Nella scrittura de Il Labirinto della Speranza, uno dei temi che affronto è quello dell’ambiguità. Se ci fate caso, lo affronto sempre. Per esempio, ne L’Anello, ho cercato di rimanere il più equilibrato possibile riguardo alla domanda: “Ma esiste o no?”.
Perché avevo la certezza che più fossi riuscito a mantenere questo delicato equilibrio, più avrei capitalizzato la storia, crescendo in aspettativa ed emozione.
Al contrario de L’Anello, l’ambiguità ne Il Labirinto sarà centrale, così come l’amore è centrale nella storia tra Luca e Anna. L’ambiguità in tutte le sue forme. Mi trovo quindi a confrontarmi con cosa sia per me l’ambiguità, a livello di storia, a livello psicologico, a livello di parole.
L’ambiguità è una delle grandi chiavi dell’arte, perché porta con sé il desiderio di essere compresa. Più si riesce a mantenere l’equilibrio, per esempio in relazione a un personaggio (“Ma è buono o è cattivo?”), più si potrà tenere compagnia il lettore, farlo navigare tra i dolori e le speranze del personaggio.
In un certo senso, è il lavoro che cerco di fare con Tancredi di Santerasmo. Un uomo ambiguo. Animato da amore e invidia, paura, dolore e fragilità.
Mi piace immaginare che tutti gli uomini siano così, ambigui. Ognuno di noi porta con sé più lati, alcuni in ombra, altri di luce. Ma siamo mille sfumature di grigio, e in base alla giornata, alle persone, ci comportiamo in un modo piuttosto che in un altro.
“Uno, nessuno, centomila”, come diceva Pirandello.
Siamo ambigui, lo siamo non solo con gli altri, ma anche con noi stessi, nascondendo persino a noi stessi segreti che non vogliamo ammettere, perché la voce dentro di noi ci dice che sono sbagliati, oppure irrilevanti.
Ma soprattutto, ed è lì che conto di esplorare a fondo l’argomento ne Il Labirinto della Speranza, siamo ambigui nei confronti della realtà.
Lo trovo un piccolo capolavoro umano, questo. La realtà, così concreta, pragmatica, reale, è in realtà una proiezionenella nostra mente. Siamo capaci di forzarla con la nostra volontà, di scriverla, o addirittura di crearla.
La realtà stessa è ambigua. La relatività ne è un esempio lampante. In base a dove sei e a che velocità ti sposti, il tempo cambia. Cosa c’è di più ambiguo?
Eppure ci spendiamo per creare ordine, per mettere regole e righelli, per confutare questa ambiguità con tutte le nostre forze.
E più ci proviamo, più ci rendiamo conto che non importa quanto grande sia lo spazio o quanto piccolo sia un bosone, l’ambiguità ci permea da cima a fondo.
La saga sarà incentrata proprio su questo concetto, perché non mi viene idea migliore per affrontare il genere del thriller psicologico paranormale.
Ho finito il primo volume dei cinque che completeranno la storia, e mi appresto a cominciare il secondo.
Ci vuole fegato ad affrontare una saga. Finisci un volume, e non hai fatto che 1/5 del lavoro.
Argh.
Alla prossima pagina,
Flavio