Oggi parlo di scrittura.
Mi capita sempre di più di rifletterci, segno che non solo comincio a ragionare in questi termini – cosa che facevo già da anni – ma ho anche il coraggio di condividere i pensieri appresi e forgiati nel tempo.
Qual è il segreto di una buona storia?
Esistono numerosi manuali per scrivere. "On Writing" di Stephen King è sicuramente un buon inizio; Mamet è eccellente, esiste una sua masterclass online molto interessante sulla scrittura. E poi ci sono i maestri nascosti, quelli che devi scoprire da solo. Ma per farlo, devi prima conoscere bene l'ambito. Più sappiamo, meglio siamo in grado di identificare i nostri maestri, coloro che realmente possono aiutarci a progredire nella nostra arte.
La domanda che mi pongo è, ovviamente, senza una risposta univoca. In realtà, ha mille risposte diverse. È una questione aperta, che non può essere risolta con una formula matematica, ripetibile e immutabile.
Ci sono storie che colpiscono per l'idea, altre per la prosa, altre ancora per i personaggi o per il ritmo. Insomma, le variabili sono innumerevoli. Quindi, anziché elencarle tutte, mi limiterò a esplorare quanto più possibile per capire quale, tra tutte queste variabili, sia la più importante.
Per chi conosce il mio "metodo della pizza", sa che ho un'inclinazione per le metafore culinarie. Mi piace andare al ristorante e gustare piatti squisiti, immergermi completamente in esperienze gastronomiche, spesso stellate. Quando mi siedo a tavola, dopo aver appoggiato la giacca, ciò che mi colpisce immediatamente è il pane.
Il pane è il biglietto da visita della cucina. In esso, c'è la semplicità di un piatto umile, composto solamente da tre elementi. Ma quante varietà di pane esistono! Quante fragranze, sapori e consistenze si possono scoprire con semplice acqua, farina e sale! Pane integrale, focaccia, schiacciatina, grissino, pane al latte, morbido, ruvido: quando mi viene servita una cesta di pane, non necessariamente abbondante, ma variegata e piacevole, mi lascio conquistare e affronto con maggiore apertura ciò che seguirà.
Ora vi chiederete: cosa c'entra tutto questo con una buona storia?
Una storia non può funzionare senza personaggi solidi. Puoi elaborare quanto vuoi una trama, inserire esplosioni, far crollare civiltà, creare incidenti drammatici. Ma se queste vicende accadono a personaggi che il lettore non ha avuto modo di apprezzare, allora tutto risulta vano.
I personaggi sono il moltiplicatore dell'emozione che una storia può trasmettere. Sono il pane della narrazione: semplici, comprensibili, ma difficili da scrivere. Devono essere autentici, avere desideri, difetti, fragilità. Devono interagire tra loro in modo credibile, superare ostacoli, unirsi o dividersi.
Ma cosa rende davvero umano un personaggio? Parlando dalla mia esperienza attoriale - io non credo nella recitazione come maschera, bensì come manifestazione di sincerità, di autenticità - la magia della recitazione sta nel creare una relazione autentica con il partner di scena, stabilendo un legame che permetta di agire liberamente, senza timore.
L'arte della recitazione risiede proprio in quello spazio di fiducia che consente di essere veramente se stessi. Lo stesso vale per i personaggi di un libro: ciò che li rende amabili o meno sono le loro relazioni, perché è attraverso di esse che ci identifichiamo con loro.
Dunque, una buona storia si basa su relazioni autentiche. Poi, si può procedere con qualsiasi tecnica narrativa per rendere i primi, i secondi e il dessert indimenticabili.
Alla prossima pagina.