La crisi dello streaming

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La crisi dello streaming
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Ultimamente, quando vado su una piattaforma streaming, passo più tempo a decidere cosa guardare che a guardare qualcosa. Capita anche a voi?

Nel 2023, le piattaforme hanno registrato, secondo i dati ufficiali, una perdita complessiva di 5 miliardi di dollari. Questo ha spinto molte aziende a rivedere le loro strategie, portando a fusioni e - come sappiamo - aumenti dei costi degli abbonamenti. Oggi voglio condividere una teoria su uno dei possibili motivi di questa crisi, che coinvolge però i temi a me cari: lo storytelling, e anche dati analitici e intelligenza artificiale.

Ricordate i tempi di "Roma" di Alfonso Cuarón? Era il 2018, non molto tempo fa. Ricordate che meraviglia era aprire Netflix? Io sì. Ero felice di andare sulla piattaforma, perché sapevo che stavano spendendo tutti i loro sforzi valorizzando artisti, con lo scopo di portarli sulla loro piattaforma.

All'inizio di questa rivoluzione, dovete sapere che le piattaforme streaming non erano viste di buon occhio da Hollywood e dal cinema in generale. Spesso succede con le nuove tecnologie. Il mondo del cinema è cambiato radicalmente: abbiamo assistito, in questi ultimi dieci anni, al crollo delle presenze in sala, dovuto perlopiù alla nascita delle piattaforme, al 4K, ai televisori giganti a prezzi bassi, ecc.

Insomma, ci fu un tempo in cui lo scopo di Netflix sembrava essere quello di conquistare gli artisti per ottenere credibilità e nuovi clienti. Offrirono a Cuarón più del necessario per realizzare un film che nessuno voleva fargli fare, e cosa è successo? Il capolavoro. Eh sì, perché se date a un genio la possibilità di esprimersi in piena potenza e libertà, le probabilità che vi dia un capolavoro sono alte.

Ma poi, negli anni, l'offerta delle piattaforme è andata a omogeneizzarsi. Le serie troppo "originali" e poco ortodosse venivano fermate a metà strada (penso a "The OA") per via degli ascolti bassi, e nuove serie, simili alle precedenti di successo, si sono moltiplicate. Per quale motivo?

Netflix, Amazon, ecc., sono società definite "data driven", cioè che seguono i "dati". Il famoso algoritmo. All'inizio, però, di dati non ne avevano, e quindi hanno chiamato i migliori artisti, usando i "dati" del mondo. "Chi sono i migliori registi? I migliori contastorie? Assumiamoli e facciamogli fare qualcosa di creativo. Poi faremo un'analisi di cosa funziona e capiremo."

E così, anno dopo anno, i dati hanno cominciato a popolare i tabulati. Qualcosa funzionava, qualcos'altro no. E sono cominciate a cadere le prime teste: le serie che non sembravano produrre il traino necessario venivano bloccate in corso d'opera.

Quando i dati sono arrivati finalmente in cima alla piramide decisionale, gli uomini d'ufficio, lontani dal campo di battaglia dell'arte, hanno pensato di avere il sacro graal. I dati hanno modellato la nuova generazione di prodotti, con la certezza che così facendo si abbattesse il rischio di un fallimento, di una brutta opera d'arte. Ed ecco che quello che prima era una fucina di caos e di creatività, si è trasformato nell'incasellamento dell'emozione, nel tentativo di controllare l'arte con una formula. Ah, l'eterno dilemma tra forma e sostanza!

Questa teoria non è certo nuova e sono in tanti ad averla affrontata. Il settore è in crisi, e la soluzione sembra essere abbonamenti più alti, meno condivisioni, insomma, più introito. Molti tendono più a conferire l'onere della crisi al contesto industriale, piuttosto che a quello creativo.

Non sono un economista e il mio focus è sullo storytelling. Il mio è un invito a riflettere a tutti coloro che sono coinvolti in questo sistema produttivo complesso e articolato. Da Aristotele in poi, abbiamo sempre provato a meccanizzare la storia. A comprendere cosa rendesse una storia davvero interessante, a livello meccanico. E Questi dati e algoritmi non sono altro che un ennesimo strumento di analisi di ciò che è stato fatto, non di ciò che deve essere ancora scoperto.

Non esiste una formula definitiva di successo per una buona storia, o per un buon film o serie, perché non sono i dati a creare la bellezza, ad emozionare o a far sognare. È l'anima del poeta che affronta con coraggio la possibilità di fallire, e che salpa alla scoperta dell'ignoto, proprio come il protagonista della Divina Avventura.

Con l'avvento dell'intelligenza artificiale e dei modelli LLM, il messaggio della Divina Avventura diventa sempre più importante: noi dobbiamo cercare una sensibilità più vicina al cuore che alla matematica. Imperfetta, quindi umana. E poi, chi sceglie la strada dell'arte, deve lottare per quel desiderio, sperimentare, rischiare, tuffarsi verso l'ignoto. Il timone va dato agli artisti, non alle macchine!

Alla prossima pagina.

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Articolo scritto da  Flavio Parenti
Sono un attore, scrittore e regista nato a Parigi e cresciuto in Italia. Ho lavorato in film, serie TV e teatro, collaborando con registi di fama internazionale. Sono appassionato di storytelling e amo sperimentare con diverse forme d'arte per raccontare storie.

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