quel caso, l'opinione del recensore non nasce dal desiderio di esprimere un punto di vista, ma da quello di manipolare il lettore. Dicendo non ciò che pensa, ma ciò che vorrebbe che gli altri pensassero. Una forma di manipolazione in cui usa quel poco di autonomia che gli è rimasta per ferire l'autore e sentirsi, per qualche istante, importante, prima di essere nuovamente dimenticato e precipitare nel baratro della frustrazione. Ho ricevuto una recensione simile poco fa, al lancio del libro. Penso che sia un rito necessario e inevitabile.

Inoltre, e questo vale per gli scrittori su Amazon, avere critiche negative è molto utile, perchè danno credibilità a quelle buone. Quindi, ben vengano le critiche negative!

Come dice Jeff Bezos: "nella creazione di Amazon, non ho mai pensato alla concorrenza, ma solo al cliente." Parafrasando questa affermazione capitalista, nella mia carriera poliedrica, non ho mai pensato alla concorrenza, ma sempre allo spettatore. A voi. Quello è l'unico legame che mi interessa.

Le recensioni del libro stanno arrivando e sono eccezionali. Io non posso che ringraziare ciascuna/o di voi che mi ha lasciato meravigliose parole. E approfitto di questo spazio per fare un cenno a chiunque non l'abbia ancora lasciata di farlo. Perchè sarà d'aiuto al libro per farsi conoscere:

Detto questo, concluderò con un consiglio che mi diede uno sceneggiatore Hollywoodiano che incontrai a Los Angeles, durante una festa a Venice Beach. "Il metodo dell'hamburger". Quando vuoi fare una critica, usa il metodo dell'hamburger. Tre strati. Un complimento/Una critica/Un complimento. In questo modo, chi ti ascolta sarà più incline ad accettare la critica.

Come la recitazione mi ha aiutato ad affrontare la timidezza

Quando ero un ragazzino, un giorno mio padre mi disse qualcosa che sconvolse la prospettiva sul mondo. Mentre mi parlava, stavo a braccia incrociate con un'espressione accigliata sul volto. Dovevo avere circa 13, 14 anni. Mi chiese se lo stavo ascoltando. Risposi di sì, ma lui replicò: "Se una persona ha le braccia incrociate, significa che non è aperta al dialogo, quindi non mi stai ascoltando davvero."

Dopo questa rivelazione, il mondo intorno a me cambiò. Cominciai a osservare i comportamenti degli altri: il modo in cui si comportavano, le braccia incrociate, le gambe incrociate, lo sguardo distante piuttosto che intensamente impegnato nell'interazione con me. Fu come se avessi scoperto una nuova dimensione della comunicazione, ed in effetti era così.

Questo percorso continuò, anni dopo, nei miei studi di recitazione. Dopotutto, quale altro mestiere costringe a una profonda comprensione dei comportamenti umani, con l'obiettivo di riprodurli o addirittura di assimilarli? Grotowski, in un celebre aneddoto, pose questa domanda: "Immaginate di essere in una foresta e di trovarvi davanti a un gigantesco grizzly. Cominciate a correre, quasi istintivamente. La mia domanda è: avete paura e quindi correte, oppure correte, e correndo diventate paurosi?"

Questa domanda racchiude uno dei grandi paradossi della recitazione: si giunge a un'emozione dall'esterno (la corsa) o dall'interno (la paura)? Da questa premessa nascono vari metodi di recitazione che cercano di favorire un approccio piuttosto che l'altro. La recitazione moderna, da Stanislavski all'Actor's Studio, propende per una ricerca interiore, per stabilire nel proprio io un'analogia personale con ciò che il personaggio prova, al fine di essere autentici. Ma è veramente così? Un altro famoso aneddoto coinvolge Laurence Olivier e Dustin Hoffman sul set de Il Maratoneta. Quest'ultimo amava correre per chilometri per entrare nel ruolo e un giorno Olivier gli disse: "Perché fai tutto questo? Devi solo recitare."

Io mi allineo più alla scuola di pensiero di Olivier, credo nella recitazione come un atto sincero e immediato, privo di psicologismi, che permette al personaggio di emergere, non nascosto dietro le rughe dell'attore, ma tra le righe del poeta.

Quindi, grazie alla consapevolezza acquisita attraverso la recitazione, a 20 anni decisi di non incrociare mai più le braccia. Ho trascorso i successivi 20 a impormi di essere aperto, costringendomi in un certo senso a essere ricettivo verso ciò che mi circondava. Questo è stato molto utile per me, dato che il mio essere timido e introverso aveva bisogno di questo cambio per trovare vitalità e crescita.

Poi, un mio maestro mi lasciò in una lettera d'addio, queste parole: "Ricorda: è proprio quando dici 'è troppo' che il lavoro inizia..." Niente di più vero. Così vero che, a un certo punto, intorno ai quarant'anni, mi resi conto che era arrivato il momento di incrociare nuovamente le braccia. Ero così abituato a non farlo, che la mia "crisi" sarebbe stata proprio questa: ritornare dentro di me. Riscoprire quella introversione che mi aveva plasmato così profondamente. Il mio primo cuore.

E quindi eccomi qui, a scrivere libri e pagine del Diario d'Artista.

Chi Ruba i Tuoi Sogni

Il mondo è pieno di bugiardi, speculatori, persone così perse, così distanti dai propri desideri, che vivono rubando quelli altrui- nel migliore dei casi - o addirittura distruggendoli.

Ma perché, per quale motivo una persona si ritrova, all'improvviso, dall'altra parte della riva? Io credo che molti di loro, all'inizio, fossero giovani aspiranti sognatori, persone con un desiderio, con un obiettivo. Poi la vita, il destino o chi per esso, ha scelto diversamente, e lentamente, forse per non perdere quel legame con i desideri, hanno cominciato a nutrirsi dei desideri altrui, come parassiti della felicità. Si sono incanalati in un tunnel di frustrazione, dove vedevano emergere, davanti ai loro occhi, i loro desideri, ma incarnati nei corpi di altri.

Un destino insostenibile.

Un'altra possibilità è che, nel loro percorso artistico, hanno incontrato un muro. Qualcosa di così potente da spazzare via la volontà che li teneva in piedi. Potrebbe essere il genio. Quanti tragici destini sono legati all'incontro con il genio. Quanti meravigliosi destini pure. Il genio si ama, non si lotta. Ma la volontà a volte gioca brutti scherzi, soprattutto se legata alla superbia. E chi incontra il genio ma non lo ammette e lotta contro di esso, spesso si ritrova naufrago su un'isola deserta.

Questo accade a Kato e a molti altri personaggi de "La Divina Avventura". Tutti sono mossi dal desiderio, chi più chi meno, chi nella lotta, chi nel passato, chi nella scoperta. Nel romanzo affronto gli effetti della volontà. Sia primitiva, cioè della sopravvivenza, attraverso l'istinto, sia quella del prosperare, della ricerca del miglioramento, della perfezione, sia, infine, quella spirituale dell'accettazione.

"La volontà di accettare."

Può sembrare un paradosso, ma non lo è. Basta vedere il percorso di Overton.

Tornando agli speculatori che si nutrono delle aspirazioni degli artisti, come si possono riconoscere? Onestamente, non lo so. Ma può venirci in aiuto l'incomparabile Collodi, con il suo Gatto e la sua Volpe. Anche vari poeti come La Fontaine, o il nostro Esopo: chi liscia troppo il pelo, chi vende sogni facili, chi non fa altro che mostrarvi uno specchio nel quale potete sentire di essere perfetti. Ecco, sono loro. Fuggite! Cercate la crisi, quella brutta, oscura e gobba, perché è lì che si nascondono i segreti della crescita.

Ricordate, nella natura, tutto ciò che è bello, è letale. Non è un caso se i colori vivaci, le forme meravigliose, e gli odori inebrianti servano ad attirare le prede per mangiarle meglio.

Sono stato fortunato, nella vita non ho incontrati molti parassiti, alcuni, certo, ma è inevitabile. Se dovessi dare un consiglio disinteressato a tutti gli artisti, fidatevi di coloro che guadagnano SOLO se la vostra arte ha successo. Chiunque siano i vostri collaboratori, sono loro a lavorare per la vostra arte e non il contrario. E se saranno bravi, a loro spetterà una parte dei guadagni derivanti dal vostro lavoro in quanto artista. Non pagate per sentirvi più belli, più intelligenti, o artistici.

La vanità è la peggiore delle consigliere.

Il Segreto di Paperon De Paperoni

Una cosa alla volta.

Non ricordo chi nella mia vita mi abbia sempre ripetuto questo mantra: "una cosa alla volta". Forse mio padre. O mia madre? Fatto sta che in queste quattro parole si cela un segreto tanto semplice da passare quasi inosservato. Se esiste un ingrediente segreto che permette di portare a termine ciò che si inizia, è proprio questo: procedere un passo alla volta. Nella scrittura, significa una parola alla volta. Un'idea alla volta.

Un personaggio della Disney, Paperon De Paperoni, solitamente afferma che si diventa ricchi un centesimo alla volta. Forse è da lui che ho preso questo motto, e la mia mente, nel tempo, l'ha sottratto al capitalismo imperante che trasuda da quelle parole, per conferirgli un significato più spirituale, più filosofico.

Si accumula conoscenza un pensiero alla volta. Si crea un'opera d'arte un gesto alla volta. Se questo è vero, e io penso che lo sia, allora la disciplina diventa un altro elemento fondamentale. Alzarsi e correre. Alzarsi e scrivere. Alzarsi e fare. Sempre una cosa alla volta. Come affermavo in una pagina precedente del diario, l'ispirazione nasce dall'azione. Ma non solo l'ispirazione. Anche la cura nasce dal fare. Sembra che, indirizzando le nostre energie verso un obiettivo, un desiderio di realizzazione, possiamo lenire i nostri mali, dando alla nostra vita un senso, una direzione: completare qualcosa.

Sabato, mentre ero al mare a bere una birra, seduto al tavolino di legno eroso dal tempo, con il vento del tramonto sulle spalle bruciate dal sole, io e alcuni dei miei amici abbiamo incontrato per caso un'amica di scuola di uno dei commensali. Avendo con me La Divina Avventura e sapendo da uno dei miei amici che questa ragazza era un'assidua lettrice, ho colto l'occasione per mostrarle il libro (non bisogna mai perdere un'occasione!). Dopo aver ascoltato la mia ormai rodata presentazione: "È una sorta di Siddhartha e La Storia Infinita insieme", mi guarda e dice: "C'era un filosofo giapponese, non ricordo il nome, che sosteneva che nella vita bisogna fare tre cose: avere un figlio, piantare un albero e scrivere un libro". Ho risposto che a piantare un albero ci metterei un attimo.

Detto questo, non posso che dare ragione a quel filosofo giapponese. La creazione è vita. E creare, che sia una pianta, un libro, un monumento, o un'altra vita, sembra essere non solo una fonte inesauribile di energia, ma anche di gioia e di senso.

Quindi, domani, quando mi alzerò, come oggi ripeterò a mia figlia: "Elettra, una cosa alla volta. Fatta bene. E poi vai avanti". Ormai lei alza gli occhi al cielo e sbuffa. Mi sembra di sentirla dire: "Uffa, papà... ancora con questa storia?" E nei miei occhi, non c'è altro che amore incondizionato e gioia infinita.

Come Affrontare il Vuoto Post-Creazione?

Non posso fare altro che iniziare questa settimana del "Diario D'artista" parlando del lancio del mio libro.

Venerdì, finalmente, "La Divina Avventura" è stata pubblicata. È ufficialmente fuori dal mio controllo ed ora si trova nel limbo dei libri: quelli scritti ma ancora non letti. È in una sfera d'ignoto che contiene ogni possibilità, ogni successo e ogni fallimento.

Solo l'idea che qualcuno, in questo preciso momento, stia leggendo per la prima volta quelle parole che ho coltivato, cresciuto e selezionato con tanto impegno, mi fa battere il cuore. Pensare che ormai questa storia è scritta, conclusa, incisa per sempre nel tempo mi riempie di gioia. Sì, è vero, ha le sue debolezze, le sue fragilità. Possiede forse l'ingenuità di un'opera prima, ma porta con sé anche l'entusiasmo, la leggerezza e soprattutto, un messaggio.

Sapere che ora anime sconosciute (e non) stanno per comprendere questo messaggio è sinonimo di profonda felicità e gratitudine per me.

Ma come ogni medaglia che si rispetti, c'è un rovescio. L'artista, dopo aver creato, si trova a confrontarsi con quella che io chiamo "la bolla di vuoto": quel momento post-creazione in cui non c'è più nulla, solo il vuoto. Molto simile a quella fase della vita in cui il figlio è andato via di casa e ora la sua stanza, tutta addobbata, che conserva ancora il suo profumo, ha perso la sua funzione primaria.

Scrivere La Divina Avventura mi ha tenuto compagnia per circa 18 mesi, occupandomi la mente, l'anima e il cuore. Fino a saturare ogni parte di me. Non avevo più spazio per altro. Non volevo più spazio per altro. Era puro amore, totale, incondizionato. Solo così riesco a toccare le mie corde più intime, solo così riesco a commuovermi nella scrittura di un paragrafo. Solo così posso immaginare un evento, o trovare un significato alle mie stesse parole. E ora, tutto questo non c'è più. Ora, questi pensieri, queste idee, queste emozioni, devono vivere di luce propria, devono camminare con le proprie gambe. Io ho fatto tutto quello che potevo, come ogni genitore premuroso. Avrò sbagliato da qualche parte, e da qualche altra avrò fatto la cosa giusta. Ma ora, caro libro, il mondo è tuo. Vai, corri verso i tuoi lettori, persegui il tuo scopo, scuoti le loro anime, fai vibrare i loro cuori e crea quei meravigliosi ponti tra l'autore e il lettore.

Ma io? Cosa dovrei fare io, ora che mi hai lasciato solo? Ti vedo lì, sulla mia scrivania... con la tua copertina che raffigura una barca, il mare e torri nere. Mi dispiace, ma non riesco più a leggerti. Non perché non voglia, so che ci sono refusi qua e là, so che sei imperfetto. Ma, come dici tu stesso ad un certo punto: l'imperfezione è bellezza. Un giorno, forse, correggerò i tuoi piccoli difetti, che ti donano quell'aura di inizio, di principio, ma se devo essere onesto, per ora mi piaci così come sei.

Credo che mi godrò quel sano vuoto che segue la creazione e mi preparerò per il prossimo viaggio. Nel silenzio troverò terreno fertile per nuove semine, che daranno vita a un nuovo raccolto.

L'ho già anticipato, il prossimo libro parlerà di Amore e del Tempo. Il tempo tiranno, il tempo che passa, il tempo che fugge e l'amore, sempre l'amore.

La gioia del fallimento

"Fallire è la prerogativa dei migliori." Avete mai sentito questa frase?

Il successo nasce dagli errori. E non uno. Nemmeno dieci, ma innumerevoli: bisogna fallire finché non si coglie la corretta via. E questa potrebbe essere dietro l'angolo oppure oltre l'orizzonte. Attraverso i fallimenti impariamo a progredire e progredendo, impariamo a gestire le sconfitte, finché un giorno, dopo aver esplorato ogni possibilità, ci si trova a volare. La strada della conoscenza è un sentiero costellato di esperienze non andate a buon fine, poiché l'esperienza stessa altro non è che l'equilibrio tra l'informazione acquisita e il tentativo di applicarla, in un eterno ciclo di feedback.

Lasciate che vi racconti la mia vita.

É stata una serie di tentativi e fallimenti, in gran parte artistici. Iniziai a suonare il violino a 8 anni e smisi a 12, quando mi confrontai con una giovane prodigio che schiacciò, con il suo talento, ogni mia velleità "Paganiniana". A lenire il dolore ci pensò il mio primo computer, regalatomi da mio padre, un informatico nell'era degli anni '80. Arrivato in collegio, intrapresi la chitarra, ma non riuscii ad eccellere nemmeno lì. Strimpellavo. A scuola non brillavo, anzi, mi hanno addirittura bocciato. Poi, una volta tornato in Italia, intrapresi gli studi in informatica all'università, ma anche lì, il percorso non mi si addiceva. Fu allora che scoprii il teatro, dove trovai una certa facilità nel fare ciò che mi veniva richiesto con risultati più che discreti.

Dopo aver messo da parte qualche soldo lavorando per l'ex marito di mia sorella come cameriere durante l'estate, produssi il mio primo spettacolo teatrale, che, pur andando in perdita, mi aprì le porte della regia al Teatro Stabile di Genova. Li scrissi e diressi altri tre spettacoli, l'ultimo dei quali fu talmente controverso da offendere così tanti che mi fu chiaro che quello non era più il posto per me. Andai a Roma dove girai film famosi e serie tv popolari. Spesi i soldi guadagnati per dirigere tre film indipendenti, che potete vedere gratuitamente sul mio sito QUI. Non guadagnai nulla, se non sicurezza e conoscenza.

Poi, non avendo trovato nessuno disposto a investire in me, decisi di investire tutto ciò che mi rimaneva in un progetto audace: un videogioco in realtà virtuale. Fortunatamente, trovai persone competenti con cui fondai "Untold Games", che ora è una delle più importanti realtà di gaming in Italia.

Oggi, come molti di voi sanno, ho deciso di cimentarmi nella scrittura di romanzi - e non solo - visto che mi pubblico da solo. Insomma, non smetto di cercare i muri dove sbattere la testa!

Guardandomi indietro, vedo una strada costellata di fallimenti, sì, ma vedo anche lezioni di vita inestimabili, vedo la gioia di seguire le mie passioni, e ricordo amici che non vedo più ma che sono e saranno per sempre nel mio cuore. Non importa quanto sia difficile perseguire i propri sogni, farlo è un'avventura degna di essere vissuta.

Recentemente ho avuto una conversazione con un mio amico che, dopo aver venduto la sua azienda per una somma straordinaria, a cena mi confidò: "Flavio, non so cosa fare ora." In effetti, mi chiedevo anch'io: cosa fai quando hai la possibilità di fare qualsiasi cosa, ma ti sembra di non avere più niente da fare? Gli risposi: "Ricorda quello che desideravi fare da bambino e fai proprio quello." Sorrise, e ancora oggi, quando ci incontriamo, mi ringrazia per quel consiglio.

Segreti e Tecniche di un Attore

"Dove risiede l'ispirazione?"

Ricordo il mio primo anno di recitazione presso la Scuola di Genova. Ci venne affidato l'incarico di apprendere un testo a scelta tra tre opzioni: un estratto di un libro, una favola e un testo legale. Mi toccò un passaggio del "Mein Kampf", un estratto difficile che richiedeva un'intensa energia per essere declamato. Lì, dovevo interpretare le deliranti idee di Hitler sulla gioventù sportiva.

Un giorno, salii sul palco e, prima di iniziare, attesi. Diversi secondi trascorsero prima che la mia insegnante mi esortasse: "Cosa stai facendo? Stai aspettando l'ispirazione? Devi recitare." Ancora oggi quelle parole echeggiano in me come un monito. Certo, serve l'ispirazione, ma bisogna anche agire, agire e ancora agire. Niente genera più ispirazione dell'atto di creare. È una sfida agonistica, il sudore dell'anima, la mente che si riscalda fino a incendiare i pensieri, dimenticando i propri problemi per accedere a quel misterioso luogo dove nascono le idee.

Non è tanto una questione di dove si trova l'ispirazione, ma piuttosto di come la si cerca. Credo che si trovi nell'atto, nel gesto. Ogni arte ha il suo gesto, strettamente legato al suo strumento. La parola per l'attore, La penna o la tastiera per lo scrittore. Lo strumento musicale per i musicisti, il disegno per l'architetto e così via.

Un altro elemento fondamentale è: "Non fidatevi dei pensieri generati in una stanza chiusa." Non potrei essere più d'accordo. Camminare all'aria aperta, con il mondo che scorre al ritmo dei nostri passi, è un incredibile stimolo per la creatività. Camminare favorisce la circolazione del sangue, in modo più dolce e organico rispetto all'esercizio in palestra. Ci permette di interagire con il mondo che ci passa davanti. Da piccolo mi divertivo a immaginare che non ero io a camminare, ma il mondo sotto di me a ruotare. Amo camminare, come mia nonna che lo ha fatto fino a quando le è stato possibile. Più invecchio, più noto che le persone longeve sono solitamente grandi camminatori. Non credo sia una coincidenza.

Camminare era una prerogativa anche degli antichi greci, maestri di filosofia, etica e morale. I "Peripatetici", studenti di Aristotele, erano così chiamati perché il filosofo insegnava mentre camminava nel portico del Liceo, la scuola da lui fondata ad Atene. I filosofi erano grandi camminatori, ed è comprensibile, perché è camminando che arrivano le idee migliori.

Un'altra fonte di ispirazione sono le persone che ci sono vicine, che conosciamo bene e che possono guidarci o servire da esempio. Vi rivelerò un segreto: ho sempre "studiato" i miei genitori in tutto. Volevo capire in cosa eccellevano e in cosa avrei potuto migliorare rispetto a loro, magari evitando i loro errori o le loro distrazioni. I nostri modelli, che siano i genitori, persone famose, amici, rappresentano una grande fonte di ispirazione.

Infine, ci siamo noi stessi a fungere da fonte di ispirazione. Tuttavia, questo è un tema che potrebbe generare un intenso dibattito. Credo che, crescendo e avvicinandoci alla fine della nostra esistenza, abbiamo via via l'opportunità di diventare il riferimento per noi stessi, ma si tratta di un percorso lungo e graduale che non può - e non deve - escludere il mondo esterno.

A volte, mi guardo allo specchio e quasi non mi riconosco, perché è da tanto che non mi osservo veramente. Notando una ruga, un sorriso, un volto più scavato, mi viene da ridere. Mi chiedo: chi è davvero quella persona che vedo di fronte a me?

Spero di non scoprirlo mai del tutto, per avere sempre l'opportunità di incontrare me stesso ogni tanto e chiedermi come sto.

Il potere dell'Attribuzione

Nell'arte, abbiamo due attori protagonisti: l'artista che, con la sua abilità, manifesta una opinione, un enigma, una disputa, una soluzione, una trama; e lo spettatore, che guarda, valuta, critica, adora e detesta.

Il legame tra questi due soggetti è incredibilmente avvincente. Durante il mio periodo di formazione presso la scuola del teatro di Genova, il mio mentore - uno dei migliori della sua generazione - Massimo Mesciulam, aveva l'abitudine di discorrere di "attribuzione".

Mentre mi preparavo per recitare una scena, mi ribadiva l'importanza dell'attribuzione. Per illustrarlo, faceva riferimento alla scena dell'Agamennone di Eschilo.

L'entrata in scena del protagonista, figura di immenso prestigio e carisma, doveva rispecchiare la sua potenza, pressoché divina. Ma come può un attore "mostrare una forza quasi divina" senza diventare ridicolo? Ve lo dico io: non può. Perché anche una figura imponente come "The Rock", muscoloso e coperto di tatuaggi, apparirebbe comica nello sforzarsi di mostrare potenza. Qui, l'attribuzione viene in nostro soccorso. In questo specifico contesto, significava trovare un modo per far sì che tutti attribuissero all'attore che interpretava Agamennone quella potenza divina. Così, il peso di quella presenza non risiedeva più nelle mani dell'attore, ma in quelle di tutti coloro che lo circondavano. In base al comportamento degli altri, lo spettatore avrebbe attribuito ad Agamennone tale forza. Perché se tutti evitano di guardarlo negli occhi, abbassano il capo e la voce diventa più flebile quando gli parlano, è evidente che quest'uomo, Agamennone, è un uomo da temere.

Una lezione simile l'ho appresa durante la mia esperienza come assistente alla regia con M. Langhoff, un rinomato regista tedesco. Mi illustrò che, nelle scene di combattimento, il lavoro più impegnativo non è di chi attacca, ma di chi viene colpito. Perché è la vittima a rendere la violenza "reale" nella sua finzione. Anche in questo caso, l'attribuzione della forza era nelle mani di un altro.

Ma la vera magia dell'attribuzione si verifica nella fantasia dello spettatore. L'arte è un dialogo tra l'artista e lo spettatore, dicevamo. Se l'artista espone tutto in modo esplicito, esibendo ogni piccolo dettaglio, ogni imperfezione, ogni desiderio, è come se stesse monopolizzando la conversazione. È come un monologo, un tedioso soliloquio in cui esalta se stesso... Ma se invece lascia un vuoto, un'apertura, cosa accade? Avviene quello che si verifica nei migliori libri, film e brani musicali. Lo spettatore, attraverso la propria immaginazione, utilizza questo spazio vuoto per proiettare sé stesso, per attribuire significati. In questo modo, lo spettatore si trasforma in un artista, e si innesta il meraviglioso processo dei neuroni specchio, della capacità di immedesimarsi in quel personaggio, in quelle parole, in quella melodia. È su questo confine, a mio avviso, che risiede l'arte. Siamo tutti discendenti degli stessi antenati, condividiamo molti aspetti, e al tempo stesso ne possediamo di unici e distintivi. Quando riusciamo a creare un dialogo tra anime che permette sia l'unione di ciò che ci accomuna sia l'evoluzione di ciò che ci rende unici, produciamo una conversazione che arricchisce il mondo dell'artista e quello dello spettatore.

Come affermava la mia direttrice della scuola: "la recitazione è relazione." Io andrei oltre, affermando che l'arte, nella sua essenza, è relazione. E la bellezza è un territorio misterioso, dove l'unicità si lega all'archetipo. Dove l'inconscio collettivo si manifesta nell'individuo singolo, atipico, unico, imperfetto. Proprio come tutti i suoi simili.

Come dicono gli anglossassoni: "Beauty is in the eye of the beholder".

Come trasformare la propria vita in un'opera d'arte

La questione dell'arte. Mi chiedono spesso cosa direi a un giovane aspirante attore per aiutarlo. Questa richiesta porta però con sé un peso, perché in un certo senso, una risposta diretta può indirizzare quella persona lungo un percorso difficile. Quindi, invece di elencare i requisiti per essere un attore o un artista, parlerò del mio personale viaggio in questa professione.

Sin dall'inizio, sono stato abituato al cambiamento. In parte per necessità, cambiando scuola ogni tre anni, e in parte per l'educazione ricevuta. Ho viaggiato molto, i miei genitori mi hanno portato in posti meravigliosi come il Senegal, la Giordania, il Marocco. Subito dopo la caduta del Muro di Berlino, si sono messi in auto per scoprire quell'Europa che ancora non si era omologata alla cultura occidentale. Durante la guerra in Iugoslavia, trascorrevamo le estati in Croazia. I miei genitori sono due avventurieri che mi hanno instillato l'amore per la diversità.

Da piccolo, ero un buon studente a scuola, ma con il tempo, forse a causa di questi cambiamenti continui, sono diventato quello del banco in fondo, critico, autonomo, mediamente bravo pur senza studiare. Non certo un modello da seguire, ma questo atteggiamento mi ha avvicinato a nuove passioni. Alcune positive, altre meno. Ma l'arte era già nelle mie vene. Volevo essere parte dello spettacolo di fine anno della scuola, e poi decisi che il mio destino era creare videogiochi, quello che per me è la più grande forma d'arte contemporanea.

Tuttavia, quando sono tornato in Italia, ho dovuto fare i conti con la realtà dell'università italiana, priva di pratica e applicazione. Così, esame dopo esame, ho realizzato che l'informatica non mi avrebbe portato dove volevo. Ma ho scoperto la recitazione, e l'arte, ancora una volta, mi chiamò.

Sono un mix tra Forrest Gump e James Dean. Ho seguito le mie passioni, con la sana follia e leggerezza di chi non ha responsabilità. Ma c'è una cosa che mi ha aiutato, soprattutto all'inizio: non ho mai fatto debiti. Questo mi ha permesso una grande flessibilità, cosa che l'arte richiede.

Spendi i soldi in modo preciso: investi in strumenti del tuo lavoro creativo, evita gli sprechi. Compra un buon computer, una macchina fotografica, libri su sceneggiatura, regia, recitazione, storyboard, e poi altri libri ancora. Spendi per imparare, mai per consumare.

Ricorda che la parola "tecnologia" deriva da "teknè", che significa arte. Gli strumenti, per qualsiasi artista, sono cruciali. Ogni percorso artistico è unico. Ogni vita è una storia a sé. Le regole di condotta si sanno inconsciamente, ma le ribadirò: Ama te stesso e richiedi rispetto. Circondati di persone che ti migliorano. E vivi questa avventura con un pizzico di follia, una generosa dose di disciplina, e affina la tua mente e i tuoi strumenti per brillare come un diamante appena tagliato.

Ricorda: l'arte non è una destinazione, ma un viaggio. Una danza intricata tra chi sei e chi desideri diventare. È la tua storia unica che rende il tuo percorso artistico inimitabile.

Quindi, se sei un giovane che sogna di diventare un artista, la mia raccomandazione non è tanto su cosa devi fare, ma piuttosto su come devi essere. Sii curioso, sii appassionato, sii aperto al mondo e alle sue molteplici sfaccettature. Permetti alla tua arte di evolvere con te, perché alla fine, l'arte che crei è un riflesso di te stesso.

Forma vs sostanza

Oggi mi soffermerò sull'abissale conflitto in cui la nostra società ci immerge quotidianamente: "la forma o la sostanza"?

Questa tematica non è confinata alla nostra società, ma sembra essere un leitmotiv che assilla l'artista sin "dalla notte dei tempi", come recita l'evocativo cliché.

Forma e Sostanza. Questo enigma esistenziale assilla ogni artista. Quando prevale la forma e quando la sostanza? Conta di più la copertina del libro oppure il suo contenuto?

"Il contenuto!" potreste rispondere. Ma se nessuno sfoglia quel libro, quel contenuto è come se non esistesse. Se nessuno compra il libro, l'autore non potrà godere del trionfo della sua arte e neanche riempire la sua tavola di cibo. Questo lo condurrà, inevitabilmente, a cercare altre praterie in cui essere accolto, come lavorare alle poste, come accadde a H. Melville dopo aver composto Moby Dick. Infatti, sappiate che l'autore del più importante romanzo moderno americano cessò di scrivere dopo che il suo libro fu bollato come mediocre dai critici dell'epoca e non conquistò il favore dei lettori. Solo un secolo dopo, il libro fu ristampato e ottenne l'enorme successo che lo pone, ancora oggi, tra i bestseller annuali.

Se Melville avesse adottato una forma differente, avrebbe forse avuto successo? Ma se si fosse piegato alle regole del mercato, forse non avrebbe scritto quel capolavoro. Forse avrebbe prodotto quello che tutti gli altri suoi coevi scrivevano, risultando "uno fra tanti."

Insomma, l'aderenza artistica rappresenta un autentico dilemma. Un artista che rimane totalmente indipendente corre il rischio serio di non riuscire a vivere della sua arte, e un artista che invece aderisce alle regole del mercato, rischia di non essere autenticamente un artista, ma un copista, un impiegato a tempo indeterminato. Esistono compromessi? C'è un modo per far convivere entrambe le cose?

Forse sì. Molti artisti svolgevano due lavori. Uno per "guadagnarsi il pane" e uno per "Dialogare con l'eternità". Mantenevano questi due impieghi separati, quasi ermeticamente, in modo che uno non inquinasse l'altro. Almeno, ci provavano, ma non tutti ci riuscivano. Sicuramente, molti di loro conducevano una vita difficile, perché in fondo, l'anima romantica dell'artista lo permea in ogni sua cellula, e la mancanza di riconoscimento non può che condurlo alla frustrazione, a quel dubbio terribile di essere, come sottolineavo in un'altra pagina del Diario, "un impostore".

Ci saranno quelli che sostengono che l'arte risiede dove c'è commercio, e non posso dire che sbaglino. Molti grandi movimenti artistici furono legati a un successo commerciale, basta pensare al fastoso teatro del 1600/1700, epoca aurea della drammaturgia, che ci ha donato i Shakespeare, i Molière e i Lope de Vega. In quel periodo c'erano più drammaturghi che panettieri, (si fa per dire), e quindi, per una pura questione di statistica, i migliori erano davvero "migliori". L'abbondanza genera qualità, in un certo senso. La sopravvivenza del più forte. La legge della natura applicata all'arte.

Ma ci sono anche le "pecore nere", coloro che hanno lasciato il segno nella nostra storia senza essere minimamente riconosciuti durante la loro vita. Kafka è l'esempio più evidente. Addirittura scrittore postumo. Ma come Kafka, molti pittori, musicisti. Mozart fu sepolto in una fossa comune. Immaginate, Mozart.

Cosa significa tutto ciò? Non lo so. Non ho risposte a questa domanda. Credo che ognuno di noi si confronti con la propria etica, morale. I propri desideri. E non credo che ci siano desideri più giusti o meno giusti. C'è chi aspira al successo. Chi invece vuole perseguire la verità a ogni costo. Chi è convinto di qualcosa di cui nessun altro è convinto. Chi ha ragione e chi ha torto.

Concluderò con un altro esempio straordinario: Ignaz Semmelweis, un medico ungherese del XIX secolo. Celebre per aver proposto che i medici dovrebbero lavarsi le mani prima di assistere le donne durante il parto per prevenire la febbre puerperale. Questa era una malattia mortale che colpiva molte donne dopo il parto. Le teorie di Semmelweis furono largamente ignorate o respinte dai suoi contemporanei, che non compresero il nesso tra igiene e infezione, dal momento che i germi e i batteri non erano ancora stati scoperti.

Semmelweis cadde in disgrazia nella comunità medica e, alla fine della sua vita, fu ricoverato in un manicomio dove morì in circostanze misteriose.

Solo dopo la sua morte, e con la scoperta dei germi da parte di Louis Pasteur e Robert Koch, il suo contributo alla medicina fu riconosciuto e apprezzato.

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La favola di Gianni

Lasciate che vi narri la storia di Gianni, un bimbo con i riccioli aurei, ancora abbastanza piccolo da essere cullato tra le braccia dei suoi genitori quando il sonno lo assaliva.

Gianni, durante le lezioni scolastiche, ascoltava la voce della sua entusiasta maestra, ma non ne decifrava completamente il significato. Lei gli aveva detto: "Ricorda, Gianni, nella vita esistono porte piccole e porte grandi. Le porte grandi accolgono un gran numero di persone, mentre quelle piccole, al contrario, ne accolgono poche. Scegli la porta piccola e scoprirai il mondo."

Gianni proseguì la sua esistenza con la sua solita allegria e leggerezza, dimenticando queste parole sagge e criptiche della maestra. Tuttavia, il seme piantato nel suo cuore cominciò a germogliare durante i suoi anni del liceo, quando Gianni, probabilmente guidato da quella frase dell'insegnante, iniziò a riflettere in maniera autonoma.

Quando avvertiva che tutti erano in accordo su un argomento, in modo quasi istintivo, Gianni cercava la porta piccola, quell'opinione che nessuno condivideva o conosceva. Stimolato dalla curiosità, Gianni si avventurava nelle intricate vie del mondo, alla scoperta dell'invisibile, dell'ineffabile. Questa ricerca lo riempiva di gioia, poiché lentamente Gianni comprendeva che la verità non è sempre quella che ti fanno credere, che ciò che è considerato "giusto" o "sbagliato" non si trova necessariamente dietro la porta grande.

Al contrario, spesso si trovava dietro la porta piccola con la realizzazione che, in un certo modo, il mondo stava cercando di ingannarlo.

"Perché?" si chiedeva Gianni. "Perché dalla porta grande continuano a giungere messaggi pacifici, uniformi, accomodanti, ma spesso ingannevoli?" Gianni non riusciva a trovare una risposta. "Perché la gente, come un gregge privo d'anima, si riversa in quel portone senza fare una piega, senza mettere in dubbio nulla?" Queste riflessioni tormentavano Gianni, che ora, trasformatosi in un giovane adulto, aveva fatto della sua passione il suo mestiere, proprio grazie alle sue decisioni.

"Non potrai mai vivere decentemente con la passione! La passione non mette il cibo sulla tavola! Trova un vero lavoro, come gli altri!" Questo è quello che gli dicevano coloro che sceglievano la porta grande. Ma Gianni, invece, aveva fatto un tesoro della sua passione. L'aveva nutrita con amore, l'aveva sviluppata con orgoglio. E da quel piccolo seme che era la sua arte, crebbe un albero sempre più prezioso, sempre più unico. Un albero che, ad un certo punto, quando Gianni divenne un uomo maturo, fu esibito proprio nella sala della porta grande.

Grande fu lo stupore di Gianni quando tutti quelli che prima lo ignoravano, ora lo acclamavano. Gianni si ritrovò un uomo apprezzato, un "maestro", come si dice.

Potreste pensare che Gianni, dopo una vita di solitudine, accompagnato solo da rare connessioni con anime affini (quelle che come lui sceglievano la porta piccola), ora avrebbe trovato la felicità. Ora che finalmente aveva raggiunto il successo, finalmente sarebbe stato felice.

Ma il successo, come suggerisce la parola stessa, è qualcosa che è già "successo". Il successo appartiene al passato, è dietro di noi, dietro a Gianni. E così, Gianni, solo in mezzo alla folla, con lo sguardo lucido di fronte alle espressioni emozionate dei suoi ammiratori, si rese conto di aver percorso anche lui la via della porta grande.

Fu pervaso da una tristezza profonda, sentì di aver fallito nel suo ruolo di pioniere, di guardiano del nuovo, dell'ignoto. Era un albero maestoso, e ora era questo il suo destino? Era venuto il momento di accontentarsi? Era venuto il momento di fermarsi e di gioire, finalmente, di quella porta larga e comoda che accoglieva chiunque?

Gianni sapeva che se fosse rimasto immobile lì, in mezzo alla folla che lo acclamava, sarebbe presto diventato l'ombra di se stesso. La vita lo avrebbe superato. Sarebbe diventato obsoleto. No, non poteva permetterlo.

E così Gianni, con la schiena curva e i capelli ormai ingrigiti dal tempo si allontanò silenziosamente dalla sala in cui tutti lo ammiravano. Salutò i suoi amici con discrezione e annunciò che non sarebbe tornato, ma che, se avessero deciso un giorno di varcare la porta stretta, lui li avrebbe accolti con amore e gioia.

E fu così che Gianni scomparve, lasciando dietro di sé scintille di meraviglia.

Chi sono io?

"Chi sono?" Vi siete mai fatti questa domanda? Io lo faccio costantemente. Sono un esistenzialista nell'anima. Quando scrivo, è come se lentamente mi guardassi allo specchio e la mia immagine diventasse sempre più chiara. Le mie paure inconsce e i miei desideri emergono dalla scrittura e grazie a voi che mi leggete e ai vostri commenti, diventano evidenti. Riflettendo su ciò che scrivete, ho riconosciuto alcuni temi ricorrenti nei miei pensieri e nelle mie parole: la fuga, la sensazione di non appartenere. Costruisco la mia casa con i mattoni che mi fornite voi, con i vostri commenti.

Pensando alla mia inarrestabile ricerca di qualcosa di diverso, ho cercato di capire perché sono fatto così. Chi sono?

La mia infanzia è stata colma d'amore da parte dei miei genitori, ma anche piuttosto movimentata. Ho viaggiato molto, cambiato scuole più volte di quante  un bambino possa contare sulle dita. E quando le dita non bastano più, è doloroso, perché ci si sente soli. Ci si crea un mondo personale, si trova rifugio nei libri e nei videogiochi, si teme l'altro, non per diffidenza, ma per paura che anche quella persona, prima o poi, finirà nell'album di ricordi di viaggio. Sono cresciuto vagabondo. Mi paragonerei a una "pianta in un vaso" , senza radici nel terreno. Il vantaggio è che, spostandosi da un terrazzo all'altro, si possono ammirare diversi tramonti, esperire soli di diverse intensità, piogge forti o leggere. Si gusta la diversità del mondo. Ma le radici rimangono nel vaso, non si connettono a quelle delle altre piante intorno. Si cresce forti e rigogliosi, ma soli.

Ognuno di noi ha la vita che gli è stata assegnata. Ieri ho ricevuto un'email molto toccante da una signora che mi segue. Descriveva la sua situazione difficile. Molto difficile. Mi ha stretto il cuore. Non avendo parole o soluzioni da offrire, le ho scritto un breve messaggio di incoraggiamento. Mi sono sentito così superficiale nel confortare una persona che potrebbe avere il doppio della mia età. Chi sono io per dire "Andiamo" o "La vita è bella", quando della vita ho conosciuto principalmente la fortuna? Certo, conosco i miei angoli bui, ma a volte penso che siano fin troppo illuminati.

Sì, sono fortunato.

Tuttavia, se riusciamo a guardare oltre noi stessi, siamo tutti fortunati. Siamo fortunati a vivere in Italia, o meglio, in Europa. Un paese che non ha vissuto una guerra per quasi 80 anni. Un paese che aiuta chi è in difficoltà, che accetta diverse fedi religiose, agnostici, atei. Un paese con una storia millenaria. Siamo fortunati a essere nati qui. Ma se allarghiamo ulteriormente la nostra visione, siamo fortunati semplicemente a essere vivi. Il processo di fecondazione che chiamiamo "amore" è un campo di battaglia. Per la nascita di ciascuno di noi, milioni di spermatozoi hanno incontrato un destino negato. Solo uno ha trionfato. Uno solo. Siamo i vincitori della lotteria della vita. E per questo, dovremmo essere grati per le sofferenze, le delusioni, le gioie, i ricordi e tutto ciò che il tempo e lo spazio ci donano incessantemente.

La mia esistenza è un mosaico di luoghi, persone e esperienze. Tutti pezzi unici che insieme creano il quadro della mia vita. C'è tristezza e gioia, solitudine e compagnia, ma attraverso tutto, c'è la scrittura. Il mio specchio, il mio rifugio e il mio mezzo per esplorare chi sono.

È un viaggio costante alla scoperta di noi stessi, e ogni giorno è una nuova opportunità per leggere e scrivere la propria vita. Quindi non smettiamo di farci domande, di cercare risposte, di riflettere sulla vita e sulle esperienze. Continuiamo a viaggiare, a sperimentare, e  a imparare.

Hu-ga e il Paradiso Nascosto

Molto tempo fa, in una terra non troppo lontana da noi, viveva Hu-ga, un ragazzo del Paleolitico superiore. Aveva la mascella larga, gli occhi neri e una folta chioma. Non era alto, ma si muoveva bene ed era curioso. Se ne stava nel suo villaggio stanziale insieme alla sua tribù. Oggi era il giorno di caccia, ma lui non era stato invitato. Huga non era un abile cacciatore o pescatore come i suoi atletici coetanei, era troppo distratto, aveva sempre lo sguardo rivolto verso il cielo. Così, il capo villaggio aveva deciso di lasciarlo con le femmine, ad occuparsi dei figli.

Quella notte, dopo che tutti i neonati erano finalmente calmi tra le braccia delle madri addormentate, Huga si allontanò, osservando la luna piena. Così luminosa da sembrare un sole. Si guardò indietro, il falò del villaggio era lontano, ma la luna non sembrava avvicinarsi. Questa cosa lo incuriosì a tal punto che decise di continuare la sua camminata. Una lucciola gli fece strada, poi altre mille, e Huga si inoltrò nella foresta, circondato dalle piccole luci fosforescenti degli spiriti del bosco.

Armato solo di un bastone rudimentale, Huga cammina tutta la notte, superando ostacoli, affrontando il buio. Non vede cosa lo circonda, ma nota occhi luminosi, sente ruggiti lontani, bestie gigantesche, corni, mostri. Mentre procede cercando di fare silenzio, le sue fantasie prendono vita. Immagina serpenti a sei teste, cavalli alati con corna d'oro. Ma alla fine della notte, proprio quando l'alba tinge di rosso il manto erboso, emerge dalla foresta scoprendo un meraviglioso lago. Cristallino, placido e colmo di pesci da vederli ad occhi nudi. Il suo stupore è immenso: mai, nella sua vita, aveva visto qualcosa di simile.

Huga passa la giornata a godersi il lago, nuotando, ridendo e bevendo a bocca spalancata l'acqua dolce in abbondanza. Dagli alberi, frutta matura, intonsa, sembra aspettare di essere mangiata. Ma, sdraiato all'ombra di un albero, Huga si rende conto che tutta questa gioia non ha senso se non viene condivisa. Così, decide di tornare al villaggio per condividere la sua scoperta. Il viaggio di ritorno è pieno di pericoli, ma Huga ora conosce la strada, conosce le rocce dietro le quali nascondersi, gli alberi sui quali salire per evitare i mostri. La notte è sua. La luna è un'amica che lo aiuta a superare le paure.

Tornato al villaggio, Huga narra le sue avventure davanti a un fuoco acceso. Tutti lo ascoltano con meraviglia. Persino il capo, così severo e duro, cede alle incredibili storie che Huga racconta, usando gesti, disegnando sulla sabbia quello che aveva visto, prendendo gli spettatori per le spalle, raccontando con entusiasmo e forza la sua impresa, la sua avventura. Le sue storie sono piene di emozione e di stupore, Huga descrive creature incredibili, e soprattutto, un paradiso nascosto. Un luogo incantato, dove acqua, cibo e pace aspettano chi lo seguirà. Tutti sono a bocca aperta davanti a questo racconto. E il ragazzo che una volta era considerato un sognatore distratto, diventa un portatore di speranza. Stimato e rispettato.

Alla fine della sua storia, Huga invita i suoi simili a seguirlo, a scoprire il paradiso che ha trovato. Il capo teme per l'incolumità della sua tribù: "In quella foresta ci sono i mostri. Moriranno." Ma Huga spiega come fare, bisogna camminare silenziosi nella notte. Come ha fatto lui. Il capo guarda il suo villaggio, le scorte sono finite, l'inverno è alle porte, forse quel paradiso potrebbe dare alcuni anni in più alla sua breve vita. E così, tutti partono per un esodo notturno che li porta, proprio come successe a Huga, verso il paradiso.

Fu così che Huga, pioniere di nuove scoperte e immaginazione, diede nuova vita al suo villaggio, ai suoi simili e in fondo, a tutti noi. In un certo senso, Huga è stato il primo artista dell'umanità, che usò le sue parole per dipingere immagini vive nella mente di coloro che lo ascoltavano. Il precursore di molti dopo di lui, che insieme, fecero crescere il ruolo dell'arte come mezzo per condividere esperienze, stimolare l'immaginazione e unire le persone. 

La Nascita dell'Arte

Cos'è un artista, davvero?

In una serata indimenticabile, durante il matrimonio di un vecchio compagno di collegio, a cui ero stato invitato come testimone, ho trovato un risvolto amaro alla risposta di questa domanda. Fu un invito che accettai con gioia e senza esitazione. Il matrimonio si svolgeva in una splendida città del Nord Europa, e mi offrì l'opportunità di trascorrere una giornata rilassante con un vecchio amico che non vedevo da tempo. Era come fare un salto indietro nel tempo, rievocando tanti "ti ricordi" e piani per il futuro.

In seguito, quella stessa sera, avevamo prenotato un tavolo in un ristorante indiano. Durante la cena, si verificò un incidente che, a posteriori, avrei identificato come il preludio della fine della nostra amicizia. Mentre attendevamo papadam e samousa, discutevamo dei nostri rispettivi progetti futuri. Il mio amico aveva sempre aspirato a essere un artista, con interessi che spaziavano dalla regia alla scrittura, e possedeva un talento indiscutibile. Tuttavia, le circostanze della vita lo avevano portato su un percorso diverso. Io, al contrario, avevo scelto di diventare un narratore fin dai vent'anni, percorrendo un sentiero che non ho mai abbandonato, nonostante i molti sacrifici necessari per raggiungere i miei obiettivi. 

Mentre discutevamo di arte, la neosposa del mio amico mi chiese, con un tono che oscillava tra il polemico e il sardonico: "Ah, quindi tu ti ritieni un artista?" Ricordo di essere rimasto molto ferito da quella domanda e soprattutto dal fatto che il mio amico non disse nulla per difendermi. Non risposi, ritenendo che non valesse la pena di farlo. Tuttavia, era evidente che quella domanda aveva creato una crepa irrimediabile tra noi. Nei mesi successivi, ci siamo scritti sempre meno, finché, dopo un altro scontro causato da un commento che ho percepito come eccessivamente critico e cattivo su un mio primo romanzo (mai pubblicato), decisi che era arrivato il momento di tagliare i ponti con questo amico di lunga data.

Vi racconto questo episodio perché, anni dopo, mi pongo ancora la fatidica domanda: cosa significa essere un artista? Vuol dire essere una persona che vive del proprio mestiere artistico? O è qualcuno che crea arte indipendentemente dal guadagno? O forse qualcuno che ha la "sensibilità" di osservare il mondo attraverso lenti uniche? La discussione è aperta e non esistono risposte definitive. L'arte assume tante forme quanto le opinioni e le idee che la circondano. E le modalità per esprimerla - emotive, intellettuali, fisiche - non pongono limiti alla sua definizione.

Per questo, oggi, ho deciso di tentare un esperimento inusuale. Questa pagina di "Diario d'artista" sarà in due episodi. Ho l'intenzione di inventare e raccontare una favola a questo proposito: "Cos'è un artista?"

Permettetemi di presentarvi Hu-ga. Potreste trovare il suo nome insolito. Ma, al tempo di Huga, le parole come le conosciamo non esistevano ancora. I fulmini erano considerati manifestazioni divine, il fuoco era una magia che cadeva dal cielo, e il sole non era nemmeno trascinato dal carro di Helios, perché la ruota, ai tempi di Huga, non era stata ancora inventata. Huga apparteneva a un folto gruppo di uomini e donne: una tribù. Vestivano pelli, erano forti e robusti, e i più abili tra loro brandivano bastoni con una roccia affilata all'estremità. Huga era speciale. Possedeva un dono, anche se ancora non ne era consapevole. Era giovane, ma secondo gli "standard dell'epoca", era un uomo nel pieno della sua vita. Dovete sapere che durante il Paleolitico superiore, l'aspettativa di vita era notevolmente più bassa rispetto a oggi. Un uomo poteva considerarsi fortunato se raggiungeva i 30 anni. Huga, con i suoi 16 anni, era quello che oggi chiameremmo un "uomo nel fiore degli anni". In questo breve racconto, intendo narrare la sua storia. La storia del primo artista della specie umana.

IL PRIMO ARTISTA

Molto tempo fa, in una terra non troppo lontana da noi, viveva Huga, un ragazzo del Paleolitico superiore. Aveva la mascella larga, gli occhi neri e una folta chioma. Non era alto, ma si muoveva bene ed era curioso. Se ne stava nel suo villaggio stanziale insieme alla sua tribù. Oggi era il giorno di caccia, ma lui non era stato invitato. Huga non era un abile cacciatore o pescatore come i suoi atletici coetanei, era troppo distratto, aveva sempre lo sguardo rivolto verso il cielo. Così, il capo villaggio aveva deciso di lasciarlo con le femmine, ad occuparsi dei figli. Quella notte, dopo che tutti i neonati erano finalmente calmi tra le braccia delle madri addormentate, Huga si allontanò, osservando la luna piena. Così luminosa da sembrare un sole. Si guardò indietro, il falò del villaggio era lontano, ma la luna non sembrava avvicinarsi. Questa cosa lo incuriosì a tal punto che decise di continuare la sua camminata. Una lucciola gli fece strada, poi altre mille, e Huga si inoltrò nella foresta, circondato dalle piccole luci fosforescenti degli spiriti del bosco [...]

, per la continuazione e conclusione della favola.

Il futuro dell'arte nell'era degli algoritmi

Oggi tocco un tema caldissimo: Il futuro dell'arte in un mondo di algoritmi...

Spesso rifletto sulla figura dell'artista e sulle difficoltà che dovrà affrontare negli anni a venire: Il mondo si trasforma, evolve, e noi continuiamo ad osservarne i dettagli cangianti ogni giorno, senza sapere se esserne terrorizzati o affascinati.

Come ho già affermato, immagino l'artista come un esploratore di mondi. Se dovessi immaginarlo ai tempi in cui il sapiens ancora migrava, l'artista sarebbe colui che partiva - da solo - alla ricerca di qualcosa oltre la foresta e, dopo alcuni giorni, tornava con una storia da raccontare davanti al fuoco. Forse non aveva carne o acqua, ma portava entusiasmo, stupore, energia e amore. Ecco ciò che, a mio avviso, alimenta l'artista dentro di noi; sono queste le qualità che devono emergere nel momento in cui una storia - qualsiasi storia, che sia scultura, danza, architettura, musica o poesia - viene raccontata.

Ma ora, con l'arrivo degli algoritmi generativi, come si devono comportare gli artisti? Fotografi, illustratori e ora anche scrittori e musicisti (e presto attori, registi, montatori) temono l'avanzata degli algoritmi, capaci di produrre contenuto infinito, sempre diverso e perfetto come una sfera stampata in 3D. È dunque questo il futuro che ci aspetta? Un panorama artistico di pillole perfettamente sferiche, senza difetti, che nutrono i nostri desideri nel modo più "corretto" possibile in base ai nostri profili social? Il Dio macchina sta per dominarci con una carezza? E se fosse così, allora quale futuro ci sarebbe per l'arte?

Ma in tutto questo, la vera domanda che io pongo gli artisti è: pensate davvero che lo spettatore si accontenterà della riproduzione meccanica e perfetta di ciò che è già stato fatto? Credete che la vita si limiti a galleggiare placidamente nel costrutto artificiale di ciò che è, in effetti, morte? Perché ciò che viene generato dall'algoritmo di intelligenza artificiale non è altro che la somma di ciò che è già stato creato. L'algoritmo è un Moloch che assorbe e rigetta. È uno strumento, non un creatore. È una calcolatrice. Utile se si ha qualcosa da fare o da dire.

Vi faccio un esempio. Quanto stupido può sembrare una persona che chiede a una calcolatrice di fare 123523532543/346674534 ed esulta quando ottiene il risultato? Completamente stupida, perché di per sé il calcolo non è interessante. Ma se mi dite che questo calcolo serve per capire quanto carburante deve essere messo in un motore per compiere tot chilometri per arrivare su Marte, ecco che la calcolatrice trova il suo giusto contesto di utilizzo.

Tornando alla figura dell'artista in questa nuova era tecnologica, credo che debba fare ciò che sto cercando di fare io: sviluppare una relazione diretta con chi lo segue. Non affidarsi più alle piattaforme (Facebook, Instagram, ecc.), ma creare un legame il più diretto e concreto possibile con chi lo apprezza, per generare un piccolo giardino di speranza e arte in cui prosperare. Ed è questa la funzione di "Diario D'artista", del sito e di tutto ciò che vedete. È il mio modo di creare un legame con voi. Ed è l'unico futuro possibile per l'artista: una "rete" che lo lega a coloro che vogliono viaggiare con lui.

"La divina avventura" è solo la punta di questo gigantesco iceberg che sto cercando di costruire, ma che non avrebbe senso se non ci foste voi a seguirmi.

Quindi questa pagina la dedico a te, che mi stai leggendo, che mi segui, che guardi le fiction in cui partecipo, che magari conosci "Sogno Farfalle Quantiche" o "#ByMySide", che hai seguito la follia di "Days" e che ora tifi perché questo libro abbia successo.

Grazie di cuore, senza di te, io non sarei qui.

Il mio percorso artistico

Il mio debutto artistico, per rintracciare le mie radici, risale a mio nonno: un falegname, pittore e cuoco. Insomma, uno di quella generazione che ha contribuito a ricostruire l'Italia con impegno e sensibilità. Era letteralmente un uomo d'altri tempi, con occhi così chiari da sembrare quasi bianchi. La sua storia d'amore con mia nonna durò oltre 60 anni, e quando lei se ne andò, lui la raggiunse un anno dopo. Ciao Nonna. Ciao Nonno. Vi capita mai di pensare che ci stiano osservando e ridendo, considerando quanto poco sappiamo di ciò che ci aspetta dopo? A me sì.

Tornando al mio percorso artistico. Dicevo, nonno pittore. Ma anche Zia illustratrice. Per 40 anni ha messo in pagina i migliori fumetti francesi, tra cui quelli di Enki Bilal. I miei genitori non sono artisti, ma ho avuto una costellazione di persone che mi hanno dato, negli anni, i semi necessari per conquistare i miei desideri: l'amore incondizionato dei miei genitori mi ha permesso di crescere sorretto dalla certezza che loro sarebbero stati lì a raccogliermi in caso di caduta. E così è stato.

L'ultimo mio anno di maturità, avevo studiato così poco che i libri - acquistati ad inizio anno - erano rimasti così chiusi che ad aprirli si sentiva la colla che legava le pagine "rompersi" 😁

Ero una "pecora nera", al punto da essere espulso dal collegio negli ultimi quattro mesi, proprio prima degli esami di maturità. Mio papà mi raggiunse, mi aiutò a studiare e mi sostenne durante tutto quel periodo. Contro ogni aspettativa, mi diplomai con menzione, nonostante fossi considerato nel collegio un personaggio da evitare perché troppo "borderline". I pregiudizi accumulati in 5 anni di collegio sarebbero degni di un capitolo a parte.

Non sono mai stato un bravo studente, ma ho letto e continuo a leggere molto, arricchendo il mio bagaglio culturale giorno dopo giorno. Perché? Perché non ho mai smesso di cercare. Coloro che si fermano e accettano le risposte senza discutere, aderiscono al sistema ma non crescono più. Sono un ribelle nell'anima e ho così tanti aneddoti dal collegio che forse, un giorno, scriverò qualcosa a riguardo. Ogni volta che a tavola ne racconto uno, esce sempre fuori una voce che dice "ma scrivi il libro!" Quindi chissà.

Tornando al tema principale, la tecnologia e l'arte: nonno, zia, scuola, e poi mio padre, un informatico che mi mise tra le mani un computer all'età di otto anni. Da lì, il mio percorso artistico si è sviluppato attraverso recitazione, regia, produzione, film, serie, videogiochi, poesie e libri. Non credo ci sia un regno della narrazione in cui non abbia messo piede!

In molti di questi ambiti, soprattutto quelli "antichi" come il teatro e l'editoria, ho percepito una forte avversione verso la tecnologia. Tuttavia, l'etimologia della parola "tecnologia" deriva da "Teknè" (arte) e "Logos" (discorso). La tecnica è parte integrante dell'arte e ogni nuova forma d'arte è legata alla tecnologia, come il cinema.

Grazie alle mie passioni nerd, ho sempre avuto una propensione verso la produzione di arte "tecnologica". Eppure, ora mi confronto con il libro, l'origine di tutto. Anche lì, le cose sono cambiate. Pensate a questo articolo e a quanti aspetti tecnologici nasconde: registrazione audio, commenti, condivisioni via e-mail e sui social network. Tutto ciò richiede una vasta combinazione di conoscenze tecnologiche, oltre, ovviamente, a contenuti interessanti e significativi.

L'arte continuerà a evolvere parallelamente alla tecnologia. L'intelligenza artificiale e le nanotecnologie trasformeranno il mondo futuro (purché non lo distruggiamo prima), e l'artista deve essere colui che si trova in prima linea, inseguendo instancabilmente qualcosa di nuovo e sperando di non essere colpito da un proiettile vagante.

La mia storia personale e la mia esperienza con l'arte e la tecnologia dimostrano che è possibile combinare tradizione e innovazione. Che si tratti di raccontare storie attraverso il teatro, il cinema, i fumetti o i libri, l'arte è destinata a cambiare e adattarsi alle nuove sfide e alle nuove opportunità offerte dalla tecnologia.

Come artisti, dobbiamo abbracciare il cambiamento e utilizzare la tecnologia per ampliare le nostre possibilità espressive e comunicative. Non dobbiamo temere l'avanzata della tecnologia, ma piuttosto imparare a lavorare con essa, sfruttandone le potenzialità per creare opere d'arte che possano ispirare, emozionare e stimolare il dibattito.

Nel mio percorso, sono grato per l'eredità artistica di mio nonno e mia zia, e anche di tanti altri, e per il sostegno - soprattutto - incondizionato dei miei genitori. Grazie a loro, ho potuto esplorare il vasto universo della narrazione e della creatività, sperimentando le intersezioni tra arte e tecnologia.

Pensare in due lingue

Una delle domande più comuni che si pongono a chi parla due lingue è: in che lingua pensi? La risposta non è così semplice come potrebbe sembrare. In questo articolo, vi racconto la mia esperienza personale nel padroneggiare due lingue e come questa abilità ha influenzato il mio pensiero e il mio modo di essere.

Sono di madrelingua francese, e mio papà è italiano. Ho imparato il francese per primo, e poi l'italiano quando mi sono trasferito in Italia all'età di 8 anni. Il processo di apprendimento di entrambe le lingue non è stato affatto semplice, ma mi ha permesso di conoscere due culture diverse e di imparare a navigare tra di loro.

Quando ci trasferimmo in Italia, frequentai prima la scuola francese di Milano, l'istituto Stendhal. Tuttavia, non imparavo l'italiano, quindi, per risolvere il problema, i miei genitori mi iscrissero alla scuola pubblica italiana sotto casa, in Viale Zara. Questa scuola aveva la particolarità di accogliere nelle sue classi studenti con disabilità uditive o con disturbi dello spettro autistico. Gli anni trascorsi in questa scuola sono stati meravigliosi e mi hanno permesso di conoscere due maestre eccezionali, Adele e Laura, che mi hanno insegnato la meravigliosa lingua italiana.

Durante il mio tempo alla scuola pubblica italiana, ho stretto amicizia con un ragazzo con disabilità uditive di nome Giampiero. Quindici anni dopo, ricevetti una telefonata da Giampiero: riusciva a sentire e parlare al telefono! Sentirlo parlarmi di quello era successo in questi anni di distanza mi colmò di gioia e mi fece anche capire quanto sia importante la comunicazione nella nostra vita quotidiana.

Dopo aver imparato l'italiano e aver dimenticato un po' il francese, tornai allo Stendhal. Qui, iniziai a mescolare le due lingue, creando una sorta di lingua di transizione tutta mia. Alla fine, le due realtà si divisero dentro di me e anche i due aspetti psicologici. Le lingue riflettono infatti l'identità di un popolo, il suo modo di pensare e ciò a cui attribuiscono importanza. I francesi tendono ad essere radicali, razionali e logici, mentre gli italiani privilegiano il piacere, la seduzione e l'emozione. Descartes. De' core. Questa dicotomia mi ha aiutato a capire chi sono io e come le mie radici biculturali abbiano contribuito a formare la mia identità.

La domanda finale è, quindi: in che lingua penso? Nei sogni, sogno in francese o in italiano? La risposta non è semplice. Per come la vedo io, il pensiero non ha una forma precisa e non esiste se non nel linguaggio astratto della nostra mente.

Il linguaggio è uno strumento di comunicazione esterna che ci permette di esprimere i nostri pensieri agli altri in modo comprensibile. È un traduttore del pensiero. Di per sé, il pensiero, se rimane all'interno del nostro cervello, non ha una forma necessariamente legata alla lingua di chi lo produce. Solo quando dobbiamo comunicare con qualcuno, siamo costretti a esprimere i nostri pensieri in una lingua piuttosto che un'altra.

La lingua del pensiero: Se devo dare una risposta alla domanda iniziale, direi che penso in "pensese", una lingua immaginaria che simboleggia la lingua del pensiero e che ci unisce tutti come esseri umani. Il "pensese" è la lingua dell'anima, e tutti noi la parliamo fin dalla nascita.

Per concludere, essere bilingue mi ha permesso di vivere due culture diverse e di comprendere meglio il modo in cui le lingue influenzano il nostro modo di pensare e di essere. Nonostante le difficoltà nel padroneggiare Francese e Italiano, sono grato per questa opportunità e per come mi ha permesso di crescere sia come individuo che come comunicatore. La lingua in cui penso potrebbe non essere chiara o definita, ma ciò che conta è il legame che ho sviluppato con entrambe le culture che rappresento.

Alla fine, il potere del linguaggio va oltre le parole che pronunciamo; è uno strumento che ci permette di connetterci con gli altri e di esprimere la nostra identità. Che si tratti di italiano, francese o "pensese", ciò che conta è la nostra capacità di comprendere e apprezzare la diversità linguistica e culturale che ci circonda, così come la nostra capacità di utilizzare le lingue per costruire ponti e superare barriere.

Come ho scelto la copertina del mio libro

La copertina del libro: per molti, dopo il titolo, rappresenta il fulcro, il centro di tutto, l'autentico ingresso nel mondo immaginario dell'autore. Una copertina è un biglietto da visita. Durante le mie ricerche per prepararmi al lancio del libro, ho scoperto che una persona guarda la copertina per soli due secondi prima di decidere se è interessata o meno. Due secondi!

Il tempo di un saluto e la scelta è già stata fatta.

In molti aspetti della vita, pur dando importanza alla ragione e al pensiero elaborato, spesso le nostre decisioni avvengono in un istante, quasi istintivamente. Le nostre scelte sono il risultato di chi siamo e non richiedono ulteriore elaborazione, poiché in fondo "già sappiamo" cosa scegliere ancor prima di farlo. Siamo pre-programmati dalle nostre esperienze, dalla nostra vita e dalla nostra storia. Così si formano i giudizi e i pregiudizi.

Per questo è fondamentale nutrire il proprio inconscio con "cibi" sani. In questo modo, quando non sarà possibile affidarsi completamente alla ragione, la disciplina con cui avete coltivato il vostro sapere vi sosterrà. Detto in altre parole, se continuate a consumare contenuti superficiali e vuoti, come i social media, i reality e altri contenuti basati sulla banalità, non solo state perdendo tempo, ma vi state danneggiando. State nutrendo il vostro inconscio con materiale povero, e quando arriverà il momento di fare quella fatidica scelta, non sarà Platone a guidarvi, ma un qualunque influencer e i suoi selfie in spiaggia.

Tornando alla copertina, vi racconto come ho incontrato il mio copertinista. Forse non tutti sanno che ho fondato, dieci anni fa, un'azienda di videogiochi (http://www.untoldgames.com) che dà lavoro a molte persone e prospera nella splendida città di Genova. Per il primo gioco che sviluppammo, "Loading Human", abbiamo collaborato con un artista per creare gli "artwork" che avrebbero ispirato i grafici del gioco. Questi artwork sono stati realizzati dal grande Massimo Porcella, artista rinomato e di fama internazionale. La sua formazione nella concept art proviene da master di concept art con la CGSociety, poi diventata CGMA nel corso degli anni. Potete ammirare i suoi lavori qui: https://www.artstation.com/max

L'ho contattato subito per chiedergli se fosse disposto a realizzare la copertina del mio libro, ed eccola qui:

La copertina de "La Divina Avventura"

A causa di quei due secondi a disposizione per catturare l'attenzione, la copertina deve trasmettere un messaggio semplice e immediato. Non potevo perdermi nei dettagli, almeno non prima di aver chiarito quale fosse l'energia da comunicare. E voi, cosa vedete? Cosa vi ispira questa copertina? Lasciate un commento e vi risponderò spiegandovi cosa volevamo esprimere noi. Vedremo se l'intento e la percezione coincidono.

La copertina del libro è un elemento fondamentale nella decisione di leggere o meno un'opera. Ecco perché è importante dedicare tempo ed energia alla sua creazione, collaborando con artisti di talento come Massimo. In un mondo in cui siamo bombardati da informazioni e stimoli visivi, avere una copertina accattivante può fare la differenza nel successo di un libro.

Alla fine, come autore, il mio obiettivo è condividere con voi la mia passione e le mie idee attraverso le parole, e la copertina è il primo passo in questo viaggio. Spero che, oltre ad essere attratti dalla copertina, possiate immergervi nel mondo che ho creato e trarre piacere, emozioni e ispirazione dalla mia storia.

Il potere del desiderio e della speranza: verità o illusione?

Il potere del desiderio e della speranza. Innumerevoli autori hanno scritto sulla forza della volontà e sulla capacità di "visualizzare" ciò che si vuole diventare per realizzarlo. Questo concetto, affine alla filosofia buddista, ha origini molto lontane. Uno dei primi libri a trattare tale argomento è il celebre "Think and Grow Rich" di Napoleon Hill, scritto nel 1937 su commissione di un filantropo curioso di scoprire il denominatore comune dei grandi magnati dell'epoca. La conclusione dell'autore è che chi ha successo vive come se lo avesse già ottenuto, come se la profonda convinzione fosse la chiave per trasformare il desiderio in realtà.

Da qui nasce il primo libro di auto-miglioramento della storia, che divenne un successo editoriale e generò numerosi seguaci di questa filosofia. Negli anni '80, il famoso "The Secret" con il suo mantra "visualizza ciò che desideri per ottenerlo", e oggi la "fisica" quantistica (tra virgolette perché di fisica ce n'è ben poco), secondo la quale la nostra volontà influisce sulla realtà.

Ma è veramente così? Sono davvero i nostri sogni il motore della nostra felicità? Personalmente, sono scettico riguardo a quest'approccio semplificato e viziato, dove tutto ciò che desideriamo può essere ottenuto. Nella Divina Avventura, questo tema viene esplorato nei suoi meandri più oscuri, proprio perché volevo comprendere e scoprire fin dove potesse condurre il desiderio ostinato.

Il grande regista Mario Monicelli sosteneva che "La speranza è una trappola". In parte, sono d'accordo con lui: la speranza può bloccare il pensiero e renderlo immobile. Il desiderio di ottenere qualcosa può intrappolarci in quello che fu chiamato, nelle scienze cognitive, "effetto gelo", ovvero la difficoltà o l'impossibilità di rimettere in discussione una scelta fatta. Questo fenomeno fu teorizzato per la prima volta in un trattato di psicologia sociale scritto da Robert-Vincent Joule, "Piccolo Trattato di Manipolazione ad Uso degli Onesti", che consiglio vivamente.

In pratica, c'è il rischio che, desiderando troppo qualcosa, perdiamo di vista le opportunità e gli imprevisti che potrebbero allontanarci dal nostro obiettivo, ma avvicinarci forse alla felicità. L'idea che bisogna seguire i propri desideri per essere felici è fuorviante, perché non è detto che una persona sappia davvero cosa la renda felice, a meno che non abbia passato la vita intera a scoprire tutto ciò che il mondo offre. Difatti, come possiamo sapere che cucinare tailandese ci piace, se non abbiamo mai cucinato o mangiato cibo tailandese?

Racconterò un aneddoto interessante riguardante la mitologia greca, il mito di Pandora. Pandora fu la moglie di Epimeteo, fratello di Prometeo (colui che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, da lui stesso creati). Zeus, per vendicarsi, non solo condannò Prometeo a essere incatenato a una rupe, dove un'aquila gli divorava il fegato ogni giorno per poi rigenerarsi (una personcina a modo, questo Zeus), ma si vendicò anche del fratello, creando Pandora, una donna bellissima ma curiosa, e dandola in sposa a Epimeteo, che incredulo per l'opportunità datagli, la sposò con gioia.

Come dono di nozze, Zeus diede loro un vaso con la ferma regola di non aprirlo mai. Ma non appena Epimeteo lasciò la casa, Pandora, curiosa, aprì il vaso. Improvvisamente, tutti i mali del mondo uscirono dal vaso: malattie, guerra, sofferenza e altre disgrazie. Tuttavia, un elemento positivo rimase nel vaso dopo la fuga di tutti gli altri mali: la speranza. Questo simboleggia l'idea che, nonostante tutte le difficoltà e sofferenze che l'umanità affronta, la speranza persiste e ci dà la forza di continuare e superare le avversità.

Ma se il vaso conteneva davvero tutti i mali del mondo, e la speranza fu l'ultimo elemento rimasto al suo interno, non è che la speranza fosse il male peggiore di tutti? Perché, come diceva Monicelli, la speranza ci intrappola nell'accettazione.

Voi cosa ne pensate? Cos'è la speranza per voi? Quanto contano i desideri?

La bellezza delle idee: un viaggio oltre la forma

Nella nostra società, si tende spesso a concentrarsi sulla bellezza esteriore, sulla forma, come se fosse l'ultima frontiera della creatività. Ma è veramente così? Possiamo davvero affermare che solo ciò che è formalizzato manifesti un valore?

Durante la mia singolare carriera, mi sono imbattuto in persone che affermavano che "le idee non realizzate valgono poco", quasi relegando l'idea a un ruolo secondario rispetto al prodotto finito. Tuttavia, questo modo di pensare rispecchia un approccio distorto, influenzato dalla nostra cultura capitalista e materialista, in cui la realizzazione e il guadagno occupano il centro della scena. In un contesto dove il successo è tutto ciò che conta, produrre diventa l'unico obiettivo, e l'idea viene ridotta a un semplice tramite tra il fare e l'avere.

Ma la realtà è ben diversa, e in fondo lo sappiamo tutti, anche se raramente lo ammettiamo. L'idea è la genesi di ogni creazione. Nell'idea si cela la bellezza nella sua forma più pura e primitiva, ancora non manifesta, eppure già affascinante. L'idea è la prova che la bellezza non appartiene esclusivamente al mondo materiale, ma esiste su un piano superiore (o inferiore) dove l'energia dell'universo genera, concepisce e produce l'immateriale. Ed è in questo spazio che l'artista si immerge alla ricerca di Idee luminose.

Una buona idea racchiude in sé il potenziale di un albero rigoglioso, che crescerà forte e longevo grazie alla pioggia e al sole, senza bisogno di fertilizzanti o cure artificiali. Al contrario, un'idea debole, nonostante gli interventi esterni e le attenzioni ossessive, avrà difficoltà a competere con la sua sorella più brillante.

Perché condivido queste riflessioni? Perché credo che sia fondamentale dedicare tempo e attenzione all'idea, molto più di quanto si possa immaginare e più di quanto si dedichi alla realizzazione. L'idea è il vero motore, la vera genesi del processo creativo. Senza le idee, il nostro mondo sarebbe piatto e monotono, privo di scoperte e meraviglie.

Avere idee originali e stimolanti non è facile; richiede impegno e soprattutto una mente preparata, flessibile e disposta a correre rischi. L'amore per l'ignoto, la voglia di evadere, la rapidità nel passare da un concetto all'altro e la capacità di sfondare porte aperte sono tutte qualità necessarie per nutrire la creatività. E sappiate che sono pochi coloro che riescono a padroneggiarle senza farsi del male.

Perciò, anche se vi trovate circondati da materialisti convinti che la realizzazione dell'idea sia il vero valore, non lasciatevi influenzare. Lasciateli credere che il fine sia il prodotto, mentre voi continuate a sognare il cambiamento e a cercare ispirazione negli angoli più misteriosi dell'esistenza.

C'è qualcosa là fuori che vi attende e che, una volta scoperto, vi trasformerà per sempre.

Ricordate che la bellezza delle idee risiede nella loro capacità di dar vita a nuove prospettive, di sfidare lo status quo e di spingerci oltre i confini del noto. La bellezza delle idee è un invito a esplorare, a pensare in modo diverso e a creare qualcosa di veramente unico e significativo.

In questa pagina del Diario D'artista voglio celebrare questa bellezza, incoraggiandovi a nutrire la vostra creatività e a dare spazio alle vostre idee, per quanto audaci o rivoluzionarie possano essere. Il mondo è pieno di storie di successo, intuizioni e riflessioni che dimostrano il potere delle idee e la loro capacità di influenzare il futuro che ci aspetta.

Allora, non scoraggiatevi quando vi sembra che le vostre idee non ricevano il giusto riconoscimento o quando il mondo sembra preferire la forma alla sostanza. Continuate a coltivarle e a credere nella loro bellezza intrinseca. Perché, alla fine, è proprio la bellezza delle idee a plasmare il mondo e a renderlo un luogo di infinita meraviglia e possibilità.

Il mio Editor: un incontro inaspettato sul set

Oggi vi racconterò di come ho incontrato il mio editor, Federico, e di come ha contribuito alla stesura del mio libro, "La Divina Avventura".

Tutto è iniziato durante le riprese di una serie tv chiamata "La Lunga Notte", diretta da Giacomo Campiotti per la Rai, nella quale interpreto Umberto II di Savoia. (Più avanti ve ne parlerò. In poche parole parla dell'Italia e comincia dopo il gran consiglio, e segue la caduta del fascismo. Una "the crown" italiana.)

Tornando al mio incontro....

Federico è un assistente alla regia brillante e intelligente, e durante le pause del set ci ritrovavamo spesso a parlare della sceneggiatura del film e della storia. Un giorno, mentre ero nel mio camerino a scrivere al computer (perché ho questo "difetto", appena posso scrivo, ovunque sono, sul telefono, sul computer, su un pezzo di carta), gli ho proposto di ascoltare quello che stavo facendo: stavo scrivendo un libro di avventura fantasy a tinte spirituali, che ai tempi si chiamava "Overton". Gli ho raccontato dei miei metodi di scrittura, dei famosi 500 paragrafi e della meccanica dei 5 movimenti. Federico mi ascoltava con interesse e mi dava consigli che trovavo piuttosto azzeccati.

Verso la fine delle riprese, gli ho proposto di leggere la sinossi del mio libro, un elemento fondamentale per mettere a fuoco la storia che volevo raccontare. La sinossi Un documento di una pagina al quale avevo dedicato decine di ore. Federico ha accettato e, dopo aver letto la breve sinossi, mi ha dato alcuni consigli davvero utili. Una volta terminate le riprese, ci siamo salutati e gli ho promesso di inviargli una versione aggiornata della sinossi via WhatsApp.

Un paio di mesi dopo, gli ho inviato la nuova sinossi (che ai miei occhi ingenui era perfetta) e lui mi ha chiesto (è molto cortese) se poteva lavorarci su un po'. Naturalmente, ho accettato e mi ha rimandato una versione con delle modifiche meravigliose! A quel punto, ho scoperto che Federico è uno studioso di lettere e filologia moderna, specializzato in linguistica, il che spiegava la sua abilità nel migliorare il mio testo con una raffinatezza rara.

Convinto delle sue capacità, gli ho proposto di fare l'editing all'intero romanzo. Anche se era una cosa che non aveva mai fatto prima, l'ho persuaso con tenacia a cimentarsi in questa sfida. Federico ha accettato e da allora abbiamo lavorato insieme sulla stesura finale. Che sta ancora andando avanti, perché mancano circa 2 mesi al lancio del libro, e quindi c'è sempre tempo per migliorare!

Grazie al lavoro di editing, sia sulla forma che sul contenuto, la mia scrittura è diventata più chiara, semplice e fluida. Sto imparando molto da Federico e da questa collaborazione che mi ha insegnato l'importanza della semplicità unita alla chiarezza di intenti. Ma non senza modulare con eleganza la scrittura, in modo da non renderla banale o monotona.

E questo è un consiglio valido nell'arte e nella creatività in generale. La semplicità è un grande traguardo, sì, ma non perché si hanno poche cose da dire, ma perché si hanno solo quelle cose da dire. Come dicevo prima, "La chiarezza d'intenti." Più potente è la chiarezza d'intenti, più potente sarà il segnale: chiaro e limpido. Come una radio. E poi, quello che conta quando si raggiunge quella chiarezza, anche grazie allo studio della tecnica, è il proprio rapporto con l'anima: lasciare che ciò che è puro dentro di noi si esprima liberamente, senza pregiudizi, senza giudizi.

La vita ci riserva sempre delle sorprese: chi l'avrebbe mai detto che avrei trovato il mio Editor così, sul set di una fiction? Eppure...

Sono grato di averlo incontrato in modo così inaspettato e di poter contare sul suo talento per rendere "La Divina Avventura" un'opera ancora più speciale.

E grazie anche a voi che mi state seguendo in questo viaggio che sta solo iniziando, ma già mi piace da morire.

L'importanza della scelta dei nomi dei personaggi: significati e simbolismi

Nel post di oggi, mi soffermo sulla scelta dei nomi dei miei personaggi. Un argomento che può sembrare superficiale ma che riveste una certa importanza. Come affermava Shakespeare, "Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo."

Oppure, un altro testo fondamentale sostiene che "In principio era il verbo".

La parola, dunque, ha un potere antico e profondo: quello di dare vita e di manifestare qualcosa di vero agli occhi altrui. I nomi sono un tentativo di oggettivizzare la realtà e quindi sono lo strumento di comunicazione per eccellenza. Pertanto, ho dedicato particolare attenzione ai significati dei nomi dei miei personaggi, pur cercando di non attribuire un senso a tutto, poiché la vita, l'arte e la bellezza non hanno un senso preciso, ma semplicemente esistono.

In sintesi, da un lato la nomenclatura è la ragion d'essere della realtà, dall'altro è un tentativo superficiale di spiegare tutto. Fatemi sapere cos'è per voi la nomenclatura. Conta? E' importante? Oppure è solo un addobbo?

Iniziamo con Kato, un nome giapponese. Scritto come 加藤, il primo carattere, "加" (ka), significa "aumentare", mentre il secondo, "藤" (to), si riferisce al glicine. Il nome può dunque essere inteso come "glicine che cresce". In alternativa, 加東 ha lo stesso primo carattere e il secondo, "東" (to), che significa "est"; quindi, il nome potrebbe significare "aumentare verso est". Kato è quindi un albero in crescita, che si dirige verso est, alla ricerca della fonte di tutto, della luce e della verità.

Passiamo a Overton, che fa riferimento alla "finestra di Overton", un concetto usato in sociologia che descrive il range di idee o temi ritenuti accettabili nella società. Quando si sposta la finestra di Overton, ciò che era accettabile diventa inaccettabile e viceversa. Overton quindi è colui che continua a modificare la propria visione del mondo, seguendo o spostando la propria finestra di percezione.

Poi ci sono Maya e Govin, due nomi di origine indiana. Maya si riferisce al "Velo di Maya", un concetto che nella filosofia induista indica l'illusione del mondo materiale, che nasconde la vera natura spirituale della realtà. Govin, invece, è un diminutivo di Govinda, un nome sanscrito che significa "colui che porta le mucche al pascolo" e che è associato a Krishna nella mitologia induista.

A volte, un nome si impone e il personaggio si sviluppa attorno ad esso, rendendo difficile per l'autore abbandonarlo. Tuttavia, ci sono momenti in cui è necessario cambiare nomi: ad esempio, Luna, l'amore di Kato, inizialmente si chiamava "Xena", ma il nome richiamava troppo "la principessa guerriera". Allo stesso modo, Rex, l'abile marinaio che "aiuterà" Overton nella sua avventura, ora si chiama "Argo", un nome che suona meno come quello di un famoso cane poliziotto e fa riferimento a una delle più belle storie della mitologia greca, "Giasone e gli Argonauti", che salpano su una nave chiamata Argo alla ricerca del Vello d'oro.

I nomi nel romanzo, dunque, hanno una storia e chiunque voglia approfondire ognuno di essi troverà una motivazione, sia essa emotiva, concettuale, razionale o estetica.

Per concludere, vorrei ribadire che, a mio avviso, la nomenclatura è più un lavoro di studio che di pura espressione artistica. Ho sempre avuto l'impressione che "trovare i nomi giusti" sia un tentativo, vano, di fissare la realtà e dare un senso a questa vita che, come cantava il poeta Vasco Rossi, "un senso non ce l'ha".

A presto per un altro articolo!

Amore, appartenenza e divinità

Ciao a tutti,

Oggi voglio condividere con voi alcuni dei temi principali del mio libro, "Divina Avventura", che riflettono le questioni che mi hanno sempre affascinato nella mia vita. E penso altri miliardi di esseri umani come me. Questi temi includono il senso di appartenenza, la ricerca della perfezione di cui ho già parlato in un precedente articolo, l'amore e il divino.

"La Divina Avventura" ruota molto attorno al tema del divino, esplorando le complesse relazioni dei personaggi con l'aldilà. Perché chi di noi non si è mai chiesto se un nonno, uno zio, un avo non ci sia ascoltando proprio in questo momento? E non sia lì a guardarci, con un sorriso benevolo, davanti alla nostra "beata ignoranza"?

Nel mondo di Baltica, però, gli uomini possono entrare in contatto con il Divino e accedere all'aldilà anche da vivi, in un luogo chiamato "Eden". Tuttavia, l'Eden nasconde molte sorprese inaspettate. E questo mistero è uno dei pilastri centrali del romanzo.

Tornando a me, io ho ricevuto una formazione "Agnostico Razionalista" che ha influenzato profondamente il mio approccio alla spiritualità. Pur non avendo la certezza razionale dell'esistenza o della non esistenza del divino, riconosco che la spiritualità ha un ruolo importante nella mia vita. Come diceva Woody Allen, "Non ho sposato la prima ragazza di cui mi sono innamorato, perché c'era un tremendo conflitto religioso. Lei era atea e io agnostico". A parte gli scherzi, è un tema che mi sta molto a cuore, e penso che più si cresca più il divino diventi un luogo dell'anima dal quale non possiamo fuggire.

Man mano che la storia di Kato e Overton procede, la realtà dei protagonisti si sgretola, e la crisi spirituale e divina diventa centrale nel conflitto. Il tema del divino si espande, esplorando i limiti della nostra conoscenza e delle nostre aspettative sull'aldilà. Trascendendo nell'unica forma che forse, dico forse, può sfiorare l'assoluto ignoto. La poesia. (Si tratta di una punta brevissima, ma intensa nel romanzo).

L'amore è un altro tema cruciale nel libro, manifestandosi in diverse forme. Esploriamo l'amore tra discepolo e maestro (Kato e Overton), l'amore tra amici (Kato e Argo, Overton e Govin), l'amore tra amanti, corrisposti e non (Kato e Luna, Overton e Maya) e l'amore per sé stessi e i propri desideri, che nasce dalla fonte inesauribile della nostra anima.

Tuttavia, vorrei sottolineare che, nonostante i temi spirituali e metafisici, la narrazione è ricca di azione e avventura. Perché per me, la lettura deve essere prima di tutto un viaggio emozionante per la fantasia.

E infine, c'è il senso di appartenenza, che tanto mi è mancato, essendo io cresciuto straniero in due mondi. Ma a prescindere dalla nazionalità, sono sempre stato un solitario e forse, in fondo, essere straniero non mi dispiace poi così tanto...

Ecco qua. Oggi è stato un po' più denso del solito. Ma il bello è la diversità, no?

Spero che "La Divina Avventura" vi permetterà di scoprire insieme a me questi temi affascinanti, e vi trasporterà nelle emozioni e nelle sorprese che ho vissuto e che vi attendono in questo mondo fantastico.

Alla prossima,

Flavio

Come ho rovinato il finale di "I soliti sospetti" ad un amico

Gli spoiler sono un argomento delicato e molto discusso nella cultura popolare. Molti fan di film, serie televisive, libri e giochi da tavolo cercano di evitare i spoiler per godersi appieno l'esperienza narrativa. Anche se può essere tentante discutere delle trame e dei finali con gli amici, è importante fare attenzione a non rovinare l'esperienza per gli altri.

Esistono addirittura regole non scritte sui social media che i fan seguono per evitare di rovinare le trame delle loro storie preferite. Ad esempio, molte persone usano hashtag come #spoiler o #nospoiler per segnalare i loro post e proteggere coloro che non hanno ancora visto o letto la storia in questione.

Ora vi racconterò cosa mi è successo con "I soliti sospetti".

Mentre discutevo del film con un gruppo di amici, mi vantavo di aver già capito il finale grazie ai miei studi sulla sceneggiatura. (Purtroppo, conoscendo i meccanismi narrativi, diventa facile individuare i segnali che anticipano un colpo di scena... anche se devo ammettere che "I soliti sospetti" e "Il sesto senso" hanno finali davvero sorprendenti. Ecco a seguire il trailer de il sesto senso. E anche un pensiero per Bruce Willis e per quello che sta passando. Sigh.

Tornando alla mia esperienza, ho involontariamente rivelato il finale ad un mio amico. Dei "Soliti Sospetti". Ricordo che era durante una vacanza, ero tornato a casa mia a Milano, dove i miei genitori vivevano mentre io stavo in Collegio in Francia. Discutevamo animatamente dei migliori film che avevamo visto, e dopo aver svelato il finale del finale, un caro amico mi ha detto che non aveva ancora visto il film. Come mi sono sentito in colpa! Gli avevo rovinato uno dei finali più belli del cinema! Non voglio fare lo stesso errore con voi, ma voglio comunque fornire una breve anteprima del mio romanzo di esordio, "La Divina Avventura", senza spoiler.

Il protagonista della storia è Kato, un uomo che cerca la perfezione e la conoscenza attraverso l'insegnamento della spiritualità. Quando il suo Dio gli offre la possibilità di diventare perfetto se riesce a trovare e portare indietro a Baltica (la sua città) un ragazzo di nome Overton, Kato accetta la sfida e parte alla ricerca del ragazzo nel deserto. La storia diventa un viaggio fantastico, con i personaggi che affrontano insieme numerose avventure, tra cui l'ascensione verso l'Eden e la scoperta dei segreti che si nascondono dietro la creazione della città perfetta di Baltica. Tuttavia, le verità che scopriranno cambieranno tutto... Mi fermo qui, per ora.

E voi, avete mai rovinato il finale di un libro o di un film a qualcuno? Oppure vi è stato rovinato il finale di una storia? Se conoscete un film con un grande finale inaspettato scrivetelo nei commenti!

Al prossimo articolo.

La vita è un palcoscenico

"Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena."

Come Shakespeare ha saggiamente osservato, la vita è un palcoscenico e noi tutti siamo gli attori. Ognuno di noi ha i suoi personaggi interiori, piccoli o grandi, ognuno con i propri conflitti, obiettivi e amori. Anche se può sembrare che siamo solo una comparsa nella vita degli altri, in realtà, possiamo essere l'antagonista, l'amante o qualsiasi altro personaggio che si possa immaginare.

Ricordo i miei anni al collegio e in particolare le persone con cui ho condiviso quel periodo della mia vita, come Francois. Con lui condividevo la passione per la musica e passavamo ore a scrivere gli spartiti di "Friday night live in San Francisco" ad orecchio. Se volete ascoltarlo è un capolavoro:


Grazie a Francois, ho fatto la mia prima esibizione sul palcoscenico. Studiavo la chitarra con lui e mi ha convinto a esibirmi al festival di fine anno del nostro collegio. Ho deciso di cantare "Tears in Heaven" di Eric Clapton. Questo titolo, per intenderci:

Allora, quando sono entrato in scena, il microfono è caduto e sono stato deriso da tutti i miei amici in platea. Nonostante la situazione imbarazzante, ho deciso di continuare a cantare, spingendo la canzone con tutta la mia forza, anche se poi mi sono messo a piangere quando è finita, dallo stress.

Quella notte è stato il mio battesimo sul palcoscenico, non dei migliori diciamo.

Nella scrittura affronto i personaggi allo stesso modo. Og nuno di loro è protagonista della propria storia, ma anche utile alla storia degli altri, come Kato e Overton, i protagonisti del mio libro. Ci sono anche altri personaggi come Luna, Argo, Maya e Govin, che costellano la trama e le cui relazioni sono complesse e si sviluppano nel corso della storia. Kato è il personaggio principale che cerca di trovare Overton e portarlo a Baltica, Luna è la donna che Kato ama e per la quale vuole diventare perfetto, Argo è un discepolo fallito ma anche un vecchio amico di Kato, mentre Maya e Govin diventeranno amici di Overton a Baltica. Insieme, i tre affronteranno un'avventura a dir poco indimenticabile.

Come vedete le relazioni tra i personaggi del mio libro sono complesse e influenzano la trama in molti modi. Le loro azioni e scelte hanno un impatto sulla vita degli altri e il loro sviluppo personale è strettamente legato alle relazioni che costruiscono.

Come nella vita reale, ogni personaggio è un protagonista della propria storia, ma anche parte della storia degli altri. Le relazioni che si sviluppano tra i personaggi influenzano il loro percorso e determinano il loro destino. Ogni personaggio ha i propri obiettivi, i propri desideri e le proprie motivazioni, che possono essere in conflitto con quelli degli altri. Questo crea una tensione nella trama e rende la storia più interessante.

In conclusione, la vita è un palcoscenico e noi siamo tutti gli attori.

Uno, nessuno e centomila

(Vi ricordo che l’articolo può anche essere ascoltato, narrato da me, basta cliccare “il play” proprio qui sopra)

Siamo uno, nessuno e centomila, diceva uno. Oppure era nessuno? No, Pirandello era più di centomila, sicuramente.

Che intendeva dire con questa frase?

Che dentro di noi si nascondono infinite possibilità, infinite personalità, che emergono o si nascondono a seconda di chi abbiamo davanti, come ad esempio uno specchio, un genitore o uno sconosciuto. Siamo sempre diversi, ma siamo sempre noi stessi.

Poi, non parliamo del mio caso: frequento anche personaggi personalmente (recitare in fondo è questo).

Schizofrenia portami via.

Ogni volta che vedete un personaggio in TV o al cinema che io interpreto, quello sono io. Sono davvero io. Perché siamo tutti, uno, nessuno e centomila.

Ed è così anche con i personaggi che scrivo. Alla fine, ogni personaggio rappresenta un lato dello scrittore, una manifestazione, neanche troppo nascosta, del suo desiderio di essere o di fare. I personaggi sono il profondo desiderio di vita dell'autore e sono anche la parte più importante di un romanzo.

Personalmente continuo a leggere una storia perché voglio sapere che fine faranno i personaggi. Mi voglio affezionare a loro, arrabbiarmi con loro, urlargli di non andare da quella parte, ma tanto non ascoltano mai. Non ascoltano neanche l'autore, peraltro.

Spesso, infatti, mi capita quando scrivo di dover sottostare alle volontà del personaggio, anche andando contro alla struttura narrativa. Contro la storia!

È un momento divertente, confuso, ma bellissimo…

Oggi vi parlerò dei due protagonisti del mio libro: Kato, un vecchio uomo alla disperata ricerca della perfezione per amore, per stare nell’eternità con la donna che ama. E Overton, un giovane orfano cresciuto nel violento deserto.

Il primo è un uomo zelante, saggio, ma incapace di raggiungere la perfezione e non sa perché. Il suo cammino sarà nei meandri dell'anima, e il suo risveglio avverrà con la scoperta di domande che non hanno risposta.

Overton, invece, parte dai meandri della terra, dalla rabbia e dalla solitudine, e il suo cammino sarà un'ascesa verso il sole, verso la luce, attraverso le difficoltà dello stare insieme agli altri.

Complementari, opposti, uno, nessuno e centomila.

Ecco chi sono Kato e Overton.

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La routine dell'artista

L'artista dovrebbe fuggire dalla routine, dalla monotonia che rende facilmente prevedibile la vita. Dovrebbe essere alla ricerca dell'ignoto, di mondi inesplorati e avventurarsi nella foresta della vita per trovare gemme preziose da portare al villaggio. Di sera, dovrebbe raccontare delle sue meravigliose avventure ai suoi concittadini che hanno cucinato il pane, lavorato e partecipato alla collettività. Questa dovrebbe essere la funzione dell'artista: fuggire dalla routine.

Eppure, la "routine", come viene chiamata, è una parte essenziale del processo artistico. È quasi come quelle credenze antiche che ci perseguitano. Quante volte abbiamo temuto, anche solo per un momento, che fosse vero che un gatto nero che ci attraversa la strada ci avrebbe portato sfortuna? O che passare sotto una scala cambia la direzione degli eventi? La routine somiglia a questo, è un modo per richiamare una parte di sé alla vita, per riprodurre attraverso uno schema prestabilito, un canale creativo. Ognuno di noi ha una routine, non solo gli artisti. La vita ha una sua routine, dal ciclo delle stagioni al ciclo della vita e della morte.

Per quanto riguarda, in maniera concreta, il mio flusso creativo, devo dire che la risposta più attendibile è un gran “dipende”. Dipende da cosa sto scrivendo. La poesia, per esempio, è un momento fugace, che mi attraversa, come un pensiero, un intuito che subito prende forma. Ma il romanzo è una bestia diversa, ben più voluminosa, e per essere domata, richiede disciplina. “Bisogna scrivere tutti i giorni”, “Bisogna fare la struttura” “bisogna scrivere le biografie dei personaggi.” Se andate in giro a cercare consigli su internet, scoprirete prima di tutto che avete un tumore, e poi che scrivere è un mistero che nessuno ha risolto. Semplicemente perché l’arte non è un’equazione. Non è un gioco con un vincitore. É condivisione. L’arte è la storia di due anime che si incrociano, il tempo di un’emozione.

“Si Flavio, grazie, ma la tua routine?”

Allora… Quando sono in fase “scrittura creativa”, mi sveglio, faccio una partita a scacchi online per svegliare la mente, mi faccio la mia mega tazza di caffè e scrivo (a mano) senza fermarmi per un'ora e mezza, con le mie cuffie isolanti e la musica adatta al tema che devo affrontare.

Scrivo ogni giorno, 1000 parole al giorno, un’ora e mezza di creatività giornaliera è tantissimo, di più non riesco. Ma prima organizzo una struttura, anche fragile, ma che abbia la forza di mantenere alto l’interesse nello scoprire il mio mondo interiore.

E poi, nel tempo libero, organizzo le idee, collego i neuroni tra di loro ascoltando il silenzio, lascio che l’inconscio cuocia a fuoco lento le mie intuizioni.

E poi, c’è “La tecnica della pizza.” Ve la spiego in breve. Per come la vedo io, una storia è come la pasta madre della pizza. Parte da un aneddoto, da una frase, e poi, piano piano, lievita, fino a diventare, se uno è un bravo pizzaiolo, il cuore di un ristorante, di un intero mondo le ruota attorno. Quindi io cucino quella piccola frase iniziale in qualcosa che mi stupisce, in un viaggio verso delle risposte, o forse, altre domande che io non conoscevo. Quello che conta, almeno per accendere i motori, è una frase che vi colpisca, che vi intrighi, e che vi porterà chissà dove.

Nel caso del mio romanzo, la frase che mi ha provocato un sussulto è stata una frase terribile, così attuale da farmi tremare i polsi. Il viaggio che ho intrapreso per trovare le risposte, invece, mi ha portato ben al di là di ogni aspettativa…

Ma questa è un'altra storia.

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Come nasce l'ispirazione?

Quante volte vi è capitato di essere attraversati da una sensazione, da una musica o un’immagine, solo per scoprire che l’avevate vista o sentita da piccoli ed era rimasta sepolta dentro di voi fino al giorno in cui, per un motivo misterioso, è riemersa?

L’ispirazione. Che cos’è? Da dove viene? Come molti artisti sanno, l’ispirazione nasce da mille luoghi e nessuno insieme, è un fenomeno conscio e inconscio, culturale e soprattutto, personale.

Sono cresciuto straniero in due mondi. Sempre un po’ fuori dal branco. Ero quello che da bambino veniva preso in giro ed era troppo sensibile per replicare. Non sono né italiano, né francese. Quando vivevo a Parigi, ero Flavio l’Italiano, ma quando arrivai a Milano, ero il francesino. Sono cresciuto così, forgiato in una personalità difficile, guidato dai miei genitori verso quella strada dove non devo nulla a nessuno e sono sensibile verso tutti. Questi aspetti della mia personalità, pregi e difetti, sicuramente si sono riversati nella mia storia e nei miei personaggi. La nostra anima guida l’ispirazione e l’ispirazione guida la mano.

Ho cominciato a leggere sin da piccolo, uno, due libri alla settimana. Ricordo che da adolescente, in spiaggia in Liguria, invece di giocare a pallone con gli altri sul bagnasciuga, leggevo Isaac Asimov e Luciano De Crescenzo con ancora la maglietta addosso, perché mi vergognavo. Non a caso, a fine vacanza, quando tornavo in collegio, ero più bianco di quando ero partito. Sono uno straniero nell’anima.

Le mie influenze letterarie sono tante, Italiane, Francesi, Americane. I romanzi di Jules Vernes e di Hermann Melville, in particolare Moby Dick, sono stati fonti importanti di ispirazione per la parte di avventura del libro. Il "Siddharta" di Herman Hesse è stato un libro che mi ha colpito profondamente e ha influenzato l’aspetto spirituale del libro, ma non solo. Dopo quel libro, ho cominciato il mio percorso spirituale. Ho divorato Asimov, Dick e Bradbury, adoro la fantascienza. Quella vera, quella filosofica. Senza alieni, astronavi o robot, ma tanta umanità. Amo anche il fantasy da Tolkien a Rowling, e quindi molte delle mie idee e situazioni che mi vengono in mente sono inevitabilmente derivate da queste fonti.

Poi c’è il cinema. I film che mi hanno plasmato l’immaginazione, da Kubrick a Hitchcock, da Spielberg a Verhoeven. E poi ci sono i cartoni animati. Giapponese, Anime, “Ken Shiro”, “Naruto”, “Death Note”, “Neon Genesis Evangelion”. Quando a 6 anni vivevo a Orsay (Vicino a Parigi), ricordo che c’era un VHS in casa con dentro un cartone animato cinese, in lingua originale, sottotitolato in inglese. Non capivo niente ma l’avrò guardato decine e decine di volte. E quando lo rivedo ora, riscopro quanto nel profondo mi abbia influenzato e ispirato. Per chi fosse curioso, eccolo :

Essendo stato anche un attore teatrale, mi piace prendere spunto da Shakespeare e dai grandi poeti. Soprattutto per i personaggi. Ho letto Molière, ho recitato Cechov, persino un inedito di Tolstoj. Recitare mi ha regalato una porta speciale nella mente dei grandi drammaturghi (penso che ne scriverò un articolo a sé per questa cosa).

Spesso, nel libro, infilo piccole citazioni come a ringraziare i giganti che mi hanno preceduto, poi le cancello perché non portano avanti l’azione.

Sono sicuro che la maggior parte delle influenze che mi guidano sono ancora sepolte dentro di me, e non vedono l’ora di manifestarsi. Ma intanto, mi hanno forgiato in modo così profondo da essere indivisibili dalla mia anima.

Come ho scoperto il mio romanzo

Ciao a tutti,

Oggi vi parlo del genere letterario del mio romanzo e di come ho deciso di classificarlo. Quando ho iniziato a scrivere, non avevo un genere specifico in mente, volevo solo stupirmi andando alla ricerca della storia che avevo dentro di me. Scoprirmi.

Man mano che la storia si sviluppava, però, ho realizzato che sarebbe stato un romanzo di formazione, e che il genere principale del mio libro era il fantastico. Tuttavia, a differenza del fantasy americano, il mio fantastico non sarebbe stato magico, ma spirituale. Ci sono molte influenze di tradizioni spirituali orientali e occidentali che si concentrano sulla ricerca della perfezione, della purezza e dell’onestà. Questi sono temi che mi sono molto cari. Nella mia vita, le ferite più profonde venivano spesso dalla paura di non farcela, oppure da bugie.

Il secondo genere del mio libro è l'avventura. Poiché il romanzo si svolge in un mondo fantastico, c'è molto spazio per l'esplorazione e il viaggio. La storia segue i protagonisti in un'incredibile avventura attraverso terre sconosciute, ci sono mongolfiere, barche e pericoli ovunque. Ricordo che da piccolo, per me l’avventura di un romanzo era il cuore, il fulcro. Volevo viaggiare con la mente, forse fuggire.

Infine, il terzo "genere", se così si può chiamare, è quello spirituale. Questo aspetto si riferisce all'approccio dei temi della storia e anche ai suoi personaggi, che hanno una forte caratteristica spirituale. La relazione tra maestro e allievo è una colonna portante del mio libro, e ho tratto ispirazione dalla tradizione dei Veda per questo aspetto. Vengo da una famiglia agnostica/razionalista, ma non per questo priva di spiritualità, anzi. Sono cresciuto a pane e mitologia greca, e più avanti, ho adorato i Veda, che sono i testi sacri che si dice siano la prima manifestazione filosofica dell’umanità. Ve li consiglio.

Insomma, classificare il genere del mio romanzo non è stato facile, ma credo che questa combinazione di fantastico, avventura e spiritualità si sposi bene con la storia che avevo dentro, e forse con me come persona. Se vi vengono in mente dei libri simili a quello che vi ho appena descritto, per favore fatemi sapere nei commenti!

Grazie per avermi letto e come sempre condividete!

Il mio amore per la scrittura

Questa è il primo articolo che scrivo e sono felice di poter condividere con te il lato nascosto della mia vita. Oltre alla mia attività di attore, ho sempre avuto una passione per la scrittura e la creazione. Negli ultimi vent'anni ho dedicato il mio tempo libero alla creazione di film, sceneggiature, videogiochi e storie.

Nel mio tempo libero mi piace sognare storie. C'è qualcosa di affascinante nell'immergersi in un mondo immaginario, nella descrizione dei dettagli, dei cambiamenti d'umore e delle trasformazioni dei personaggi, e nella creazione di interi mondi che diventano metafore di altro.

In questo momento, sto lavorando al mio primo romanzo, un'opera fantastica, d'avventura e spirituale. Il genere fantastico mi attrae perché la cultura italiana ha una lunga tradizione di narrativa fantastica, grazie a Collodi e Alighieri. Mi piace volare con la fantasia, creare mondi immaginari e seguire le avventure dei miei eroi.

La componente spirituale è importante perché, a mio avviso, una storia che non tocca l'anima e non racconta un percorso di crescita interiore non vale la pena di essere letta.

Nei prossimi articoli parlerò del mio romanzo, dei temi che affronta, del titolo e condividerò alcuni estratti del libro, nonché delle opere che ho scritto ma che non ho pubblicato e dei libri che mi hanno ispirato. Ti prometto che non ci saranno spoiler.

Vita

Preparo il terreno
Arando concetti,
Annaffiando idee,
Per far crescere in te
Il seme di me.
Le cui radici,
Tra i muscoli e i tendini,
Giungeranno lì dove nessuno
Mai
Ti ha preso.
E lì,
Ti donerò il piacere
Con un bacio.