Ho visto un video di Nadal, a cui viene dato l’onore, dopo aver vinto ben 14 Roland Garros, di avere una lastra incisa su uno dei campi ufficiali del torneo.
Questo mi ha fatto capire una cosa allo stesso tempo terribile e leggera, tragica ed effimera.
Nadal, tennista senza precedenti, me lo ricordo con i capelli lunghi e il braccio teso. La gamba lunga, il polsino giallo. Un gladiatore del campo, contro Federer, Djokovic, contro tutti.
Ora, davanti alla vista della sua impronta incisa nel marmo, sporca di terra battuta, rossa come il deserto al tramonto, davanti a una platea commossa quanto lui, scoppia a piangere. Accanto a lui, abbracci. Un momento che ha commosso anche me, ma che poi ha fatto emergere nel mio cuore una sensazione ambigua.
Siamo un battito d’ali,
e diventiamo una lastra
nel migliore dei casi.
Spesso l’artista si ritrova ad affrontare la sua mortalità. In realtà, l’arte è un piccolo sogno di immortalità, un desiderio di superare la soglia del tempo con un lascito, che anch’esso, prima o poi, diventerà, come dice tanto bene Rutger Hauer in Blade Runner: «lacrime nella pioggia».
Se non è ora, è tra cento anni. Se non sono cento saranno mille, o miliardi. Che importa il tempo, se confrontato con la nostra finitudine e l’immensità del creato?
Forse un giorno affronterò una «saga» che sia anche questo. Un procedere nel tempo, lasciando che i protagonisti di una pagina diventino un ricordo lontano pochi capitoli dopo, e infine, una statua, un’effigie, una frase, un pensiero a cui nessuno è più capace di collegare l’autore, ma che è ancora presente, che permea la coscienza.
La bellezza della vita è nel presente, nella scoperta dell’ignoto che ci circonderà sempre, sia nel tempo che nello spazio. L’arte è il simbolo della nostra finitudine: come farfalle estemporanee, voliamo d’idea in idea, verso una roccia stabile, che lanciamo tra le onde del tempo, sperando che qualcuno, dall’altra parte della soglia, continui il testimone.
Sì, un giorno affronterò questo tema con coraggio. Con una saga che avrà gli esseri umani come formiche, protagonisti di pagine nell’oceano del tempo. Non ne ho ancora i mezzi; è probabilmente qualcosa che mi richiederà tutta l’energia che ho, tutta la saggezza e la forza.
Perché, siamo onesti, affrontare «la leggerezza esistenziale» richiede un coraggio da leoni, la saggezza di Platone e una tecnica eccelsa.
Per ora, mi diletto nello strutturare il terzo volume de Il labirinto della speranza e mettere a posto il secondo volume. Che casino! Un castello intricato, pieno di trappole e illusioni, un labirinto di specchi dove vedo frammenti di me, di coloro che incontro.
Tra l’altro, mi rendo conto sempre di più che adoro ascoltare gli altri. Perché sono una continua fonte di ispirazione per i miei personaggi, le mie storie. Appena sento qualcosa di interessante, lo assorbo e lo inietto nel mio percorso.
E mi rendo conto che più tendo le orecchie e apro gli occhi, più il mondo mi regala perle da mettere alle mie collane.
Alla prossima pagina