Oggi voglio esplorare i miei limiti. Cosa vuol dire? Cosa sono i limiti? Esistono o sono solo nella nostra immaginazione? C'è chi dice che ogni limite può essere superato. In francese, addirittura, c'è un detto: "Impossible n'est pas français", che significa "impossibile non è francese". Quindi, davvero non ci sono limiti?
Io penso di no. Credo che i limiti esistano e che siano, anzi, un punto di forza, quando compresi. Uno dei più grandi errori linguistici nei quali cadiamo è quello di usare i quantificatori universali per definire il mondo. Per quantificatori universali, intendo quelle parole che racchiudono una totalità al loro interno, come "tutto", "niente", "mai", "sempre". Quando vengono usati, proiettiamo, con il nostro linguaggio, una dimensione illimitata, senza confini. Il risultato è che non riusciamo ad individuare il reale problema. Se ci chiedessimo: "tutti chi?" "mai quando?" piano piano andremmo nel dettaglio delle trame del creato, ed emergerebbe davvero il problema nella sua individualità, nel suo confinamento, che, appunto, lo identifica. "Tutti" diventa "mio fratello" oppure "un amico"; "mai" diventa "al lavoro" oppure "durante i weekend". E si può andare ancora più nel dettaglio, fino a che, come per magia, il problema scompare, perché finalmente sappiamo che faccia ha.
È una magia questa, non trovate? Limitando le cose, ampliamo la nostra consapevolezza. Definendo con cura maniacale la realtà, la apriamo a nuove domande, più alte, più significative, più complesse. Quindi, tramite un processo limitativo interiore, creiamo un processo inverso nella nostra percezione del mondo.
Un mio maestro mi lasciò, molti anni fa, un biglietto di augurio per il mio futuro. Una lettera, un messaggio: "Caro Flavio, ricorda, è proprio quando dici 'è troppo' che il lavoro inizia. Grazie per quello che hai fatto, e per quello che farai ancora. E merda. Matthias." Questo per me fu un messaggio incredibile, che mi portò a sbloccare tantissimi limiti, quasi a pensare che non esistessero.
Ma i limiti esistono. Anche nel processo creativo, nell'arte. Per esempio, quando è il momento giusto per lasciare un'opera? Quando è il momento giusto per dire che una poesia è finita, che un film è montato, ecc.? Proprio per questa nostra capacità di andare sempre più nel dettaglio, noi continuiamo a vedere difetti anche in una cosa che all'occhio esterno sembra già perfetta. Ci abituiamo, riformuliamo il nostro senso di "normalità" in base alle nostre percezioni attuali e ci adattiamo. E così, anche l'artista si adatta alla propria opera e comincia, dopo un po', ad allucinare, a vedere problemi dove non ce ne sono, a cancellare cose nate dall'impeto, ma che la ragione non comprende, ad autodistruggersi. È quindi fondamentale imparare a fermarsi, a dire: "Ecco, ora basta. Ora il mio operato è pronto a vivere." E poi passare al prossimo obiettivo.
Ma come fare?
Cambiando prospettiva, guardando non l'opera, ma la nostra vita, come il capolavoro che stiamo costruendo. Allora sarà più facile abbandonare un "figlio" per farne un altro. É il percorso che definisce la crescita di un artista. Un'opera, per quanto importante, è il risultato di un percorso di vita. Dante ha scritto molto prima di giungere alla Divina Commedia, e come lui molti altri. A noi rimane solo il meglio, la punta dell'iceberg. Ma dietro ogni opera divina vi sono centinaia, se non migliaia, di piccole tappe concluse, che hanno dato all'artista i semi che, nel tempo, sono cresciuti rigogliosi nella sua anima.
Alla prossima pagina.