Lo ammetto.
Mi rendo conto che soffro terribilmente di una paura che finalmente credo di avere il coraggio di guardare in faccia.
La paura di essere normale.
Dawkins parla, nei suoi interessantissimi testi che stanno alla base del neo-evoluzionismo, della particolare abilità di tutto ciò che è vivo di avere un differenziale di temperatura con l’ambiente circostante.
Noi, per esempio, abbiamo una temperatura spesso più alta del nostro ambiente. Per questo mangiamo, consumiamo energia. Stessa cosa con il sudore, ci raffreddiamo.
Insomma, siamo macchine che si differenziano. E lo stesso vale per quasi tutti gli elementi della vita.
Sapete che, se mostro un foglio bianco a un essere umano, gli occhi viaggeranno caoticamente da lato a lato senza fermarsi, ma se invece metto un punto nero al centro, lo sguardo si soffermerà proprio su di esso.
Sapete perché?
Perché siamo nati per notare la differenza. Siamo cacciatori. Nella foresta, vediamo ciò che si muove. Percepiamo le differenze. Questo processo non solo è salvifico, ma è proprio al principio della nostra evoluzione.
Ecco, io sento di avere una spinta atavica a essere una differenza. A essere eccezionale nel senso stretto del termine.
Un’eccezione.
Ma cosa rende eccezionale qualcuno?
Un uomo, una donna, un artista?
La marcata differenza con il suo ambiente.
Sono quindi mosso da una propulsione siderale nel desiderare fare le cose diversamente. E ovviamente, la maggior parte delle volte, questo risulta solo in una terribile perdita di tempo.
“Ci sarà un motivo se una cosa si fa così da 100 anni, no?”
Sì, è così. Ma non riesco a farne a meno. E ora ho capito perché. Perché ho il terrore che, facendo le cose normalmente, risulterei – ai miei occhi – banale.
Farei parte dei punti bianchi del foglio.
Sarei la temperatura ambiente.
Indistinto. Felice, sì, accerchiato dal tepore del mondo. Ma non più eccezionale.
Oltre a scelte sbagliate e grandi perdite di tempo, un altro lato negativo è che si finisce per essere soli.
Perchè come può l'eccezione diventare regola?
"Perchè fare tutta questa fatica? Perché andare a sbattere lì dove mille prima di me hanno già sbattuto e trovato una soluzione funzionante?"
Perché?
Forse perché sono, come dicono a Roma, de coccio. Io le cose le comprendo solo quando le faccio. E c’è qualcosa nell’idea di essere un artigiano che si occupa di tutto il processo artistico che mi affascina.
Sto scrivendo questa nuova saga, e mi chiedo quale strada dovrei intraprendere.
La classica strada della casa editrice oppure quella dell’artista indipendente, solitario?
Voi mi conoscete. Io bramo l’indipendenza, l’impresa. E Non sono un animale sociale.
Vorrei andare da solo.
Ma un mio amico ieri mi ha fatto notare che “se nessuno mangia dalla tua torta, nessuno ti aiuterà.”
Quanto ha ragione.
Insomma, come avrete capito, a questo giro vige in me la confusione, la paura, l’arroganza e il timore della banalità.
Ma Piano piano cresco, imparo, miglioro.
C’è una frase di Carmelo Bene che echeggia in me e lo farà fino al mio ultimo battito.
“Non dovete fare dei capolavori. Dovete essere dei capolavori.”
E l’essere, come insegna la migliore narrativa, è nel fare, nell’agire.
Alla prossima pagina.