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Oggi vi racconto un aneddoto della mia carriera di regista. Iniziai come assistente alla regia di un grande, purtroppo scomparso, regista: Marco Sciaccaluga, al Teatro Stabile di Genova.

Ciao, Marco.

Ero assistente alla regia di uno spettacolo molto complesso, con oltre venti attori, scenografie imponenti e, come protagonista, Mariangela Melato, grandissima attrice, anch'ella mancata.

Ciao, Mariangela.

Il ruolo dell'assistente consiste nel segnare tutte le note di regia, suggerire agli attori, e, se il regista lo ritiene abbastanza abile, gestire aspetti minori come scene di transizione, fonica, luci, eccetera. Ma il vero compito dell'assistente, a teatro, è imparare, ascoltare, comprendere e avere una visione globale della macchina teatrale per poi diventare, un giorno, un regista.

Io annotavo sul mio copione, un labirinto di frecce, disegni, note importanti, maiuscole, minuscole, testo sbarrato, riscritto - una stele di Rosetta persino per me. Consumavo matite senza sosta. Ma il peggio era che quasi ogni giorno le perdevo. Dentro di me, non riuscivo a spiegarmi come, quasi immancabilmente, mi ritrovassi a fine giornata senza la matita acquistata il giorno prima.

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Non c'era verso. Spariva. La causa era semplice: avevo la testa per aria, molte responsabilità da seguire e la matita diventava il simbolo della mia disattenzione. La trascuravo, povera matita. Marco mi prendeva in giro per questo. Io, testardo, mi ripetevo di dovercela fare. Acquistai una matita più costosa, sperando nel suo valore come deterrente all'oblio, ma anche lì fallii, finché un giorno decisi di legarla al copione con uno spago di canapa.

Arrivai in teatro mesto, vedendo questa scelta come una sconfitta, poiché, nella mia mente, non ero riuscito a disciplinarmi a sufficienza da non perdere le matite. Ma Marco, entusiasta, mi disse: «Dovresti essere contento, hai trovato una soluzione. Che importa se non è perfetta come quella che avevi in mente. Funziona. Ora vai avanti, devi lavorare.»

Ecco, questo piccolo aneddoto fu uno scalino che mi allontanò, ripensandoci, da quel mio desiderio di perfezione interiore che mi logorava. Credevo che l'unico vero modo per non perdere la matita fosse disciplinare me stesso. Trovare un modo per piegare mente e corpo, per educarmi. Quella corda io la vedevo come un mero trucco per nascondere la mia manifesta incapacità.

Ma non era così. Quella corda era un modo per andare avanti. Per continuare il grande percorso, quello importante, quello di imparare a fare il regista. E perdendo sempre le matite, sarebbe stato più difficile.
Quando abbiamo un problema, a volte basta una toppa, una corda, un po' di nastro adesivo o un po' di colla, e si riparte, più forti di prima!

Alla prossima pagina.

Articolo scritto da  Flavio Parenti
Sono un attore, scrittore e regista nato a Parigi e cresciuto in Italia. Ho lavorato in film, serie TV e teatro, collaborando con registi di fama internazionale. Sono appassionato di storytelling e amo sperimentare con diverse forme d'arte per raccontare storie.

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