Spesso percepisco una marcata distinzione, quasi un senso di imbarazzo, nelle persone con cui dialogo quando affronto l'argomento dell'arte e dei soldi. L'approccio più superficiale, spesso adottato da coloro che ancora non vivono di arte come vorrebbero, è di pensare che "l'arte sia una cosa e i soldi un'altra." In effetti, come dar loro torto? L'arte, la poesia, nasce dal bisogno di esprimerci, di comunicare ciò che desideriamo. Questo è assolutamente corretto, ma allora, se questo assioma fosse vero, tutta l'arte sarebbe equipollente. È davvero così? Ogni quadro è altrettanto bello? Ogni libro altrettanto interessante? Ogni casa altrettanto ben costruita?
Evidentemente no. È sempre difficile avere un approccio generico alla realtà, ma mi sento di dire che esistono opere "migliori" di altre. Nel senso che riescono a vibrare con più anime, a curare più ferite, ad emozionare un numero maggiore di persone. Ed è in questo frangente, nell'"efficacia" dell'arte, che i soldi entrano in gioco. Almeno, così sembra...
I soldi, il guadagno, sono per chiunque viva in questo mondo, il modo di sopravvivere, di rispondere ai bisogni primari della nostra natura: i soldi sono cibo, acqua, vestiti, sopravvivenza. Vivere della propria arte significa, in termini semplici, riuscire a sopravvivere facendola.
"Quindi chi ha più soldi è più bravo, Flavio? È questo ciò che stai dicendo?"
Orrore! No. Ovviamente no. Ma forse sì. È un discorso complesso. Come si misura l'arte? Ci sono due modi di farlo, si può una valutazione contemporanea, cioè contingente al tempo nel quale viene valutata, oppure una "classica" che quindi viene storicizzata.
L'artista di successo può essere eccellente nella contemporaneità delle sue espressioni e quindi "di successo" nell'immediato e rivelarsi però, dopo poco, una meteora che scompare nel mare del tempo. Allo stesso modo, artisti non visti, gli invisibili, hanno la possibilità, con il passare del tempo, di riemergere come fece Kafka con la sua "Metamorfosi" (in tutti i sensi, si potrebbe dire!). Oppure possono rimanere invisibili per sempre.
Come dice un mio amico, su una linea temporale abbastanza lunga, il tasso di sopravvivenza è 0. Tutto sparirà, noi spariremo, l'umanità sparirà, la Terra sparirà. Non siamo altro che piccoli granelli di sabbia nella meccanica del cosmo.
Quando lasciai il teatro per il cinema, e poi il cinema per la televisione, fu soprattutto per una questione di sopravvivenza. Il teatro pagava poco, e lavoravo 5-6 mesi l'anno. Era difficile costruirsi un futuro. Quando me ne andai dal teatro stabile, fu doloroso. Lì avevo una posizione invidiabile per un ragazzo di 24 anni. Ero un regista, un attore protagonista, avevo la stima di persone che dell'arte ne avevano fatto la loro vita. Ma la stabilità che trovai con "Distretto di Polizia", con "Medico in Famiglia" e tutti gli altri progetti che ho fatto, mi ha permesso di pensare a fare una famiglia, di viaggiare, di trovare un centro di gravità permanente, come direbbe Battiato. Non mi manca il palcoscenico, amo recitare ovunque. Che sia con Woody Allen o nel Paradiso Delle Signore, il mio approccio non cambia.
Tornando a noi: i soldi e l'arte. Sono come due fratelli: non si sopportano, ma uno non può fare a meno dell'altro. Il miglior teatro fu scritto quando era il principale media consumato dalle persone. Perché? Perché erano disposti a pagare il biglietto per vederlo. E questi soldi pagavano i poeti, che a loro volta, scrivevano i drammi. Shakespeare in Inghilterra, Molière in Francia, tutti artisti "di successo". Persino Mozart, che morì in una fossa comune, fu, durante la sua vita, un musicista di grande successo. E quindi un musicista che produsse molto. E tra le migliaia di composizioni di Mozart, alcune sono così preziose da essere più importanti delle stelle.
È la legge della sopravvivenza. Chi riesce a vivere della propria arte, ne produce di più, e così facendo aumenta la sua possibilità di successo, e quindi di essere ricordato. In un certo senso, si potrebbe dire che i soldi (intesi come successo) non sono un "valore" qualitativo dell'arte, ma piuttosto un "tesoretto" che potrebbe dare all'opera abbastanza carburante da sopravvivere nel tempo.
Insomma, non ho, come sempre, una risposta definitiva. Tuttavia, ora che ho finito l'articolo, ho più domande di quando l'ho iniziato a scrivere. È un buon punto di partenza. E voi, cosa ne pensate? Arte e soldi... sono distinti o sono uniti?
Vi aspetto nei commenti.
Alla prossima pagina.