Nell'articolo precedente ho parlato del mio lato nerd, e di come mi abbia portato alla "periferia degli altri."
Ma ci sono, come sempre, molti risvolti. Molti lati ai difetti, che poi, in fondo, sono qualità inespresse.
Parecchio di quello che ho fatto finora, da un punto di vista creativo, viene da questo mio desiderio di unire la cultura della tecnologia con quella della narrazione. Il mio percorso verso raccontare le storie è fortemente permeato dal mio lato nerd. Ma non solo, anche il modo in cui approccio l'aspetto programmatico del self publishing deriva da questo modo di pensare. Mi piace automatizzare, mi piace delegare i compiti banali alla macchina, così da ritagliarmi il tempo di tuffarmi nella creatività pura, nel flusso di coscienza, in cui mi perdo e mi ritrovo.
Penso che l'unione di questi due aspetti, nerd e narratore, sia forse quello che più caratterizza non solo la poetica dei mei racconti, ma anche la loro forma. Io scrivo su internet, queste pagine sono quello che alcuni potrebbero definire una "Nerdata".
"Il diario d'artista" appare in varie forme in base a dove viene fruito. Via e-mail è testuale, sul mio sito è un'unione di testo e voce, su Instagram è un video con i sottotitoli, su Spotify è un podcast audio. Ho organizzato tutto in modo da non dover ogni volta fare i post su Sito, Facebook, Instagram, Spotify, e-mail, twitter (x) perché sennò non riuscire a fare altro. Quindi, ho sviluppato dei processi di automazione. Io scrivo l'articolo sul sito, e il resto "si fa da sé" con un po' di programmazione. Niente di più nerd.
Senza tediarvi nei processi di automazione che esploro per poter fare di più facendo di meno, posso dirvi che le possibilità sono davvero illimitate per chi ha creatività e voglia di tuffarsi. Sarò felice, se vi interessa, di scrivere una pagina più "tecnica" dove espongo alcuni degli strumenti e piattaforme che uso per comunicare la mia arte.
Spesso vengo attraversato da una paura, quella di vedere il "tocco umano" sfumare via. Chi ha letto la Divina Avventura penso lo abbia percepito. Ho paura della digitalizzazione delle anime. Mi sembra che la società stia prendendo una deriva transumanista eccessiva, in cui la mente la fa da padrona, in cui il corpo e le sue necessità primordiali sono viste come un tabù, come una cosa da evitare, e in cui l'anima viene relegata ad un'equazione.
Chi ha letto libro sa che io non la penso così, nutro un grande amore per la vita, per l'ignoto. E attraverso le parole di Overton, sono io che parlo, che urlo ai ragazzi di fuggire da quelle torri nere, di partire alla scoperta dell'orizzonte. Ma sono anche Kato, con i miei dubbi, il mio tragico scoprire che ciò in cui credo non è sempre vero, e la mia natura umana, fragile, e soprattutto, effimera.
Insomma, gli algoritmi di intelligenza artificiale sembrano poter sostituire l'artista. Fanno paura, è indubbio. Ma se prendiamo per buono il concetto di artista che esprimo nella piccola favola di Hu-Ga, non penso che le macchine potranno mai essere artiste. L'artista va alla scoperta di ciò che non conosce, mentre gli algoritmi creano in base a ciò che funziona, a ciò che sappiamo che esiste. L'immaginazione è uno strumento molto più potente, poiché permette di far esistere ciò che prima non esisteva. É l'unico nostro atto davvero creativo e non demiurgico.
Davanti ad un mondo in cui, quando accendo la tv, vedo standing ovations per l'ennesima ripetizione di ciò che è stato visto, rivisto e stravisto. Davanti ad un mondo dove coloro che pensano fuori dal coro sono censurati, cancellati, dimenticati. Davanti ad un mondo che elegge l'algoritmo alla quintessenza della creazione, la mia risposta è che no, la vita non è questo.
La vita è una divina avventura, è misteriosa, è ignota, e non sarà mai completa.
Alla prossima pagina