Quando muore l'arte

Sapete cosa dicevano gli amanuensi e i copisti quando l’invenzione di Gutenberg (la stampa) arrivò a sconquassare l’industria dei libri scritti a mano?

«Scriptores pereunt, ars moritur.»

I copisti scompaiono, l’arte muore.

Molti ritenevano che i libri stampati fossero oggetti meccanici, privi di anima o di bellezza. Filippo di Strata, ad esempio, scriveva nel XV secolo: «Libri impressi sunt meretrices; scripti sunt virgines.»

I libri stampati sono meretrici, quelli scritti a mano, vergini.

Vi ricorda qualcosa? Le parole che vengono spese nei confronti dell’IA generativa sono spesso molto simili. Il disprezzo che generano (piccolo gioco di parole) può essere ridotto a questo: è un prodotto senz’anima, che sostituirà gli artisti.

Ma in realtà la stampa ha fatto esplodere la scrittura. Mai così tanti libri furono scritti, stampati e soprattutto letti dopo l’avvento di Gutenberg. A lui dobbiamo la letteratura moderna. A lui lo sviluppo esponenziale della conoscenza, che ha portato, nei secoli successivi, alla trasformazione radicale della società, del benessere, dell’uomo.

Il dibattito sull’arte e sull’intelligenza artificiale è spesso affrontato in maniera pregiudizievole, perché mette in discussione uno dei tasselli fondamentali dell’artista (proprio come la stampa): l’esecuzione.

Si dice che l’arte sia nel gesto, e che se il gesto viene sostituito dalla macchina, allora di arte non ve n’è più traccia.

Io oso pensare qualcosa di diverso. Qualcosa che cerca di andare oltre la coltre di nebbia davanti alla quale ci troviamo tutti.

L’arte non è nell’esecuzione di uno dei blocchi fondamentali, ma nell’intento, nell'idea, nell’esecuzione, nella distribuzione e nella consegna.

Mi spiego. Se una macchina può fare in pochi secondi ciò che un uomo può fare in mesi, allora il valore di quella cosa decade immediatamente. Ed è lì che nasce la paura dei concept artist, degli scrittori, e persino degli attori. Ormai ci siamo: la tecnologia è così avanzata che si potranno sostituire anche loro (nei prodotti digitali, il teatro, per ora, è intoccato).

Quindi siamo sostituibili? No. Perché è il processo nella sua interezza a produrre vero valore, non il singolo elemento all'interno del processo di creazione.

Questo pensiero è radicale, e richiede un cambio netto di prospettiva: È quello che viene chiamato un cambio di paradigma.

L’IA è qui. È come l’elettricità, il computer, la ruota. Ormai c’è.

Il mio scopo è capire come sopravvivere e, non solo, come prosperare, ora che il terreno è cambiato così grandemente.

Da artista, sono costretto a rivalutare cosa significa essere un artista.

Fare arte non si limita più alla produzione del singolo elemento dell'esecuzione (il testo, la canzone, il disegno, ecc., qualsiasi cosa che potrebbe essere riprodotto dalla IA).
C'è molto di più.
Quell’elemento deve essere parte di un intento più grande, che parta dall’anima dell’artista (l’intento), si propaghi nella risposta umana al mondo dell'artista (l'idea), passi attraverso la realizzazione di quella risposta (l'esecuzione) ma non finisce qui. Serve che l'artista incarni l’impatto che vuole avere sul mondo (la consegna).

In sostanza, si tratta di avere un’idea, di realizzarla e poi di far sapere che esiste. E poi ripetere questo processo, migliorando ogni passo, ogni volta.

L’artista diventa quindi il fautore del proprio successo, colui che viene chiamato non solo per la produzione artigianale degli elementi, ma per l’intera filiera artistica: dall’intento, all’idea, alla realizzazione, alla distribuzione e alla consegna.

L'artista è la manifestazione umana del processo di tutta la filiera.

E lì, l’intelligenza artificiale diventa un compagno di viaggio che permette - per la prima volta da sempre, proprio come la stampa - di aprire le porte, di dare all’artista che lo desidera, le ali per volare da solo.

Non sarà facile.

Ma se prima volare da soli, per gli artisti, era un sogno irrealizzabile, questa rivoluzione restituisce a coloro che hanno intento, idee, spirito critico e anima artistica la possibilità di farcela da soli.

Lo ripeto:
1. Intento (che si alimenta con cultura, lettura, incontri, cibo dell'anima)
2. Idea (hce nasce dall’ascolto di ciò che ci circonda e di ciò che abbiamo dentro)
3. Esecuzione (la nostra risposta, come artisti. Il nostro segno: scrittura, canto, recitazione, quello che vi piace di più.)
4. Distribuzione (marketing, piattaforme digitali, strategia per far conoscere la nostra risposta, per dare impatto.)
5. Discussione con il pubblico (interazioni, social network, un sito, un diario d’artista dove scambiarsi opinioni)

L'arte non è morta. Al contrario.

Stiamo per vivere un’esplosione di artisti indipendenti che riusciranno ad essere grandi quanto (o più) delle major, poiché detentori di ciò che conta e vale davvero all'interno della filiera: l’intento. Il fuoco primigeneo, la luce.

Alla prossima pagina.

La rivoluzione in corso

In questi giorni, finito Il Paradiso delle Signore, ho approfittato per recuperare un po’ di contatti con la mia famiglia, sparsa tra Italia e Francia.
Sono andato da mia sorella. Lei fa un lavoro incredibile, è un’infermiera. Di quelle che stavano in prima linea durante il Covid, alle quali tutti inneggiavano balletti e promesse di aumento. Potete immaginare come sia andata a finire.
Ma non è questo il punto.
Parlando con lei, è venuto fuori l’argomento dell’intelligenza artificiale. Come sapete, ci lavoro da ormai più di quattro anni. Il mio approccio è prettamente artistico, cerco di comprenderne le potenzialità, i limiti.
Lei lo ha usato per organizzare il suo viaggio:
“Voglio andare lì, organizza qualcosa che sia X, Y, Z.”
E ovviamente ChatGPT ha organizzato tutto perfettamente, come un bravo assistente.
E mi sono detto:
“Pensa, il suo lavoro, che è a stretto contatto con gli esseri umani, è uno dei pochi che non ha un reale vantaggio se viene coadiuvato dall’implementazione di ChatGPT.”
Questo vuol dire che il suo settore non verrà segnato così tanto dalla rivoluzione in corso.
Non è un discorso nuovo, ma è bene ribadirlo: i lavori che richiedono il tocco umano, che sono i lavori di prossimità tra esseri umani, non saranno in crisi, anzi.
Se posso fare una previsione personale, penso che nei prossimi 5-10 anni ci sarà la fila per fare questi lavori, perché saranno meglio remunerati e più ambiti. Insomma, il panorama cambierà nettamente.
Ma per quanto riguarda i lavori intellettuali?
Quelli che richiedono conoscenza di regole, logica, insomma, quelle cose che l’IA sembra fare benissimo?
Cosa succederà a tutti questi lavori che beneficiano enormemente dell’apporto dell’IA?
Penso che in questo caso, come dice il CEO di Nvidia, non sarà l’IA a rubare il lavoro, ma le persone che la usano.
Come se, nell’arco di pochi anni, gli LLM fossero diventati qualcosa alla stregua del computer o dell’elettricità. Strumenti che ci aumentano.
Sarebbe facile pensare che il nozionismo, la conoscenza in generale siano diventati merce di poco valore, dato che si può accedere a tutto con un clic o una chat.
Ma non è così.
E vi spiego il perché.
L’IA non fa altro che restituire la risposta statisticamente più corretta alla vostra domanda, usando come bacino di informazione tutti i dati a disposizione.
Una specie di Internet in scatola.
Seguendo questo ragionamento, ciò che farà la differenza nell’output non è l’IA, ma la qualità della domanda.
Si ritorna all’uomo come cuore dell’intento.
Senza l’uomo, l’IA rimane ferma.
È l’intento umano, il desiderio di scoperta, di trasformazione, ad animarla.
E come si migliora una domanda?
Come si fa a fare domande e richieste sempre più specifiche, acute, profonde?
Studiando.
Studiando come non mai.
Filosofia, lessico, ragionamento logico.
Tutto fa brodo.
Solo così sarà l’IA a lavorare per voi.
E non il contrario.
Alla prossima pagina.

Il valore della vita

Ieri, come ogni sera, vagavo per la rete alla ricerca di informazioni su quello che sta succedendo.

Sono un amante della tecnologia e della modernità. La temo, e quindi la frequento: per non perderla di vista, per immaginare il mio futuro.

Cosa mi succederà?

Chi mi legge conosce il mio interesse e timore per l’intelligenza artificiale. Siamo agli albori di qualcosa che sta già rivoluzionando i processi, sia industriali che creativi.

I grandi modelli di linguaggio, macchine pensanti e presto capaci anche di agire (Agentic AI, per chi fosse interessato), stanno prendendo possesso di ogni dimensione umana.

Siamo cresciuti con l’idea che “il lavoro nobilita” e che “l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”, ma se ciò che so fare può essere sostituito da una macchina, il mio futuro dov’è?

La macchina può scrivere, può persino recitare.

Può prendere il mio volto e metterlo su qualsiasi attore di qualsiasi film. Potrà, a breve, generare film con me, o voi, dentro. E sarà credibile.

La macchina lavora con i dati, tantissimi, e genera quello che si potrebbe definire, platonicamente, un ideale.

Se chiedete alla macchina di generare un albero, proporrà un’immagine che è la sintesi di tutte le immagini di alberi prodotte nel corso della nostra storia: fotografie, disegni, immagini di sintesi.

Se le chiederete di scrivere un libro, una serie o un film d’avventura, produrrà un prodotto perfetto, misurato al punto giusto, calibrato secondo gli archetipi che hanno colmato la nostra storia culturale.

Produrrà l’ideale.

Come posso lottare contro l’ideale? Io che sono fallibile, caduco, soggetto al tempo e alla morte?

Io che non so tutto, che non ho accesso a ogni pezzo di conoscenza umana. Io, ignorante, stupido e mortale.

Con la mia ignoranza, la mia stupidità e la mia mortalità.

Perché esse sono ciò che fanno di me un essere vivente, in continua trasformazione. Come voi.

I miei limiti, la fame di conoscenza, la consapevolezza della fine.

Sono queste imperfezioni, difetti, tratti—chiamateli come volete—a rendere la vita un percorso in divenire. Una Divina Avventura.

Perché chi “ignora”, rischia. Chi è “stupido”, sbaglia. Chi è “mortale”, corre.

Rischiare. Sbagliare. Correre.

I motori della vita.

E anche della mia arte, che spero sia la testimonianza autentica di questi miei “limiti”, dei miei sogni, della mia ambizione di comunicare e di emozionarvi.

Se c’è una cosa che la macchina non potrà mai essere, è essere umana.

Quindi abbracciamo questa nostra umanità, infiliamoci tra le pieghe della razionalità e sdraiamoci a sognare quello che non può esistere.

Ma che sicuramente esiste.

Alla prossima pagina.

L'improvvisazione come esercizio creativo

Cosa differenzia un bravo attore da un grande attore?
È una domanda che mi pongo spesso. La risposta che mi sono dato per tanto tempo è questa:
"Un bravo attore, mentre reciti, dici 'che bravo!' mentre un grande attore, mentre recita, stai in silenzio, perso nel momento creatosi."

Ma ora questa risposta non mi basta. Mi sembra generica, facile.

Recitare è un mestiere che frequento ormai da più di vent'anni... vent'anni tra palco, cinema, serie TV. Sapete come ho cominciato? Con l'improvvisazione.

È stata l'improvvisazione a darmi il gusto della recitazione, del gioco. La Lega Italiana di Improvvisazione Teatrale è dove ho debuttato come giovanissimo attore, mentre frequentavo la Statale di Milano, a studiare informatica (perché volevo fare i videogiochi).

E ora, vuoi per caso, vuoi per destino, mi ritrovo a ragionare sulla qualità primordiale di un grande attore. O grande artista.

Ebbene, penso che sia la capacità di improvvisare all'interno di un dato terreno di gioco. Credo che sia la qualità effimera più fondamentale. Questo non vale solo per un attore, per i performer in generale, ma anche per gli atleti. Il gesto atletico è una fusione di grande tecnica ed estro. Proprio come l'improvvisazione.

Si vedono già in rete video di "attori virtuali" generati con l'intelligenza artificiale. Saranno sempre più credibili, sempre più bravi. Arriveranno anche ad improvvisare, ma mi piace pensare che l'estro dell'uomo, che coglie il momento – badate, non il momento "scenico" ma il momento vero, quello tangibile, che appartiene al mondo del reale – non potrà mai essere del tutto replicato.

Ecco, penso che l'artista che saprà cogliere il momento del reale avrà le porte sempre aperte.

Sta per finire quest’anno, se ne apre un altro, e davanti a noi abbiamo un futuro incerto, pieno di cambiamenti, minacce e paure. Ma ricordiamoci che siamo tutti – e dico tutti – animati da qualcosa di magico: uno spirito che si manifesta in noi e ci permette, quando siamo attraversati da uno stato di grazia, di ascoltare davvero la realtà, di trasmettere emozione, umanità, pathos.

Per improvvisare ci vuole coraggio. Spesso i registi vengono da me dicendomi: "Ottima, rifalla uguale!" e io rispondo: "Non lo so. Ma non credo." All’inizio mi guardano straniti: "Ma che dice Flavio?" e poi mi spiego.

Io non posso "rifarla uguale" perché una scena, un’opera, è il frutto di un afflato iniziale e di mutazioni dell’aria, del pensiero, del momento. Ogni volta è diverso. Ogni volta si rigenera.

In fondo, penso che fosse proprio quello che diceva Paganini con la sua frase spesso associata all'antipatia del personaggio, ma secondo me mal capita:
"Paganini non ripete."

Alla prossima pagina.

Il futuro dell'uomo

Che cos'è un uomo? Cosa ci distingue da tutto il resto? Alcuni diranno "nulla", siamo tutti allo stesso livello: la pianta, la formica, il serpente, la gallina, il cane, l'uomo. Vita.

I neo-evoluzionisti dicono che esista solo una forma di vita, il DNA, e che tutto il resto non sia che iterazioni per migliorare la sopravvivenza. Scafandri diversi che ospitano sempre la stessa vita.

Per chi mi ha letto, conoscete il mio insaziabile desiderio di sognare, di credere nell'ignoto, in tutto ciò che non c'è. Ecco, penso che l'umanità risieda in questo spazio inesistente, in cui l'anima è regina e i sogni brillano.

Sono terrorizzato dalle macchine, dall'intelligenza artificiale. Eppure, la uso quotidianamente, ne vedo il potenziale, soprattutto per quanto riguarda l'organizzazione. Non a caso, i francesi hanno sempre chiamato il computer "ordinateur". L'ordinatore. Ha senso. In fondo, sono circuiti con angoli perfettamente retti, processori con la certezza dell'1 e dello 0, che si muovono senza stanchezza, senza difetto. I trattori dell'umanità. Inarrestabili, sempre migliori. Fa paura, no?

Sì, fa molta paura. In pochi anni, le IA saranno capaci di produrre contenuto illimitato, perfetto, colorato al punto giusto, su misura per ognuno di noi. Cosa significa? Significa che molti prodotti audiovisivi non esisteranno se non per i nostri occhi e solo per loro. Verranno prodotte milioni di serie al mese, e ognuna di esse varrà quanto un seme di riso. La cultura popolare rischia di diventare la cultura singolare. Ognuno sarà felice con la propria produzione, isolato in un bozzolo di illusione, convinto di aver prodotto arte con un semplice pulsante: "Guarda ora", "Produci arte".

L'arte non è solo un fine, ma un mezzo. Il processo artistico è fatica, ricerca, conoscenza. È un processo definito dall'imperfezione, e anche dalla consapevolezza che, a un certo punto, bisogna lasciar andare. L'arte e la creatività insegnano all'uomo che le esercita i suoi limiti, donandogli consapevolezza. La ricerca alimenta la cultura, il punto di vista. La creatività ci migliora.

Ma non è tutto oscuro, anzi.

Questi nuovi strumenti daranno vita a nuove forme di arte, a nuovi modi di percepire il mondo e la realtà. Torniamo al dilemma dello strumento: non è lo strumento a fare l'artista, ma l'artista a usare gli strumenti. E credo che continuerà a essere vero.

In questo, mi sento fortunato a poter usare questi nuovi strumenti, a poter, grazie a loro, imparare, studiare, formulare e ordinare in modi che prima avrebbero richiesto molto più tempo. Grazie all'elettricità, al computer, a internet, posso connettermi a tanti, sviluppare un rapporto dove so che sapete che dietro a queste parole ci sono io.

E penso che questo sia il futuro dell'arte digitale. Essa non morirà, anzi, stiamo per entrare in un momento d'oro. Ma avrà bisogno di questo rapporto che noi abbiamo. Avrà bisogno di un legame, tra l'artista, umano, e lo spettatore, umano anch'esso. E sarà la forza di questo legame a dare agli artisti la possibilità di esprimersi usando tutti i mezzi a disposizione.

Sarà la nostra mutevole imperfezione a salvarci. Noi siamo cambiamento, siamo vita, siamo ignoto.

Alla prossima pagina.

La crisi dello streaming

Ultimamente, quando vado su una piattaforma streaming, passo più tempo a decidere cosa guardare che a guardare qualcosa. Capita anche a voi?

Nel 2023, le piattaforme hanno registrato, secondo i dati ufficiali, una perdita complessiva di 5 miliardi di dollari. Questo ha spinto molte aziende a rivedere le loro strategie, portando a fusioni e - come sappiamo - aumenti dei costi degli abbonamenti. Oggi voglio condividere una teoria su uno dei possibili motivi di questa crisi, che coinvolge però i temi a me cari: lo storytelling, e anche dati analitici e intelligenza artificiale.

Ricordate i tempi di "Roma" di Alfonso Cuarón? Era il 2018, non molto tempo fa. Ricordate che meraviglia era aprire Netflix? Io sì. Ero felice di andare sulla piattaforma, perché sapevo che stavano spendendo tutti i loro sforzi valorizzando artisti, con lo scopo di portarli sulla loro piattaforma.

All'inizio di questa rivoluzione, dovete sapere che le piattaforme streaming non erano viste di buon occhio da Hollywood e dal cinema in generale. Spesso succede con le nuove tecnologie. Il mondo del cinema è cambiato radicalmente: abbiamo assistito, in questi ultimi dieci anni, al crollo delle presenze in sala, dovuto perlopiù alla nascita delle piattaforme, al 4K, ai televisori giganti a prezzi bassi, ecc.

Insomma, ci fu un tempo in cui lo scopo di Netflix sembrava essere quello di conquistare gli artisti per ottenere credibilità e nuovi clienti. Offrirono a Cuarón più del necessario per realizzare un film che nessuno voleva fargli fare, e cosa è successo? Il capolavoro. Eh sì, perché se date a un genio la possibilità di esprimersi in piena potenza e libertà, le probabilità che vi dia un capolavoro sono alte.

Ma poi, negli anni, l'offerta delle piattaforme è andata a omogeneizzarsi. Le serie troppo "originali" e poco ortodosse venivano fermate a metà strada (penso a "The OA") per via degli ascolti bassi, e nuove serie, simili alle precedenti di successo, si sono moltiplicate. Per quale motivo?

Netflix, Amazon, ecc., sono società definite "data driven", cioè che seguono i "dati". Il famoso algoritmo. All'inizio, però, di dati non ne avevano, e quindi hanno chiamato i migliori artisti, usando i "dati" del mondo. "Chi sono i migliori registi? I migliori contastorie? Assumiamoli e facciamogli fare qualcosa di creativo. Poi faremo un'analisi di cosa funziona e capiremo."

E così, anno dopo anno, i dati hanno cominciato a popolare i tabulati. Qualcosa funzionava, qualcos'altro no. E sono cominciate a cadere le prime teste: le serie che non sembravano produrre il traino necessario venivano bloccate in corso d'opera.

Quando i dati sono arrivati finalmente in cima alla piramide decisionale, gli uomini d'ufficio, lontani dal campo di battaglia dell'arte, hanno pensato di avere il sacro graal. I dati hanno modellato la nuova generazione di prodotti, con la certezza che così facendo si abbattesse il rischio di un fallimento, di una brutta opera d'arte. Ed ecco che quello che prima era una fucina di caos e di creatività, si è trasformato nell'incasellamento dell'emozione, nel tentativo di controllare l'arte con una formula. Ah, l'eterno dilemma tra forma e sostanza!

Questa teoria non è certo nuova e sono in tanti ad averla affrontata. Il settore è in crisi, e la soluzione sembra essere abbonamenti più alti, meno condivisioni, insomma, più introito. Molti tendono più a conferire l'onere della crisi al contesto industriale, piuttosto che a quello creativo.

Non sono un economista e il mio focus è sullo storytelling. Il mio è un invito a riflettere a tutti coloro che sono coinvolti in questo sistema produttivo complesso e articolato. Da Aristotele in poi, abbiamo sempre provato a meccanizzare la storia. A comprendere cosa rendesse una storia davvero interessante, a livello meccanico. E Questi dati e algoritmi non sono altro che un ennesimo strumento di analisi di ciò che è stato fatto, non di ciò che deve essere ancora scoperto.

Non esiste una formula definitiva di successo per una buona storia, o per un buon film o serie, perché non sono i dati a creare la bellezza, ad emozionare o a far sognare. È l'anima del poeta che affronta con coraggio la possibilità di fallire, e che salpa alla scoperta dell'ignoto, proprio come il protagonista della Divina Avventura.

Con l'avvento dell'intelligenza artificiale e dei modelli LLM, il messaggio della Divina Avventura diventa sempre più importante: noi dobbiamo cercare una sensibilità più vicina al cuore che alla matematica. Imperfetta, quindi umana. E poi, chi sceglie la strada dell'arte, deve lottare per quel desiderio, sperimentare, rischiare, tuffarsi verso l'ignoto. Il timone va dato agli artisti, non alle macchine!

Alla prossima pagina.

Come guadagnare dalla propria arte?

Al Salone di Torino ho fatto una presentazione particolare in cui ho parlato, tra le altre cose, di come guadagnare dalla propria arte.

Qui tocco un tasto dolente del mondo artistico. Poeti, pittori, musicisti, molti che fanno dell'arte il loro mestiere, hanno la fervida certezza che l'arte sia una cosa e il commercio un'altra. E che quando l'artista si "abbassa" a fare qualcosa di commerciale, la sua arte non sia più "pura". È un discorso con il quale non sono d'accordo. Chi mi legge da tempo già lo sa, è un discorso che ho affrontato in varie pagine passate.

Io credo che l'arte sia prima di tutto un'espressione. E che trattandosi di espressione, liberi tutti. Non ci sono regole, non ci sono approcci giusti o sbagliati. È soltanto un'espressione e nessuno ha il diritto di giudicare quell'espressione in termini assoluti. Vale la soggettività, quindi "mi piace" o "non mi piace".

Ma quando si parla di prodotto artistico volto alla vendita, che sia un quadro, un dipinto, una melodia, un film, una casa, o persino un balletto, questa soggettività deve affrontare il colosso dei numeri, del commercio, del successo. È brutto? Non lo so, a molti questo aspetto ripugna, e lo capisco, perché ci mette di fronte al compromesso. E che siate artisti o altro, il compromesso è sempre difficile, perché richiede di lasciare qualcosa che ci è caro per ottenere qualcosa di cui non sappiamo il valore.

Ed è questo che l'artista deve fare se vuole guadagnare dalla propria arte. Molto spesso sento poeti, scrittori, pittori, auto relegarsi a hobbisti perché: "ma quando mai ci vivrò di questo…". Non è facile, anzi, è difficilissimo. Molto più difficile che studiare economia e lavorare in una multinazionale, perché richiede non solo di approfondire l'arte fino a farla propria, fino a diventarne maestri, ma anche di riuscire a mantenere un equilibrio tra la poesia interna, il desiderio di esprimere qualcosa di profondo e intimo, e un approccio commerciale.

Fondere commercio e arte in una sola figura, chi l'avrebbe mai detto. Negli anni passati, questo non succedeva: spesso l'artista era affiancato da un "fratello gemello" che si occupava di tutto ciò che concerne il lato imprenditoriale. Paolo Grassi con Strehler ne è un esempio lampante. Ma come lui tanti. Vi sono anche esempi, lungo tutto il sentiero dell'arte, di artisti che avevano uno spiccato senso dell'impresa. Raffaello Sanzio, per dirne uno.

Ma forse vale la pena soffermarsi sui nostri tempi, su questo presente che sembra mutare alla velocità di una tempesta di fulmini. Uno si volta, ed ecco che arriva Internet. Anni dopo, i social network, l'intelligenza artificiale. Tutto muta e sembra portarci verso un isolamento individuale che ha a corredo un'impressionante capacità di connetterci digitalmente.

Siamo soli. Solissimi in questo oceano digitale. E gli artisti devono fare i conti con dei numeri impressionanti. Milioni di streaming su Spotify generano pochi spicci. Come può fare un musicista a guadagnare dalla propria arte? E questo vale per tutti: illustratori, musicisti, poeti, scrittori. Alcuni hanno già da tempo sviluppato il concetto di "freelance", cioè di lavorare per terzi su piattaforme che permettono di farlo (Fiverr su tutte). Ma una cosa è lavorare per terzi, un'altra cosa è guadagnare dalla propria creazione autoriale. E se nessuno aiuta l'artista, cosa può fare esso, rimasto solo? Deve farsi conoscere. E lì entra il marketing.

Se l'artista ha una laurea in marketing, perfetto. Ma se non sa nulla? Ci sono due modi. Se ha i soldi, paga qualcuno per farlo (e magari mentre lo paga lo studia, così poi può farlo da solo). Se non ha i soldi, si mette lì, di buona lena, e cerca di capire come funziona.

Forse un giorno farò un articolo specifico sul marketing applicato all'artista. Sui "funnel", sulle pubblicità Meta, sul traffico organico. Ma oggi non è di questo che voglio parlare.

A me preme far capire che non è sufficiente - in questa società - avere un buon manoscritto. Serve riuscire a far sapere che esiste. Se volete procedere per le vie classiche, dovete incontrare agenti e convincerli che vale la pena investire su di voi. Se volete provare le vie moderne, dovete studiare le tecniche di self marketing e applicarle al publishing.

Ma non aspettate la provvidenza. Perché un mondo in cui fare quello che si vuole senza ascoltare nessuno pretendendo di essere incensati e messi su un piedistallo non esiste. Almeno, non è un punto di partenza, ma di arrivo.

Alla prossima pagina.

Il terapeuta dell'anima

Cosa significa essere indipendenti? Io penso che l'artista, per sua natura, sia animato da quel desiderio di essere autonomo, di vivere della propria passione e arte, senza dover rendere conto a nessuno se non al proprio pubblico.

Ho una visione romantica di questo mestiere e credo che sia l'unica che possa davvero sopravvivere all'onda di trasformazione che questa società ci sta imponendo. Siamo circondati dalle macchine, dagli algoritmi, da regole invisibili che dettano gran parte della nostra vita.

Ma persino i creatori digitali, che rappresentano l'apoteosi dell'indipendenza creativa, poiché spesso sono freelance o lavorano da soli, devono comunque postare all'ora giusta, usare gli hashtag giusti e le parole chiave opportune, per esistere, per essere visti. Siamo dipendenti dall'algoritmo.

Quindi, in un certo senso, l'artista non può essere davvero indipendente. Dovrà sempre avere a che fare con gli strumenti della comunicazione per far sapere che esiste: in questo mare digitale, nessun uomo è un'isola.

Per questo motivo credo che l'aspetto più importante e necessario in un artista sarà sempre di più la sua umanità, il suo essere manifestazione della propria visione del mondo, imperfetta, fallibile, ma autentica.

La sfera digitale è nel bel mezzo di una delle più grandi rivoluzioni industriali di tutti i tempi, l'avvento degli LLM, gli algoritmi di intelligenza artificiale capaci di produrre ciò che, fino a pochi anni fa, era esclusiva dell'intelletto umano.

Cosa ci distingue, quindi, da queste macchine? Quale aspetto di noi, come esseri umani, come artisti, è unico? Questa è una domanda che mi pongo ogni giorno, che mi assilla e alla quale penso di aver trovato una risposta adatta alle mie necessità di coltivare un senso, di rimanere "alto" nella mia esposizione: l'autenticità. Solo così, mantenendo teso il filo della nostra anima con il mondo esterno, potremo sperare di raggiungere abbastanza persone, di creare collegamenti forti abbastanza da superare i maremoti digitali. Chi segue l'artista deve sapere che le sue parole, seppur fatte di pixel, sono umane.

Come avrete intuito, è quello che cerco di fare con questo Diario. Creare un collegamento più profondo di un post sui social, questo luogo è il mio ponte, il mio giardino di autenticità. Ci provo, non sempre ci riesco; a volte sono stanco, oppure ho dei pensieri, e le mie pagine ne risentono. A volte mi perdo in meandri tecnici, filosofici, ma quelli sono parte di me, di come vedo il mondo, l'arte.

Cerco indipendenza da quando sono piccolo. Sono nato bastian contrario, come mia madre. Ho una naturale avversione nei confronti del potere e non amo che mi si dica cosa devo fare. Faccio quello che voglio, al meglio che posso. Questo comportamento, è facile immaginarlo, mi ha restituito pochi amici, ma buoni. Poi la vita ci separa, e ci si ritrova per una telefonata leggera, in cui si parla degli anni vissuti insieme. Ho 44 anni e sono ancora alla ricerca di questa indipendenza, che sembra spostarsi ogni volta che credo di afferrarla.

L'indipendenza è un desiderio di libertà, insito nell'uomo, ma siamo anche animali sociali e dobbiamo trovare un posto utile in questa società. Quindi, qual è il ruolo dell'artista in questa società? In cosa è utile un artista?

A sognare? A pensare? A ricordare agli altri quello che conta? Ad evidenziare i difetti dell'uomo, le sue qualità? A esorcizzare le paure?

Io penso che sia un po' tutto questo messo insieme: l'artista è il terapeuta dell'anima.

Alla prossima pagina.

Cuori contro circuiti

Tutto ha un prezzo, si dice. Ma si sostiene anche che ciò che ha davvero valore non può essere comprato. È davvero così? Cosa conta veramente nell'arte? Il prezzo dell'opera ne definisce il valore? Questo dilemma complesso introduce elementi che spesso gli artisti desiderano distinguere in modo netto e definitivo: arte e soldi, poesia e marketing.

Voglio però sostenere tutti coloro che credono che entrambe le cose possano coesistere. Un artista può essere anche un imprenditore, anzi, dovrebbe esserlo, poiché l'arte è espressione. L'espressione vive quando ci sono orecchie per ascoltare, occhi per vedere, un'anima per emozionarsi. Desidero raggiungere quante più persone possibile, non per egoismo o per un piacere narcisistico di essere riconosciuto, ma perché ho dedicato la mia vita all'immaginazione, alle storie, alla fantasia. Amo sognare e voglio che i miei sogni prendano vita in voi, che la mia fantasia vi aiuti a trovare la vostra, perché senza di essa, il mondo diventa grigio come una lapide.

La fantasia ha dato vita a tutte le belle cose che possediamo, ma ora è in pericolo. Stiamo entrando in un'era in cui la fantasia è relegata alla superficialità del già detto, ai remake, alla gratificazione istantanea. Ciò che conta è la facilità di ricordo e la diffusione capillare, non importa la qualità o la profondità. È un fiume che divora tutto sul suo cammino, spazzando via fragilità e sensibilità, un toro dalle corna d'oro affamato di denaro, di attenzione, di nutrimento per il proprio ego.

Questa macchina, ancora animata da persone, non durerà a lungo. Presto, quasi tutto sarà sostituito dalle macchine. Creativi, attori, artisti, scrittori, siamo tutti di fronte a una minaccia incredibile che emerge all'orizzonte. L'intelligenza artificiale presto supererà l'uomo in molti compiti. Quindi, quale posto rimane per l'uomo? Dove stiamo andando?

Il tema che affronto è complesso ma essenziale: che cos'è un artista nel 2024? Che cosa deve fare un poeta per rimanere indipendente, per non essere travolto dalle macchine, per rimanere umano e, allo stesso tempo, avere successo? Sembra un rebus senza soluzione, ma forse, solo forse, ne ho una. Essere vicini alla propria anima, tangibilmente imperfetti, interagire con chi ci segue, discutere, dialogare, trasformare attraverso il dialogo chi incontriamo, e toccare corde espressive profondamente personali, ma imperfette e universali.

Gli scacchi, che sono una mia passione, hanno già vissuto questa fase. La macchina ha battuto il più forte giocatore umano, Garry Kasparov, contro Deep Blue. Eppure, gli scacchi non sono scomparsi. Gli umani amano ancora giocare a scacchi. Come è possibile, se le macchine sono superiori? La risposta è semplice. L'uomo cerca l'uomo. Vuole il contatto con la propria imperfezione, vuole migliorare, anche grazie alle macchine, ma il motivo del suo miglioramento risiede nella sua umanità. Vuole condividere il suo percorso, sentirsi parte di qualcosa, vivere insieme.

Quindi, artisti, siate umani, siate imperfetti, siate fragili, ma anche studiosi, disciplinati e un po' folli. Scavate in voi stessi, ascoltando gli altri, per forgiare nuove storie che colpiranno il cuore di nuovi uomini.

Alla prossima pagina.

Il Mio Lato Nerd

Sono cresciuto in periferia degli altri. Non tanto per via dei vari cambi di scuola e di paese, quanto per quel lato che - ai miei tempi - era considerato molto sfigato.

Fin da piccolo, mi sono sempre piaciuti i computer e tutto quello che viene con loro. La programmazione, i videogiochi, il montare e assemblare componenti di elettronica. Sicuramente questo è dovuto a mio padre, informatico ante litteram, che mi ha dato un PC in mano quando non avevo nemmeno otto anni.

Altro che digital divide o boomer! Io sono un nativo digitale, un figlio dei bit e della cultura nerd/geek - ora popolare, come lo dimostra zero calcare. Ma quando io giocavo all'amiga, o al PC, quando guardavo Neon Genesis Evangelion su VHS, oppure seguivo l'avvento dei nuovi processori Pentium come un patito di calcio che segue la coppa UEFA, ecco, no, non era popolare, anzi. Però eravamo in tanti, in quel sottobosco, ad affacciarci a quel mondo che stava piano piano prendendo piede.

Nel 2023 è figo essere nerd, è popolare. Ti piacciono gli Anime? Figo. Sei uno streamer che ci capisce di setup, desktop, lightning, CPU, gpu, ddr etc etc? Figo.

É strano... mi sento più vicino alla generazione successiva alla mia. Probabilmente per via di quel vantaggio competitivo che ho avuto. Sono partito in anticipo nella conoscenza del mondo digitale. Ma ho avuto la fortuna di avere un'educazione formata sui libri. Sulle enciclopedie. Ricordo che quando non conoscevo un termine, mia mamma mi diceva di prendere il volume enciclopedico corretto e cercare il significato della parola. Questo non solo mi ha insegnato cosa fosse un'enciclopedia, ma soprattutto, mi ha insegnato a cercare.

Quando arrivarono Google e Wikipedia, (prima usavo Ask Jeeves e Yahoo) li adottai subito come strumenti di ricerca. E fu, anche questo, un vantaggio competitivo nella ricerca della conoscenza.

Ma ho ancora imparato a dubitare di questo strumento che ora è alla portata di tutti. La ricchezza del mondo digitale, di internet, sta nell'incredibile volume di informazione che ci mette a disposizione. Ma questo volume di dati, senza un obiettivo da parte nostra, senza una chiarezza di intenti, diventa un oceano troppo grande, dispersivo, pericoloso quasi.

Internet è uno strumento potente, ma non è un'enciclopedia. É composto da 80% di materiale volgare, inutile e offensivo e da un 20% di pura meraviglia.

Adesso sono arrivati gli algoritmi di intelligenza artificiale che producono contenuto sensato in base ad una richiesta. Testo, Immagini, Video, e a breve anche Musica, Film, mondi virtuali. Se il tema vi interessa, vi consiglio di guardare "The Congress" di Ari Folman. É un film visionario che mostra cosa succederà alla nostra realtà, nel caso in cui deleghiamo la nostra percezione della realtà agli algoritmi. Oppure potete leggere la Divina Avventura. So che molti di voi l'hanno fatto, e vi ringrazio, e so anche che sapere di cosa parlo. Le Anime digitali...

Voglio concludere con un pensiero: il primo vero motore di ricerca in questo mondo, siamo noi, la nostra mente, la nostra coscienza. É lei a darci la direzione. Possiamo essere nerd, geek, essere cool oppure no, essere un boomer, gen-z, gen-x, non importa. Se non useremo la chiave del pensiero critico, saremo noi a lavorare per le macchine, e non il contrario.

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Può l'Arte Resistere al Tempo?

Da giovane, collezionavo DVD. Avevo l'antologia dei miei due registi preferiti. Hitchcock e Kubrick. Possedevo tutti i loro film, che ho guardato e riguardato non so quante volte. I miei preferiti? Forse 2001 per Kubrick, anche se adoro il lento scorrere di Barry Lindon, e per Hitchcock, direi "Vertigo". Ma ognuno dei loro film è un capolavoro senza tempo.

Se dovessi scegliere tra Kubrick e Hitchcock, forse sceglierei Kubrick. Ammiro molto la sua capacità camaleontica di aver cambiato genere ad ogni film che ha affrontato. Sembrava deciso a vagare tra le trame dei generi e fare, di ogni sua opera, un mondo unico, che si aggiungesse al ventaglio incredibile di emozioni che aveva affrontato nei precedenti.

Solo Kubrick è stato capace di passare dall'incredibile comicità di Sellers in "Dr Stranamore" alla folle violenza di "Arancia Meccanica". Ogni suo film è un capolavoro che va preso quasi come una stella a sé stante, un universo a parte. Io ambisco a questo.

La domanda originale è però di tutt'altro sapore, quanto dura l'arte? Ha una data di scadenza? A volte mi fa paura il pensiero. Per esempio, guardo un capolavoro come 2001 che tratta di concetti alti, di antropologia, di filosofia, è lisergico, visionario, ma la parte nella base lunare, per quanto anch'essa visionaria, è figlia dei suoi tempi, della moda, della contemporaneità che si fa subito vecchia, antica.

Eppure, il film sopravvive al tempo, anzi, piano piano il suo valore, come i materiali nobili, aumenta. HAL, il computer intelligente che decide di uccidere gli uomini è più attuale di tanti cineasti moderni che vogliono parlare dei problemi dei nostri tempi. Certo, questo è dovuto allo scrittore del libro di Arthur C. Clarke, ma Kubrick ha saputo dipingerlo nel migliore dei modi e il film è il frutto di una collaborazione tra i due.

Kubrick ha dipinto HAL 2000 in maniera elegante, precisa, impietosa. Un occhio rosso che è diventato, nel corso del tempo, l'icona del grande fratello, di colui che tutto sa e tutto spia. Una presenza quasi divina, anzi - demoniaca.

Alcune case editrici dicono che un libro, passato i primi 6 mesi della sua uscita, è "vecchio". Davvero un libro ha una data di scadenza così terribilmente breve? Io voglio pensare che le parole scritte possano sopravvivere persino a colui che le ha immaginate, che possano solcare il tempo, surfare l'onda dell'evoluzione e parlare ai posteri, persino meglio che ai contemporanei.

Io sono certo che sia così, perchè quando rileggo i grandi filosofi greci, io vedo me stesso. Eppure loro non avevano il telefonino, l'intelligenza artificiale, l'elettricità. Eppure i pensieri sopravvivono. Per quale motivo? Penso che sia perchè i problemi fondamentali che affrontiamo, la morte, il divino, l'amore, il destino. Sono tutti temi che sono validi ora e lo saranno tra mille anni. Lo saranno fino a che rimarremo umani, finché saremo vivi.

Durante questo cammino verso il mio futuro da scrittore, ho incontrato molte persone, anch'esse appassionate dall'arte di narrare delle storie. Alla domanda "perchè lo fai?" quasi tutti mi hanno dato una risposta simile: "Voglio lasciare un segno, lasciare qualcosa."

In fondo, ciò che spinge l'artista a "fare" è questo: la speranza che quel suo gesto rimanga nel tempo. Che non abbia data di scadenza. Secondo voi l'artista è un illuso? Tutto prima o poi scompare oppure davvero coloro che sono toccati dalla grazia del mistero riescono a diventare immortali?

Vi aspetto nei commenti,

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Il futuro dell'arte nell'era degli algoritmi

Oggi tocco un tema caldissimo: Il futuro dell'arte in un mondo di algoritmi...

Spesso rifletto sulla figura dell'artista e sulle difficoltà che dovrà affrontare negli anni a venire: Il mondo si trasforma, evolve, e noi continuiamo ad osservarne i dettagli cangianti ogni giorno, senza sapere se esserne terrorizzati o affascinati.

Come ho già affermato, immagino l'artista come un esploratore di mondi. Se dovessi immaginarlo ai tempi in cui il sapiens ancora migrava, l'artista sarebbe colui che partiva - da solo - alla ricerca di qualcosa oltre la foresta e, dopo alcuni giorni, tornava con una storia da raccontare davanti al fuoco. Forse non aveva carne o acqua, ma portava entusiasmo, stupore, energia e amore. Ecco ciò che, a mio avviso, alimenta l'artista dentro di noi; sono queste le qualità che devono emergere nel momento in cui una storia - qualsiasi storia, che sia scultura, danza, architettura, musica o poesia - viene raccontata.

Ma ora, con l'arrivo degli algoritmi generativi, come si devono comportare gli artisti? Fotografi, illustratori e ora anche scrittori e musicisti (e presto attori, registi, montatori) temono l'avanzata degli algoritmi, capaci di produrre contenuto infinito, sempre diverso e perfetto come una sfera stampata in 3D. È dunque questo il futuro che ci aspetta? Un panorama artistico di pillole perfettamente sferiche, senza difetti, che nutrono i nostri desideri nel modo più "corretto" possibile in base ai nostri profili social? Il Dio macchina sta per dominarci con una carezza? E se fosse così, allora quale futuro ci sarebbe per l'arte?

Ma in tutto questo, la vera domanda che io pongo gli artisti è: pensate davvero che lo spettatore si accontenterà della riproduzione meccanica e perfetta di ciò che è già stato fatto? Credete che la vita si limiti a galleggiare placidamente nel costrutto artificiale di ciò che è, in effetti, morte? Perché ciò che viene generato dall'algoritmo di intelligenza artificiale non è altro che la somma di ciò che è già stato creato. L'algoritmo è un Moloch che assorbe e rigetta. È uno strumento, non un creatore. È una calcolatrice. Utile se si ha qualcosa da fare o da dire.

Vi faccio un esempio. Quanto stupido può sembrare una persona che chiede a una calcolatrice di fare 123523532543/346674534 ed esulta quando ottiene il risultato? Completamente stupida, perché di per sé il calcolo non è interessante. Ma se mi dite che questo calcolo serve per capire quanto carburante deve essere messo in un motore per compiere tot chilometri per arrivare su Marte, ecco che la calcolatrice trova il suo giusto contesto di utilizzo.

Tornando alla figura dell'artista in questa nuova era tecnologica, credo che debba fare ciò che sto cercando di fare io: sviluppare una relazione diretta con chi lo segue. Non affidarsi più alle piattaforme (Facebook, Instagram, ecc.), ma creare un legame il più diretto e concreto possibile con chi lo apprezza, per generare un piccolo giardino di speranza e arte in cui prosperare. Ed è questa la funzione di "Diario D'artista", del sito e di tutto ciò che vedete. È il mio modo di creare un legame con voi. Ed è l'unico futuro possibile per l'artista: una "rete" che lo lega a coloro che vogliono viaggiare con lui.

"La Divina Avventura" è solo la punta di questo gigantesco iceberg che sto cercando di costruire, ma che non avrebbe senso se non ci foste voi a seguirmi.

Quindi questa pagina la dedico a te, che mi stai leggendo, che mi segui, che guardi le fiction in cui partecipo, che magari conosci "Sogno Farfalle Quantiche" o "#ByMySide", che hai seguito la follia di "Days" e che ora tifi perché questo libro abbia successo.

Grazie di cuore, senza di te, io non sarei qui.

Informativa sulla Privacy - Estratto

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Ultimo aggiornamento: 06 gennaio 2024

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