I limiti della perfezione

Nella "Divina Avventura" ho affrontato il tema della perfezione: del raggiungimento di quell'idea che abbiamo nel cuore, nella mente, ma che, in un certo senso, continua a spostarsi incessantemente. Il processo di ricerca che ci porta verso l'idea è la bellezza dell'arte, la sua natura più profonda. Per esempio, oltre a scrivere, gestisco questo sito sul quale, ogni lunedì e giovedì, pubblico il diario d'artista. Si tratta di un sistema complesso, che non starò a spiegare nel dettaglio, ma che coinvolge molteplici applicazioni e che può essere continuamente migliorato e ottimizzato.

Ho il terribile vizio di voler sempre migliorare anche ciò che funziona. Ripulire, ottimizzare, alleggerire sono cose che amo fare, come se risolvessi dei puzzle. Il problema è che spesso, nel farlo, rompo tutto. E, anzi, più rompo, più sprofondo nelle sabbie mobili della ricerca della perfezione. Non vi è mai capitato di rovinare tutto pur di migliorare qualcosa che non era nemmeno utile fare? Ecco, mi è successo la notte scorsa. Ho voluto pulire il database del sito da cose inutili – un lavoro che non era necessario, poiché non avrebbe cambiato nulla – e, nel farlo, ho rotto il sito. Ho passato tre ore, fino alle due di notte, a recuperare il salvataggio del giorno precedente e a rimettere tutto a posto com'era. Risultato? Quattro ore perse. Come potete vedere, il desiderio di perfezionare può essere deleterio.

Quante volte, mentre scrivo, mi rendo conto che il testo non è sufficientemente buono, che manca di umanità, di dettaglio, di vibrante emozione. E il primo istinto – fare editing – prende il sopravvento e sento l'irrefrenabile bisogno di mettere le mani sul testo, non a mente fredda, bensì a mente calda.

Per fortuna, ho imparato a tenere a bada questa pulsione, soprattutto grazie a Stephen King e al suo "On Writing", che non smetterò di consigliare a chi vuole scrivere. Uno dei principi fondamentali di King, in linea di massima, è quello di compartimentalizzare e far riposare il lavoro creativo. Questo significa, per esempio, non fare editing mentre si scrive. E ha ragione: sono due fasi completamente diverse. Una, la scrittura, è puramente creativa, esplorativa, un tuffo nell'ignoto. L'altra, l'editing, è razionalizzante, tendente all'ordine e alla comprensibilità. Certo, vi sono momenti in cui l'editing è creativo, così come vi sono momenti in cui la scrittura creativa è funzionale alla comprensione e non all'emozione, ma devo dire che evitando di fare le due cose insieme, si evitano disastri come quello che ho vissuto con il desiderio di migliorare qualcosa che andava già bene, perché assalito dal virus del perfezionamento.

La realtà è imperfetta, come ho spiegato in un articolo di un po' di tempo fa, la storia di una matita e della mia incapacità di non perderla. È importante saper fare i patti con il reale, abbracciare il superfluo come parte integrante della bellezza che ci circonda, accettare che la perfezione, a volte, è un passo indietro. Perché ci sarà sempre, per fortuna, qualcosa che sfugge alla mente razionale. Ed è proprio questa dimensione che dobbiamo raggiungere nell'atto creativo. E poi, dobbiamo fidarci di esso, pulirlo, limarlo, certo, ma anche inneggiarlo, difenderlo, amarlo. Insomma, come dicono gli americani: "If it ain't broke, don't fix it!". Che vuol dire "se non è rotto, non aggiustarlo."

A voi è mai capitato di perdervi in quel labirinto del perfezionamento che poi vi ha portato a rovinare tutto?

Alla prossima pagina.

L'uomo divino

Vi è una teoria affascinante riguardo a Michelangelo e la Cappella Sistina, un'immagine che mi ha sconvolto quando l'ho vista: il divino come coscienza, come voce interiore.

La Creazione di Adamo, uno degli affreschi della Cappella Sistina, fu realizzata da Michelangelo tra il 1508 e il 1512. È una delle opere più celebri al mondo, realizzata nel cuore del Vaticano, luogo di genesi della religione cattolica.

Un giorno, bazzicando per i forum per studiare un suo contemporaneo, Raffaello, che ho interpretato in Raffaello, principe delle arti, mi sono imbattuto in un'immagine che mi ha scosso profondamente. Se siete su Spotify, vi invito a vederla sul sito, poiché descriverla è davvero complesso, ma ci proverò.

Come sapete, nell'affresco, Michelangelo dipinge il momento precedente al tocco divino che ha dato ad Adamo la vita. Infatti, se guardate lo sguardo dell'uomo, è inespressivo, privo di vita. Il suo dito è piegato verso il basso, come se non fosse mosso da un'energia propria. Sopra, nel cielo, la figura di un uomo barbuto, circondato da putti e angeli, avvolti in una grande cappa rossa, si avvicina. È Dio, che sta per dare la scintilla della vita all'uomo.

Ma quello che mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta è ciò che l'immagine mostrava accanto: una sezione del cervello umano che, se sovrapposta alla grande cappa divina, sembra essere identica.

Michelangelo, si sa, come Leonardo e gli altri del Rinascimento, amava dissezionare corpi e cadaveri per studiare le anatomie. Questa somiglianza, a mio avviso, è difficilmente casuale. Un artista del suo calibro non faceva nulla a caso. Ogni dettaglio, persino un dito, era pensato. Figuriamoci la raffigurazione di Dio nel cuore della Santa Sede.

E quindi, cosa significa? Cosa voleva dire Michelangelo con questo affresco?

Le interpretazioni le lascio a voi. Quello che conta, in questo caso, è l'incredibile potenza di un messaggio che ha letteralmente superato il tempo. Siamo una società evoluta, in cui la sezione del cervello è riconoscibile quasi da tutti. E quindi, ci è più semplice vedere ciò che l'artista ha creato. All'epoca, erano in pochi a sapere come fosse fatto un cervello. In pochissimi. Si può quindi supporre che il messaggio fosse, in un certo senso, segreto.

Vi ricordate quando vi parlai dell'artista che supera il tempo perché la sua genialità emerge solo nel momento in cui gli occhi degli uomini sono capaci di intuirla? Ecco, per me questo è un esempio chiaro.

Sono curioso di sapere le vostre interpretazioni, vi aspetto nei commenti.

Alla prossima pagina.

L'intelligenza creativa

Si può essere razionali e creativi al contempo?

Pochi giorni fa, proprio su queste pagine del diario, ho avuto uno scambio molto interessante su due termini vicini ma così distanti: artista e artigiano. Spesso il primo viene identificato con il genio e la sregolatezza, il secondo con il metodo e la maestria del gesto.

Dicotomie perenni anche nella mia mente. Sono un artista o un artigiano? Sono un creativo o un razionalista? Penso entrambi e ritengo, soprattutto, che entrambe le strade siano necessarie per la crescita di una consapevolezza artistica che vada oltre la semplice emozione o il semplice pensiero.

La scrittura è un pensiero emozionante. Una forma sublime di crasi tra la logica e il cuore. Nell'atto di scrivere mi succede di passare ore su una virgola, su una parola. E poi, un demone mi attraversa e comincio a scrivere per ore, senza rileggermi, defluendo qualcosa che aspettava di emergere. Mi piace pensare che sia la mia anima che nuota nel numeno e che mi spedisce forme e concetti inespressi, affinché la mia mente razionale possa in seguito dare loro una forma intellegibile, semplice, fluida.

È un'illusione della mente? Esiste davvero qualcos'altro, più grande di noi, che ci attraversa? Non ci sono risposte, ma solo domande. E io, come immagino si evinca da queste pagine, ne sono avido.

Da millenni, grazie alla tecnologia, l'uomo razionalizza tutto. La scienza, con il suo incessante sviluppo, continua a incasellare la realtà, a definirla in maniera ripetibile, inequivocabile, alla ricerca di quella formula che tutto include. Le macchine, ultimamente – parlo degli algoritmi di LLM – sono capaci di razionalizzare ogni campo dello scibile umano, di comprimerlo e riproporlo in infinite varianti. Ma si tratta sempre di ciò che già conosciamo. La scienza è l'analisi di un percorso già fatto. Il percorso verso l'ignoto, però, spetta a noi uomini, non alle macchine. Queste ci aiutano a camminare più velocemente, a viaggiare tra le stelle. Ma il percorso di scoperta, che mai finirà, è nostro e solo nostro. E l'artista, in questo, è uno di coloro che porta la fiaccola, che esplora non il macrocosmo, ma il microcosmo dell'anima interiore, dell'umanità che in noi ci accende.

In sintesi, quello che sto dicendo è che la vera intelligenza non sta nella capacità di rispondere alle domande, ma piuttosto nel saperne fare di nuove. Il percorso verso una nuova risposta, che la scienza non conosce, ci porterà a una possibile soluzione ed è vitale, potente, necessario. Ed è questo percorso che ci identifica come quella meravigliosa specie di Homo Sapiens che vive in un granello blu in mezzo a un oceano infinito di stelle.

Scienza e arte, matematica e filosofia, fisica e umanesimo: due facce della stessa anima. La nostra.

Alla prossima pagina.

Arte Immortale

Anelo a sopravvivere la morte. Chi non lo ha mai sognato? Io penso che ogni artista, che inevitabilmente affronta la caducità della propria vita e la potenza del tempo che passa, sia stato attraversato da questo desiderio. Anzi, è probabile che ognuno di noi, in un modo o nell'altro, si sia chiesto come immortalare la propria presenza in questa realtà, di cui sappiamo troppo poco.

Voi lo avete mai sognato? Molti film hanno esplorato il concetto di immortalità, dal Sacro Graal a Highlander, passando per le leggende dei vampiri. Il tema è molto caro all'uomo, e non a caso. La morte, come le tasse, è l'unica cosa certa.

Ma è davvero così? Possiamo davvero ascendere all'immortalità? Certamente non con l'arte, ma nemmeno con la scienza. Se pensate che tra quattro miliardi di anni il Sole ingloberà l'intero sistema solare, e l'umanità sarà andata oltre ogni possibile immaginazione, sempre che ci sia ancora, penso che non rimarrà qualcosa nemmeno di Cristoforo Colombo o di Tutankhamon. Figuriamoci di Dante o Shakespeare.

"Siamo viole dal profumo inebriante che appassiranno alla fine dei loro giorni", come scrivo nell'incipit della Divina Avventura. Il libro è un vero percorso verso la consapevolezza della morte, del mistero. E l'ultimo pensiero di Kato, il narratore, prima di morire, è molto semplice: vivere. Portarsi dietro la vita. In questo sento che la vita è come un movimento tragico di un'opera sinfonica che finisce (o inizia?) con la morte.

La vita è morte. Come diceva Shakespeare in "Misura per misura": "Se la morte è una liberazione da tutto, come può essere considerata una perdita? La vita in sé stessa è una malattia; e la morte ne è la cura; e così la mortalità, come una ferita, si rimargina con la stessa lancia che l'ha inferta."

Non sono certo il primo a pormi queste domande. Forse è l'età; sono in quello che si può definire "il mezzo del cammin della mia vita" e quindi inevitabilmente mi pongo delle domande: "Che cosa farà Elettra, mia figlia, quando non sarò più qui?" "Cosa voglio lasciare a lei?" "Che impronta voglio lasciare in coloro che verranno dopo di me?"

Scrivendo queste pagine, capisco che sono ancora incentrato sul futuro. Uno strano futuro in cui non ci sono più, ma pur sempre un futuro. Questo vuol dire che sono ancora vivo dentro.

Ma tornando al presente, il sogno dell'artista di superare il tempo è quindi illusorio. Certo, ma si sa, l'artista vive di illusioni. Il fuoco del desiderio è ciò che lo anima, e mai e poi mai dovrebbe rinunciarvici. L'artista vuole comunicare, dire, esprimere per emozionare. E più persone riesce a colpire, più si sente utile, giusto, in un certo senso. E quindi, se i vivi non lo capiscono (come spesso succede), il sogno che gli uomini del futuro possano intercettare il suo pensiero, la sua arte, gli permette di rimanere vivo, di non sprofondare negli abissi del pensare che la sua arte è inutile.

È successo a molti, pittori, scrittori, filosofi, persino scienziati. Spesso i geni superano la consapevolezza del presente, e nella loro espressione, che sia intellettuale, estetica o emotiva, vi possono essere elementi irriconoscibili a chi non ha gli occhi per vedere. Succede. Ci sono modi per far sì che queste barriere vengano superate, metodi per farsi conoscere, per far conoscere la propria arte, per farsi capire, per crearsi un pubblico; un giorno ne parlerò.

Ma per ora, vi basti pensare che il tempo è certo tiranno, ma è il miglior amico di sogni e illusioni. Quindi, per un attimo, lasciate che mi culli in un tempo in cui la mia presenza è lieve, ma la mia opera respira nelle anime dei vivi.

Alla prossima pagina.

Audiolibro "Anello Di Saturno" Spedito

Perfetto, ti confermo che il primo audiolibro dell'Anello Di Saturno è stato spedito al tuo indirizzo e-mail. Gli altri seguiranno nei prossimi giorni.

A presto!

Il cantastorie digitale

And the winner is...

La Sigaretta e l'amore

Devo essere sincero, è anche il mio preferito, perché incarna molti aspetti del libro, pur non svelando molto. Ci sono loro due, l'amore nella sua complessità, la loro complicità nascente, ma anche un accenno all'Anello Di Saturno. Insomma, grazie a tutti e a tutte per aver votato! Se la giocavano questo e "La strada in tempesta".

Terzo un po' più lontano, "il primo incontro".

Quindi, la sigaretta e l'amore, sarà il brano che utilizzerò per presentare l'audiolibro del primo volume dell'Anello di Saturno negli store. Speriamo bene....

E ora... Diario D'artista.

Faccio troppo. È un mio tratto distintivo: mi entusiasmo facilmente e mi faccio trascinare dalle idee, dai sogni.

A volte, mi dico che esagero. Che voglio fare troppo. Non solo me lo dico, ma è proprio così. Voglio fare tutto, controllare tutto, essere regista, scrittore, attore, imprenditore, poeta, e chi più ne ha più ne metta.

So che questo mio essere complesso mi è di ostacolo, poiché mi obbliga, in un certo senso, a fuggire da me stesso, a non dare un'immagine costante di me. È come se ogni giorno, al lavoro, vi ritrovaste davanti il vostro collega con una capigliatura diversa, un vestito completamente diverso, un atteggiamento diverso. "Poco affidabile", direbbe qualcuno, di primo acchito. È comprensibile. L'essere umano, sin da bambino, vuole la routine, cerca ciò che conosce, che gli dà stabilità e tranquillità.

Temo che, almeno per ora, io non rientri in questa casistica. Badate, provo a contenere quello che faccio, a tentare di comunicare per "compartimenti stagni".

Per esempio, non molti di voi sanno che prima di aver fondato Untold Games, la società di videogiochi, mi sono occupato, per molti anni, di produzione cinematografica. Ho realizzato, come produttore e regista, due film e una serie interattiva. E prima ancora, facevo il regista a teatro, mentre bazzicavo i casting romani con il sogno di fare l'attore.

Insomma, sono poliedrico, ma non è una qualità. Non in una società in cui il "brand", cioè la riconoscibilità, paga. Molti miei colleghi attori hanno giustamente scelto di fare questo e solo questo, di indirizzare tutta la loro forza in questo aspetto della creatività. Io invece ho preferito continuare la mia ricerca creativa, produttiva, ma non come businessman, bensì come artista, tentando di trovare forme espressive che più mi si confacevano, che più mi rendevano felice. E questo spesso a discapito della mia riconoscibilità come attore.

Quante volte mi sono sentito dire: "Ma fai anche questo? Ma no, occupati di recitazione, che sei bravo".

Insomma, si dice che la semplicità paghi, che solo il vero artista sia davvero semplice.

Belle parole, ma, da artista, non posso non chiedermi che tipo di terreno vi debba essere perché questa semplicità davvero "paghi" e non sia invece una mera scusa per evitare la profondità della complessità umana.

Personalmente, penso che perché un artista possa arrivare a una vera semplicità, fatta di tratti semplici, unici, necessari, debba prima passare per il fuoco del caos, per la caverna dell'io dove scoprire le mille sfaccettature che compongono la sua anima. Solo così, quando poi i puntini si uniranno, riuscirà, asciugando ciò che di inutile ha attorno, a trovare la propria unica strada.

Io sento che, piano piano, come un fiume che defluisce nel mare, sto trovando una strada. Non so se il racconto sia davvero l'ultima tappa dove mi fermerò. Se la figura di Omero possa essere quella che più sento mia. Un cantastorie 2.0, che dietro al falò digitale, scrive e racconta le sue storie ad una platea di molti... Conoscendomi, è improbabile, ma sento che dentro di me le acque si stanno calmando, e che forse, dopo essere uscito dalla sorgente, aver attraversato montagne, colline, valli e pianure, ho trovato una calma che rasenta, se posso sognare, il mare.

Alla prossima pagina.

Aiutami a scegliere

Ho finito di registrare l'intero audiolibro del primo volume della Saga dell'Anello di Saturno. Dare voce ai personaggi, alle descrizioni, agli eventi, integrare la mia arte di attore con quella di scrittore, penso sia davvero il culmine della mia creatività. Lo ammetto: mi sono divertito tantissimo. Ho cercato di regalare, a chi deciderà di ascoltarlo nella sua interezza, un'esperienza immersiva da vero contastorie.

Ho scritto questa storia senza pensare di narrarla ad alta voce, ma per raccontare un pezzo di me e poi volare con la fantasia. Come scoprirete, la storia parte da una base vera, reale, tangibile: la storia di un ragazzo strappato dalle sue radici che arriva in un borgo sconosciuto. Un ragazzo sensibile, introverso, amante dei videogiochi, un po' francese… insomma, parto da ciò che conosco. Ma poi, man mano che la storia diventa veramente "storia" e il mondo fantastico che mi sono immaginato prende forma, i personaggi hanno cominciato a parlare con la loro voce, a pensare con la loro testa e allora è subentrato Flavio, lo scrittore, che ha cominciato a dirigere l'orchestra delle verità che Flavio, la persona, aveva deciso di donare come "pezzo di carne" per iniziare.

E ora, arriva Flavio, l'attore, che incarna i personaggi, che dà loro voce, che li rende reali. Che emozione! Ogni personaggio è un frammento di me, un pezzo di ricordo, di desiderio, di sogno. Poter aggiungere le sfumature della mia umanità all'interno della storia è davvero un piacere inaudito.

Ho deciso di farne un audiolibro per mio papà, che non ci vede più molto bene e per cui la lettura di un libro è diventata difficoltosa. Ecco, dunque, il mio modo per condividere quest'arte con lui, per dargli la possibilità di scoprire questo lato di me. E di rimando, lo sarà anche per voi. L'audiolibro rappresenta un modo nuovo di scoprire la lettura, che sia in macchina, mentre si cucina o prima di addormentarsi, a luci spente. Per questo motivo, ho puntato molto sull'immersività, perché sento che sia un modo antico, si potrebbe dire addirittura originale, di raccontare una storia, che supera anche la barriera della lettura. Spero di avvicinare molti ai libri in questo modo.

L'ho fatto con tutto l'amore del mondo, come cerco di fare ogni cosa. È un processo indipendente, in cui ho potuto controllare ogni aspetto creativo e imprimere la mia firma sull'intero progetto. Spero che sarà all'altezza di tutto il resto.

Il Volume Primo dell'Anello di Saturno è lungo 274 pagine e l'audiolibro durerà 6 ore e 40 minuti. Registrarlo è stata un'esperienza intensa, durante la quale spesso mi sono ritrovato senza saliva, ma, come ho già detto, è stata un'attività che mi ha divertito enormemente. Ritengo che narrare le storie che scrivo sia veramente un modo per unire i puntini, per offrire una visione completa della mia umanità, sia interiore che esteriore.

Ho deciso di condividere con tutti voi, che seguite il Diario d'Artista, tre campioni dell'audiolibro, seguiti da un sondaggio. Se ascoltate da Spotify, dovete venire sul sito per ascoltarli e per votare (flavioparenti.com). Potreste aiutarmi a scegliere quale campione vi piace di più e quale vi suscita maggiore desiderio di ascoltare l'intera storia. Il vincitore sarà il campione che utilizzerò come presentazione del libro su internet.

Il biglietto da visita per chi dovrà scoprire questa nuova storia…

Alla prossima pagina!


Sulla strada in tempesta

Il primo incontro

La sigaretta e l'amore


La ricetta di una buona storia

Oggi parlo di scrittura.

Mi capita sempre di più di rifletterci, segno che non solo comincio a ragionare in questi termini – cosa che facevo già da anni – ma ho anche il coraggio di condividere i pensieri appresi e forgiati nel tempo.

Qual è il segreto di una buona storia?

Esistono numerosi manuali per scrivere. "On Writing" di Stephen King è sicuramente un buon inizio; Mamet è eccellente, esiste una sua masterclass online molto interessante sulla scrittura. E poi ci sono i maestri nascosti, quelli che devi scoprire da solo. Ma per farlo, devi prima conoscere bene l'ambito. Più sappiamo, meglio siamo in grado di identificare i nostri maestri, coloro che realmente possono aiutarci a progredire nella nostra arte.

La domanda che mi pongo è, ovviamente, senza una risposta univoca. In realtà, ha mille risposte diverse. È una questione aperta, che non può essere risolta con una formula matematica, ripetibile e immutabile.

Ci sono storie che colpiscono per l'idea, altre per la prosa, altre ancora per i personaggi o per il ritmo. Insomma, le variabili sono innumerevoli. Quindi, anziché elencarle tutte, mi limiterò a esplorare quanto più possibile per capire quale, tra tutte queste variabili, sia la più importante.

Per chi conosce il mio "metodo della pizza", sa che ho un'inclinazione per le metafore culinarie. Mi piace andare al ristorante e gustare piatti squisiti, immergermi completamente in esperienze gastronomiche, spesso stellate. Quando mi siedo a tavola, dopo aver appoggiato la giacca, ciò che mi colpisce immediatamente è il pane.

Il pane è il biglietto da visita della cucina. In esso, c'è la semplicità di un piatto umile, composto solamente da tre elementi. Ma quante varietà di pane esistono! Quante fragranze, sapori e consistenze si possono scoprire con semplice acqua, farina e sale! Pane integrale, focaccia, schiacciatina, grissino, pane al latte, morbido, ruvido: quando mi viene servita una cesta di pane, non necessariamente abbondante, ma variegata e piacevole, mi lascio conquistare e affronto con maggiore apertura ciò che seguirà.

Ora vi chiederete: cosa c'entra tutto questo con una buona storia?

Una storia non può funzionare senza personaggi solidi. Puoi elaborare quanto vuoi una trama, inserire esplosioni, far crollare civiltà, creare incidenti drammatici. Ma se queste vicende accadono a personaggi che il lettore non ha avuto modo di apprezzare, allora tutto risulta vano.

I personaggi sono il moltiplicatore dell'emozione che una storia può trasmettere. Sono il pane della narrazione: semplici, comprensibili, ma difficili da scrivere. Devono essere autentici, avere desideri, difetti, fragilità. Devono interagire tra loro in modo credibile, superare ostacoli, unirsi o dividersi.

Ma cosa rende davvero umano un personaggio? Parlando dalla mia esperienza attoriale - io non credo nella recitazione come maschera, bensì come manifestazione di sincerità, di autenticità - la magia della recitazione sta nel creare una relazione autentica con il partner di scena, stabilendo un legame che permetta di agire liberamente, senza timore.

L'arte della recitazione risiede proprio in quello spazio di fiducia che consente di essere veramente se stessi. Lo stesso vale per i personaggi di un libro: ciò che li rende amabili o meno sono le loro relazioni, perché è attraverso di esse che ci identifichiamo con loro.

Dunque, una buona storia si basa su relazioni autentiche. Poi, si può procedere con qualsiasi tecnica narrativa per rendere i primi, i secondi e il dessert indimenticabili.

Alla prossima pagina.

Il terapeuta dell'anima

Cosa significa essere indipendenti? Io penso che l'artista, per sua natura, sia animato da quel desiderio di essere autonomo, di vivere della propria passione e arte, senza dover rendere conto a nessuno se non al proprio pubblico.

Ho una visione romantica di questo mestiere e credo che sia l'unica che possa davvero sopravvivere all'onda di trasformazione che questa società ci sta imponendo. Siamo circondati dalle macchine, dagli algoritmi, da regole invisibili che dettano gran parte della nostra vita.

Ma persino i creatori digitali, che rappresentano l'apoteosi dell'indipendenza creativa, poiché spesso sono freelance o lavorano da soli, devono comunque postare all'ora giusta, usare gli hashtag giusti e le parole chiave opportune, per esistere, per essere visti. Siamo dipendenti dall'algoritmo.

Quindi, in un certo senso, l'artista non può essere davvero indipendente. Dovrà sempre avere a che fare con gli strumenti della comunicazione per far sapere che esiste: in questo mare digitale, nessun uomo è un'isola.

Per questo motivo credo che l'aspetto più importante e necessario in un artista sarà sempre di più la sua umanità, il suo essere manifestazione della propria visione del mondo, imperfetta, fallibile, ma autentica.

La sfera digitale è nel bel mezzo di una delle più grandi rivoluzioni industriali di tutti i tempi, l'avvento degli LLM, gli algoritmi di intelligenza artificiale capaci di produrre ciò che, fino a pochi anni fa, era esclusiva dell'intelletto umano.

Cosa ci distingue, quindi, da queste macchine? Quale aspetto di noi, come esseri umani, come artisti, è unico? Questa è una domanda che mi pongo ogni giorno, che mi assilla e alla quale penso di aver trovato una risposta adatta alle mie necessità di coltivare un senso, di rimanere "alto" nella mia esposizione: l'autenticità. Solo così, mantenendo teso il filo della nostra anima con il mondo esterno, potremo sperare di raggiungere abbastanza persone, di creare collegamenti forti abbastanza da superare i maremoti digitali. Chi segue l'artista deve sapere che le sue parole, seppur fatte di pixel, sono umane.

Come avrete intuito, è quello che cerco di fare con questo Diario. Creare un collegamento più profondo di un post sui social, questo luogo è il mio ponte, il mio giardino di autenticità. Ci provo, non sempre ci riesco; a volte sono stanco, oppure ho dei pensieri, e le mie pagine ne risentono. A volte mi perdo in meandri tecnici, filosofici, ma quelli sono parte di me, di come vedo il mondo, l'arte.

Cerco indipendenza da quando sono piccolo. Sono nato bastian contrario, come mia madre. Ho una naturale avversione nei confronti del potere e non amo che mi si dica cosa devo fare. Faccio quello che voglio, al meglio che posso. Questo comportamento, è facile immaginarlo, mi ha restituito pochi amici, ma buoni. Poi la vita ci separa, e ci si ritrova per una telefonata leggera, in cui si parla degli anni vissuti insieme. Ho 44 anni e sono ancora alla ricerca di questa indipendenza, che sembra spostarsi ogni volta che credo di afferrarla.

L'indipendenza è un desiderio di libertà, insito nell'uomo, ma siamo anche animali sociali e dobbiamo trovare un posto utile in questa società. Quindi, qual è il ruolo dell'artista in questa società? In cosa è utile un artista?

A sognare? A pensare? A ricordare agli altri quello che conta? Ad evidenziare i difetti dell'uomo, le sue qualità? A esorcizzare le paure?

Io penso che sia un po' tutto questo messo insieme: l'artista è il terapeuta dell'anima.

Alla prossima pagina.

La fine di una storia

Sto strutturando l'ultimo volume della saga dell'Anello di Saturno, un volume che deve chiudere tutto. In poco meno di 60.000 parole, deve risolvere l'intera trama che ho tessuto, affinché l'opera possa essere davvero conclusa. Ho intrecciato temi, tempi, luoghi, persone e motivazioni in un arazzo i cui fili, finora, sono ancora penzolanti.

"La risoluzione"...

Un concetto che sembra essere stato dimenticata in questa società in perenne disequilibrio. Ma è uno di quei passaggi di cui avremmo tanto bisogno, ma che non arriva mai.

Diceva Mamet, a proposito delle serie TV moderne, "Manca la catarsi". Manca perché la serie TV è un prodotto che vende; e secondo le leggi del capitalismo, un prodotto di successo non può essere mandato fuori produzione. A livello narrativo, la catarsi equivale a mandare fuori produzione una storia. È la fine, il momento in cui l'opera acquista un senso compiuto, geometrico; il segno che la distingue e che dà, a tutti i partecipanti alla storia, spettatore incluso, un momento di raccoglimento, di crescita. Un momento dal quale non si torna indietro e sono in pochi ad avere il coraggio di intraprendere davvero quella strada, nell'arte.

Quando si esce da una storia, si spera di essere migliori di come ci si è entrati. A questo servono le storie belle: a farci vivere esperienze, emozioni, ad aprirci le porte dei sentimenti, ma anche della mente, in modo da farceli conoscere. A farci scoprire nuove regole, nuovi aspetti dell'umanità, ad arricchirci, ma non di denaro, ma di umanità. Tuttavia, il denaro è uno dei motivi per cui la catarsi sembra essere scomparsa dal radar della narrazione. Come direbbe Don Abbondio: "Questa catarsi non s'ha da fare!". E quindi le serie TV prodotte industrialmente, con riaperture continue da parte delle major, per sfruttare e spremere fino in fondo le loro storie.

Attenzione, non è una cosa nuova. Se pensate che inizialmente le fatiche di Ercole erano dieci e poi, "magicamente", ne sono spuntate altre due, credo che anche lì ci sia stato qualcuno che ha detto: "Ehi! Ma questi episodi di Ercole sono andati benissimo, facciamone altri due!".

Io, però, sono della scuola teatrale greca: per me la catarsi è essenziale, così come la risoluzione. Anche perchè non esiste catarsi senza risoluzione. La purezza dell'emozione può emergere solo dal silenzio dopo il punto finale.

La catarsi che il lettore prova a opera finita è, in un certo senso, la risoluzione dell'opera stessa, dell'autore.

Ma cosa è davvero una risoluzione per me? Si può parlare di risoluzione, in vita? Io penso di no. Penso che il destino sia sempre dietro l'angolo e quello che noi consideriamo la fine di qualcosa, poisi rivela invece l'inizio di qualcosa altro, di ancora più grande.

E sarà proprio di questo che parlerà il mio narratore (il Destino, appunto) nella saga dell'Anello di Saturno, di cui, peraltro, ho ricevuto ieri la prima bozza di copertina, realizzata da Antonello. E più avanti ve la mostrerò.

Alla prossima pagina.

Oltre l'estetica

Nell'arte, conta più la forma o la sostanza?

Ci si potrebbe chiedere lo stesso delle persone, persino della società. Osservando i social, mi pare evidente che la bellezza, la forma, predomina. Ma perché?

Perché la bellezza è uno strumento fondamentale della sopravvivenza. E ignorarne la profonda e potente forza sarebbe come tentare di eludere il vento o la pioggia. Essa è parte integrante della vita. Tuttavia, considerata l'importanza delle parole e la necessità di usarle con estrema precisione, forse oltre che parlare di "bellezza", dovremmo parlare anche di "attraenza".

I fiori, nel corso di milioni di anni, hanno gareggiato per essere il più attraenti possibile. Perché? Perché da ciò dipendeva la loro sopravvivenza. Più un fiore attirava insetti, maggiori erano le sue possibilità di prosperare. E così sono nati i colori sgargianti, le forme sinuose ed eleganti. Questa è la natura stessa dell'evoluzione, un motore di vita fondato, anche, sull'apparenza.

E quindi, noi umani non siamo molto diversi dai fiori. Come affermo nella "Divina Avventura": "Siamo fiori solitari dal profumo inebriante, bellezze delicate dell’esistenza, esperienze effimere che appassiranno alla fine dei loro giorni." L'essere attraenti è quindi fondamentale anche nell'arte. Poiché l'opera, nel suo apparire "bella" agli occhi di chi la osserva, determina anche la sua capacità di toccare il cuore e le anime degli spettatori.

Mio padre, un informatico, mi ha sempre detto che la sua bella presenza lo ha spesso aiutato. Vi chiederete, in informatica, quale ruolo può avere l'aspetto fisico? È tutto una questione di matematica, codice, logica, no? Eppure, presentandosi bene a un colloquio, sorridente e con una postura eretta, le sue possibilità di essere assunto aumentavano.

Essere attraenti non riguarda solo l'aspetto fisico, ed è questo il punto cruciale di questa pagina. I canoni di bellezza mutano costantemente nella società, ma ciò che rende una persona attraente (non bella) sembra essere qualcosa che possiede una costanza maggiore, che dura nel tempo: Il rispetto, il sorriso, la protezione, la gentilezza, la sincerità, l'affidabilità sono i valori che rendono una persona attraente, indipendentemente dall'estetica.

Si potrebbe addirittura affermare che queste caratteristiche siano il vero contenuto della bellezza in una persona. Ciò che "conta" veramente. Non siamo definiti da ciò che sembriamo, ma da ciò che facciamo. Sono le nostre azioni a parlare. E se alimentiamo in nostri comportamenti con questa bellezza interiore, frutto di studi, di ricerche, di fallimenti, di successi, verremo percepiti positivamente da chi ci circonda, rendendoci attraenti perché - sembra una battuta- perché "belli dentro".

In un articolo precedente, ho discusso dell'importanza dell'amor proprio ed anche di essere in salute, perché un corpo sano ospita una mente sana. Lo confermo, ma ciò che conta ancora di più penso sia l'approccio olistico. Il nostro cervello è naturalmente incline a pensare in termini dicotomici: destra sinistra, bianco e nero, bello e brutto, bellezza o contenuto. Il primo passo, almeno per me, è smettere di classificare la realtà in base agli opposti, ma piuttosto identificare quali aspetti di me sono meno sviluppati e lavorare ogni giorno per migliorarli.

Comincio io: Il mio difetto più grande? Sono molto introverso e troppo permaloso. Devo imparare a sorridere di più e ad ascoltare gli altri.

Ecco, l'ho detto. Ora proverò a farlo.

Alla prossima pagina.

Il coraggio della rinuncia

Viviamo spesso in quello che viene anche chiamato "il dilemma di Icaro".

Icaro, figlio di Dedalo, lo visse nel momento in cui decise, andando contro il suggerimento del padre, di avvicinarsi troppo al sole. Come spesso succede, i miti greci ci aiutano a definire i nostri problemi e, a volte, a trovare proprio attraverso queste storie soluzioni per la nostra quotidianità. È questa la vera forza del mito, poiché non esemplifica un esempio preciso, bensì rappresenta piuttosto una metafora ad ampio raggio, che echeggia dentro di noi in maniera libera.

Icaro, figlio dell'architetto che costruì il labirinto in cui Minosse volle nascondere il minotauro, fu incarcerato insieme al padre all'interno del labirinto. Non avevano scampo: sarebbero presto stati uccisi e mangiati dal mostro, e nemmeno Dedalo era capace, tanto era complicato il labirinto da lui costruito, di trovare la via d'uscita. Così, insieme al figlio, decise di recuperare cera e piume d'uccello, con le quali fare ali per librarsi sopra le grandi mura e volare via dalla minaccia.

Il padre, premuroso e ferito nell'anima da un evento accadutogli in gioventù, quando il nipote, Taio, per eccesso di zelo festeggiò convinto di aver inventato lui la sega (che invece fu creata da Dedalo) e così facendo precipitò da un terrazzo e Taio morì tragicamente. Così Dedalo si preoccupava molto di dire al figlio di non avvicinarsi al sole, poiché la cera si sarebbe sciolta.

Sole… metafora del desiderio.

Sappiamo bene come andò. Il giovane, ebbro di libertà e di volo, desiderò salire verso il sole, toccarlo con mano e, chissà, magari incontrare il Dio che lo trascinava nel suo carro. Ahimè, proprio come aveva previsto Dedalo, le ali del figlio si sciolsero e Icaro precipitò rovinosamente nel mare, sparendo per sempre.

Tutti noi viviamo questo dilemma tra la razionalità e il desiderio. L'artista, per esempio, deve decidere quando fermarsi. Quando eccede nel darsi troppo, nel fare della sua fragilità un punto di contatto con chi lo segue, esponendo ferite ancora fresche che avrebbero bisogno di solitudine per rimarginarsi. Oppure quel momento in cui bisogna scegliere tra i soldi o la visione. Insomma, i dilemmi sono molteplici e, come ho detto all'inizio, si presentano a ogni uomo e donna di questo mondo, non solo agli artisti.

Quante volte vi siete trovati a dover fare una scelta, una decisione? Decidere: tagliare la testa alla vittima. La scelta, qualunque essa sia, è quindi una rinuncia. Ed è proprio in quella rinuncia che forgiamo il nostro carattere e definiamo, come le ali della farfalla, il nostro lontano futuro.

Ricordo bene quando decisi, molti anni fa, di rinunciare alla mia posizione vantaggiosa dentro al teatro stabile di Genova (ero un giovane regista pieno di promesse) per inseguire sogni di gloria nel cinema e nella televisione a Roma. Fu una scelta drastica, che cambiò per sempre la mia vita.

Quest'anno, per me, sarà all'insegna della scelta e del coraggio della rinuncia. La saga dell'anello di Saturno affronta questo dilemma nel suo senso più profondo, ma anche il videogioco che abbiamo creato con Untold Games gira attorno al concetto di scelte e ripercussioni. Piccole scelte, "atomizzate", ma che se messe una dopo l'altra, generano storie completamente diverse. E dovrò occuparmi a pieno dei semi da me seminati, e questo significa che ho dovuto rinunciare ad opportunità attoriali.

Vi lascio il link al trailer del videogioco, semmai foste curiosi di scoprire questo altro "lato" di me: City 20 - Official Announcement Trailer

E voi? Qual è la scelta che avete fatto che più di tutte vi ha definito come persone?

Vi aspetto nei commenti.

Alla prossima pagina

Il potere della memoria

La memoria... questa magica e inafferrabile realtà che vive dentro di noi, è stata fonte di ispirazione per centinaia, migliaia di autori. Proust, con la sua Madeleine, ne fece il tassello fondamentale dell'anima. Noi siamo la nostra memoria. E senza memoria, cosa saremmo?

Personalmente, ho sempre vissuto con un occhio verso il domani, piuttosto che al passato. Ho un approccio piuttosto diffidente nei confronti della mia memoria, forse perché non mi fido del tutto di essa. Ho spesso la sensazione che sia fallace. Per esempio, sono pessimo con i nomi. Non mi ricordo i nomi di nessuno, e questo mi porta a diventare molto chiuso, poiché, in un certo senso, il dubbio di non sapere con esattezza il nome della persona con la quale sto parlando mi mette in una situazione in cui preferisco non interagire. Ed ecco fatto l'introverso. Scrivendo, mi rendo conto che forse la mia introversione è proprio una questione di memoria. Forse, se mi ricordassi meglio i nomi, non sarei così timido.

Nei miei scritti, sia nelle poesie che nella prosa da romanzo, mi ritrovo spesso ad avere a che fare con il ricordo. Un ricordo che muta a seconda di chi lo ricorda. Mi viene in mente il film "Rashomon" di Akira Kurosawa, che affronta, appunto, la stessa scena ricordata da tre persone diverse. Ogni racconto differisce significativamente dagli altri, presentando versioni contrastanti degli stessi eventi, che gettano luce sulle complesse nature umane dei personaggi e sulla difficoltà di stabilire una "verità" oggettiva.

Il ricordo ha questo potere: riscrive la realtà vissuta, collocandola là dove ci viene meglio ricordarla. Il ricordo che abbiamo nella mente non è una fotografia esatta del momento vissuto, quanto piuttosto una fotografia di come stavamo noi in quel momento, della nostra - limitata - prospettiva. È una fotografia che più viene richiamata alla memoria, più muta, proprio per via della sua caratteristica fuggente e mutevole, quasi liquida. E così, quello che era una semplice giornata in spiaggia con gli amici prende nel tempo connotazioni favolesche, magiche, dalle atmosfere romantiche. Baci rubati.

Insomma, la memoria è una parte fondamentale di quello che ci rende umani. La società stessa non potrebbe esistere senza memoria. La cultura, l'arte, le scienze sono tasselli che vengono man mano registrati nella memoria collettiva e che creano, negli anni, strutture conoscitive gigantesche, che ci permettono di immaginare il nostro futuro, di diventare demiurgi della materia, di controllare la nostra vita. La memoria è conoscenza, esperienza, strumento di sopravvivenza.

Non posso esimermi dal pensare, però, che la memoria stia diventando, nel nostro mondo iper-digitalizzato, qualcosa di statico, di immobile. Le informazioni che registriamo sono così tante che non vi sembra più esserci spazio per l'attribuzione, per l'errore, per il margine di magia. I ragazzi nati ora avranno tutta la loro vita registrata, bit per bit, su internet. Foto, frasi, video, pensieri. Tutto sarà lì, a disposizione del prossimo. E così, il margine di mistero si fa sempre più sottile, sempre più inesistente, e questo mi dispiace, perché la magia del mito, sta proprio in quello spazio di ignoto.

Per questo scrivo i miei libri: per lasciare un segno marginale, indefinito, un luogo di mistero che dia al lettore la possibilità di rileggermi e di scoprire, in questo marasma di parole, qualcosa di sé stesso.

Alla prossima pagina

Audiolibro "Divina Avventura" Spedito

Perfetto, ti confermo che il primo audiolibro della "Divina Avventura" è stato spedito al tuo indirizzo e-mail. Gli altri seguiranno nei prossimi giorni.

A presto!

Come credere in noi stessi

La vita dell'artista è costellata da dubbi. Dubbi sulle proprie capacità, dubbi sulle scelte da fare.

Non esiste artista che non abbia dubitato, per l'intero arco della sua carriera, della propria arte, e, di conseguenza, di sé stesso. Pochi giorni fa, proprio tra i commenti a queste pagine del "Diario D'artista", mi fu fatta la domanda: "ma come si fa a credere in noi stessi se nessuno crede in noi?"

Una domanda difficile, alla quale non so se sono capace di rispondere. Voglio evitare le solite frasi fatte. "Credi in te stesso" "Sei tu il centro del tuo mondo" etc…

Comincerò col dire che il superamento dell'insicurezza non è semplicemente un atto di volontà personale, ma un processo complesso che coinvolge molteplici aspetti della nostra vita.

Se dovessi risalire alla prima fonte del problema e immaginare una soluzione che produca, sul lungo termine, effetti positivi, direi che forse trovare persone che credono in noi sia la prima cosa da fare. Una mia cara amica, divenuta negli anni un'ottima psicologa, un giorno mi disse che esistono due tipi di persone: quelle che tirano fuori il meglio di noi, e quelle che tirano fuori il peggio. Ecco, circondarsi delle prime e allontanare le seconde è sicuramente un'igiene costruttiva.

Un'altra via è quella della formazione e dell'incontro con maestri. I maestri si scelgono, quindi dipendono da noi, dal nostro desiderio. Attraverso i maestri acquisiamo non solo una profonda consapevolezza della tecnica artistica, dell'arte in generale, ma anche parte della loro corazza. Una difesa temporanea, forse, ma utile per tutti coloro che hanno la pelle sottile e l'anima fragile. La scuola d'arte può dare, all'artista in nascere, certezze illusorie che saranno utili a sconfiggere i primi demoni, quelli superficiali.

E poi c'è la vita, quella quotidiana, semplice, ma fondamentale. Nelle cose più semplici spesso risiede il segreto di un'anima forte. La nutrizione, l'amore per il proprio corpo, per la propria salute, sono elementi che aiutano a svegliarsi con un occhio positivo verso noi stessi. Senza esagerare, ovviamente, ma camminare, fare sport, mangiare bene e farsi piacere con moderazione sono tutti elementi che, se messi uno accanto all'altro, giovano non poco all'autostima.

E infine, proprio come dice il saggio "Mens sana in corpore sano", vi è la mente. Dobbiamo allenarla, stimolarla, nutrirla. Leggere i classici, guardare film che hanno superato l'esame del tempo, evitare il cibo (mentale) spazzatura, evitare di sprecare il nostro tempo in quei contenuti che non hanno un secondo grado di lettura, figuriamoci un terzo o quarto. Siamo nell'era in cui il volume e la quantità la fanno da padroni sulla qualità.

Quindi l 'artista deve quindi essere consapevole di cosa immette nel proprio immaginario, perchè solo una mente ben nutrita può produrre frutti succulenti.

Alla prossima pagina.

La fragilità dell'artista


A volte mi sento fatto di cristallo. Mi basta un niente per perdere fiducia in me e in tutto quello che faccio. Una folata di vento negativa, un momento in cui mi volto e non vedo nessuno, ed ecco che subito mi proietto in un universo di vuoto e fallimenti.

Immagino che succeda a tutti, che sia normale percepire quel vuoto esistenziale. Forse è dovuto a come uno ha dormito. Oppure al meteo. Ma quando succede, l'unico colpevole sono io. Ho la cattiva abitudine di sentirmi responsabile di tutto ciò che mi succede. Anche adesso che ho concluso il quarto volume della saga, in cui ho continuamente affrontato il contrasto tra destino e volontà, non riesco a non pensare che la situazione nella quale sono sia dovuta, perlopiù, alle mie scelte, ai miei desideri.

C'è da dire che mi manca da scrivere l'ultimo volume della saga. Forse il più importante. Quello in cui vi è la risoluzione, la conclusione, il mio punto di vista. E lo temo. Temo di dover fare una scelta tra questi due poli opposti della natura della vita. La volontà contro le intemperie del destino. Flavio, o tutto il resto?

Oggi che scrivo queste parole, mi sento fragile. È uno di questi giorni. Per fortuna ho accumulato, negli anni, un po' di esperienza, sufficiente a non farmi sprofondare. È come se avessi acquisito un piccolo agente nel mio cuore che quando percepisce che il limite sta arrivando, ferma tutto e dice: "Vai a dormire, vedrai che domani andrà meglio." e ormai ho imparato ad ascoltarlo.

Il timore è che al mio risveglio, quella sensazione sia ancora lì. E allora scrivo. Recito. Faccio, creo, sogno. Fuggo. Realizzo, nella speranza di dimostrare, prima di tutto a me stesso, che quello che faccio ha un senso.

La mia carriera si è mossa, fin dall'inizio, su vari distinti binari. Quello recitativo, performativo, che mi ha dato molte soddisfazioni, e quello artistico, registico, narrativo. Dentro di me brucia il sogno di lasciare il segno, di incidere, come una ferita, la mia anima nel tempo. Ma è difficile. Trovare l'equilibrio giusto tra forma, contenuto, tecnica e cuore, volontà e successo, è difficile. La volontà nasce da me, ma il successo dipende dal mondo. Un po' come il destino.

E così, in questa affannata ricerca di equilibrio, a volte, guardandomi allo specchio, mi chiedo se io non sia come Don Chisciotte, eternamente votato a combattere contro giganti che in realtà, non sono altro che mulini a vento.

Alla prossima pagina.

La buona scrittura

Ho concluso il quarto volume della saga dell'anello di Saturno. Ora, come mi ero promesso, lavorerò per alcune settimane sulla coerenza narrativa degli eventi di tutti questi volumi. Questo significa scrivere le date, tenere a mente il passaggio di tempo, ciò che i personaggi si sono detti, e fare in modo che lo sviluppo narrativo sia come una sequenza di domino che cascano uno dopo l'altro, in maniera naturale, senza che vi sia l'artificio del deus ex machina, a meno che non sia voluto.

Ma in questa fase di revisione, per quanto io mi trattenga dal lavorare sullo stile e la forma delle frasi, il mio occhio non può che cascare lì. Appena mi rileggo, ecco che parte in me l'editor che cambierebbe quella frase, quella parola, quella virgola.

Stephen King suggerisce, nel suo meraviglioso libro "On Writing" di scindere in maniera netta la scrittura dall'edizione. Cosa significa? Che la prima bozza deve essere brutta, illeggibile. La prima bozza non è per gli altri, è solo un suggerimento a noi stessi, un modo per incanalare la creatività in maniera fluida e cangiante. Per questo motivo è meglio evitare di renderla bella, per non fissarla.

Un altro grande scrittore, Chuck Palahniuk, racconta di come lui odi i software di editing di testo (come word, per intenderci) Il motivo? "Perché sembra già bello", dice. (Vi consiglio di guardare, se conosce l'inglese, l'incredibile intervista di Joe Rogan a Palahniuk, vi lascio il link sul sito. Occhio, sono contenuti espliciti: #1726 - Chuck Palahniuk - The Joe Rogan Experience | Podcast on Spotify)

Insomma, bisogna rimanere elastici, così da non affezionarsi alle proprie idee. Un'altra espressione inglese è "Kill your darlings" che tradotto fa più o meno "Ucciditi i tuoi preferiti". Questa frase sta a significare che spesso le idee alle quali siamo più affezionati, sono anche le più deboli e andrebbero eliminate. nel mio caso, per esempio, la storia dell'Anello di saturno iniziava in modo molto diverso. Si completava in due volumi. Ho dovuto lavorare molto su me stesso per trovare il coraggio di cancellare quel finale, e di produrre una storia nuova dalle sue ceneri. Chissà, forse un giorno ne parlerò più a fondo.

Questo lavoro di autodistruzione è delicato e va esercitato con precauzione ed esperienza. Ma devo dire che spesso mi è capitato di riscontrare in esso una grande verità. Questo non vale solo nel campo della scrittura. Marco Sciaccaluga, di cui ero allievo regista, spesso mi suggeriva di non affezionarmi alle mie idee registiche.

Che cosa è, quindi, la buona scrittura? Sono i temi? É la storia? O la prosa? Oppure la forma? Ovviamente, è un po' tutto questo messo insieme, ma anche quel talento che permette ad ogni bivio (e ce ne sono davvero tanti) di fare la scelta "giusta". Ma qui entriamo nel metafisico. Cosa sia giusto o meno per gli altri io non lo so, ma sento che dentro di me, a volte, c'è una bussola che si agita quando mi avvicino a qualcosa di interessante, e che si spegne quando mi ritrovo nel deserto.

Mi piacerebbe acuire questo senso, questa eccitazione che sale quando il filone è corretto. Riuscire a percepirla appena nasce, e poi soprattutto avere il coraggio di seguirla. Spesso ci riesco, ma spesso mi ritrovo a dover lottare con le voci interiori che mi castrano, che mi dicono che "no, è una scelta troppo difficile", oppure che potrebbe non piacere.

Bisogna avere coraggio, nell'arte. E quel coraggio non lo troverete nelle parole degli altri, ma solo in voi stessi.

Voi conoscete metodi per non avere paura del giudizio interiore? Per trovare il coraggio di seguire le vostre intuizioni? Ci sono tecniche? La meditazione, forse? Vi aspetto nei commenti.

Alla prossima pagina.

Il talento della volontà

A volte mi chiedo se ho talento.

Anzi, più che "a volte", è proprio una domanda ricorrente e costante nel mio percorso d'artista.

Non sto condividendo questo pensiero per avere conferme, tutt'altro, semplicemente per rassicurare chiunque si trovi in una situazione artistica che il dubbio è un elemento fondamentale e integrante del processo creativo.

L'arte ha un problema di fondo, irrisolvibile - per fortuna oserei dire, poiché la rende ancora una disciplina misteriosa - L'arte è soggettiva. Chiunque può dire che un libro è bello, o brutto. Non importa quanto importante sia l'autore. Si può dire che un dipinto è piacevole o blando. Non ci sono regole scritte che lo impediscono. Anzi, appena qualcuno prova a creare un manifesto, a definire ciò che funziona, ecco che arriva un cigno nero che riesce, con una semplicità disarmante, a trasformare tutto.

Mi ricordo la bellissima scena dell'Amadeus di Milos Forman in cui Salieri, (interpretato da un magnifico Murray Abrahams che conobbi sul set di Peter Greenaway), incontra per la prima volta Mozart che gli fa sentire una rivisitazione di un suo brano. L'operato di Mozart è perfetto, magico, allegro. Il primo terribile incontro con la genialità che porterà Salieri alla follia.

Quindi si, spesso mi dico che forse non ho il talento necessario per essere all'altezza delle mie ambizioni. Ma per fortuna, c'è un altro aspetto del mio carattere che in questi momenti di difficoltà interviene in mio aiuto.

Sono caparbio. Ho una volontà di ferro. E se mi metto in testa una cosa, c'è il rischio che non stacco più fino a che non sono riuscito ad ottenerla. Un tratto tipico degli ossessivi, ma che, lo ammetto, mi è stato molto utile in tutti questi anni.

"Ciò che il talento non può, la volontà sopperisce."

Molte cose non vengono dette dell'arte. Ma una in particolare non viene quasi mai espressa: nell'arte il talento non è che la punta dell'iceberg. Una minuscola parte dell'artista. Importante, certo, ma instabile, mutevole come la dinamite. Per lasciare che il talento danzi come una fiamma al vento, servono basi solide, robuste. Serve tecnica, disciplina, organizzazione. E per eccellere in tutte queste cose, serve la volontà. Il famoso desiderio di cui tanto parlo nella Divina Avventura.

La forza di volontà - ed è anche uno dei temi principiali della saga dell'anello di saturno - piega anche il destino. Nella mitologia giapponese, spesso l'eroe è dipinto come un uomo volto all'abnegazione, al sacrificio. Ha una volontà tale che si rialza dopo ogni caduta. Perde, ma non importa. Poiché ogni sconfitta è in realtà un insegnamento.

Il percorso dell'artista è costellato di cadute. Molte più delle vittorie. Ma man mano che si procede verso la maturità, la proporzione cambia, perché l'esperienza, frutto del desiderio di farcela, porta l'artista a capire di più su sé stesso, e sulla sua arte.

Quindi, piuttosto che chiederci come si sviluppa il talento, dovremmo chiederci come si sviluppa la volontà? Quale è il segreto per desiderare? La mia ricetta la conoscete: esplorare, scoprire, capire e trovare ciò che ci piace. E poi farlo, farlo e rifarlo fino a che, dopo 10.000 ore, dopo 1 milione di parole, l'arte diventa la naturale continuazione della nostra anima.

Ho 44 anni, e ancora sono alla ricerca della mia dimensione artistica. Chissà se un giorno la troverò. Forse l'ho già trovata e non l'ho ancora capito. Un'unica cosa è certa: come una trottola impazzita, continuerò a girare fino a che avrò energia.

E voi in cosa credete? Nel talento o nella volontà? Oppure in un misto dei due?

Piccola nota a margine, forse alcuni di voi lo hanno già notato, ma ho creato una nuova sezione del sito, che si chiama"Eventi" che in sostanze è il calendario degli eventi e dei firmacopie che farò in giro per l'italia. Come vedrete, è previsto che venga a Latina, a Frascati, nel pieno centro di Rome e Udite udite, Napoli! Per i dettagli, è sufficente guardare la pagina. Non vedo l'ora di vedervi!

Alla prossima pagina.

Una sorpresa per te

Ho scelto, come narratore della saga dell'Anello di Saturno, il Destino: un personaggio interessante e, a quanto ne so, davvero poco usato in narrativa.

Ho cominciato a scoprirlo man mano che la saga si dipanava davanti ai miei occhi. Un essere superiore, che trama l'universo e sa cosa succederà, ma anche cosa sarebbe successo se… Ama l'ordine, le direzioni chiare, i piani ben congegnati.

E ha un solo nemico: Amore.

Amore, un essere caotico, potente, selvaggio, indipendente. Vettore di confusione, di attrazioni, di pensieri che non pensano, e di cuori che non smettono di pulsare. Amore che, con un bacio, riesce a sfilare anche la più intricata trama del destino.

Quindi, visto che la saga è, in buona sostanza, una magica storia d'amore, chi, se non colui che odia l'amore, sarebbe stato il mio perfetto narratore? Il Destino.

Ovviamente, questa dimensione di colui che racconta la storia non è altro che la confezione della storia, la sua pelle più superficiale, ma non certo la sua anima o il suo cuore. Attraverso questa saga, ho cercato di maturare la mia scrittura. Consapevole di peccare di eccessiva densità, dovuta soprattutto al mio amore per la poesia sintetica ed essenziale (le mie poesie, le potete leggere qui sul mio sito, sono molto brevi ed intense, amo quel tipo di impatto). Insomma, ho compreso, con la divina avventura, che la densità può rivelarsi un'arma a doppio taglio. Permette di essere molto profondi in poco spazio, di toccare vette di forma e contenuto, ma il costo è la concentrazione richiesta al lettore per apprezzare a fondo il lavoro di incastro che l'autore ha fatto.

Quindi, In questa saga, senza abbandonare la mia natura, che ovviamente ha fatto di tutto per tornare, ho lottato contro il desiderio di essere conciso e ho cercato di dare aria alla mia prosa. Ecco un brano della saga dell'Anello di Saturno.

Luca scendeva i grandi scalini dietro piazza Cavour, numerosi ma bassi e agevoli. Con lo sguardo incollato allo schermo del Game Boy, illuminato dalla luce gialla dei lampioni, giocava a Tetris con grazia e calma. La batteria del gioco era ormai quasi esaurita, segnalata dalla spia rossa più debole del solito. Quando la spia lo abbandonò, tutto si spense improvvisamente. Luca si arrestò, e alzò lo sguardo per la prima volta.
Si trovava in fondo alla scalinata, di fronte agli alberi del parco, lontano dalla piazza. Alzando gli occhi verso la piazza, intravedeva ancora la punta del monumento ai caduti, ma i rumori del borgo erano scomparsi. L'odore della natura riempì le sue narici e notò il silenzio dei grilli, un'insolita quiete piacevole e cullante.
Il cielo era tempestato di stelle, più brillanti di quanto le avesse mai viste. «Sono così tante…», pensò, ammirando la Via Lattea visibile a occhio nudo e individuando pianeti come Marte, Venere e Saturno in un colpo solo.
Poi si accorse di non essere solo. A una decina di metri da lui, alla sua sinistra, sedeva una ragazza sotto la luce gialla dell'unico lampione acceso. Era ferma, con le ginocchia piegate, un libro in mano e una sigaretta spenta tra le labbra.

Ecco. Ora, senza neanche saperlo, siete diventati lettori della saga! Spero che questo piccolo anticipo vi abbia fatto piacere. Ho scelto un brano che anticipa e racconta, ma che non svela nulla, se non la sensazione di quel mondo in cui spero vi tufferete insieme a me: il mondo di Luca e Anna.

Ovviamente, attendo i vostri commenti qui sotto sul sito 🧡

Alla prossima pagina.

Un firmacopie disastroso


Mi conoscete, non sono un divo. Tutt'altro. Provo ad essere radicato al suolo, forse proprio per questo mio essere stato sradicato così tanto da giovane, sento la necessità di essere gentile con tutti, anche con chi non incontrerò più. È un modo per lasciare un segno positivo nel mondo, per migliorarlo, se vogliamo. Perché a volte, basta un grazie per far sorridere qualcuno.

Ma ciò che sto per raccontarvi mi ha fatto davvero incavolare. Come sapete, sabato scorso avevo un firmacopie in una grande libreria romana. Non farò il nome, chi vuole può andarsela a cercare. Premetto che so che ogni libreria agisce in piena autonomia, e che vi sono dei limiti, anche legali, su cosa si può o non può mettere all'interno di uno spazio pubblico. Poiché vanno rispettate certe distanze per i passaggi etc.

Ma vi pare normale che un autore, che va in una libreria a firmare delle copie (si spera) del proprio libro, non venga fornito di un tavolo dove sedersi? Io lo trovo allucinante. A prescindere che fossi io un attore di TV o un giovane autore, non importa. Ognuno merita il buonsenso. Se vi dico di chiudere gli occhi e immaginare così, come uno scatto fotografico, un autore che firma copie, voi cosa vedete? Vedete il lettore che dà la sua schiena a gobbo per permettere all'autore di firmare? L'autore che pianta il libro al muro e cerca con una mano di scrivere in verticale?

No, vedete una persona, tranquilla, seduta al tavolo, con una pila di libri a destra e sinistra, una fila di persone che aspettano, e lui che, sorridente, firma e restituisce le copie.

Quindi potete immaginare cosa ho pensato, alle 11 precise, quando sono arrivato nella libreria e ho visto questo:

Devo dire che sul momento mi sono sentito piccato, poi ho chiamato la casa editrice, cercando di capire se fosse normale (io non essendo di questo mondo, potevo anche avere un'idea sbagliata), e le risposte sono state "ma no, normalmente c'è un tavolo". E te credo.

Visto che l'orario non era proprio diciamo "leggero" (11-19), appena mi sono visualizzato lì, come una zucchina in mezzo ai libri, seduto su uno sgabello, vampate dello straniero di Camus mi sono ritornate nel cuore. No, io così no. Ecco cosa mi sono detto. Mi vergognavo anche un po', temendo che fosse divismo, ma poi ci siamo detti: "no, non esiste!" e alle 13 sono andato via a malincuore.

Dico a malincuore perché so che molti di voi erano venuti nel pomeriggio, nella speranza di incontrarmi, e purtroppo non c'ero. Ho chiesto scusa, e mi prendo la responsabilità di questo gesto.

Ma a volte, bisogna esprimere la propria necessità di rispetto. Non fa bene solo a chi lo fa, ma, si spera, anche a chi ascolta.

Alla prossima pagina.

Disiscrizione Avvenuta

Ti auguro una splendida continuazione 😊

Dall'Idea al Libro

Ieri ho parlato con Aurora, la mia editrice e le ho esposto la saga dell'Anello di Saturno, provando, in pochi paragrafi a riassumere quello che sarà a tutti gli effetti un grosso libro da 1300/1500 pagine suddiviso in cinque volumi.

Potete immaginare quanto sia difficile riassumere questa mole di lavoro in poche parole. Per fortuna, usando la mia "tecnica della pizza" (quella in cui parto da un aneddoto, una piccola frase e poi la espando) mi basta dire l'aneddoto iniziale per dare più o meno un'idea della storia.

"Una magica storia d'amore, narrata dal Destino."

Sono molto impaziente di farvela leggere, e questa volta, se va tutto bene, dovrei riuscire anche a farne un audiolibro completo. Quindi, proprio come per la Divina Avventura, il primo capitolo del volume sarà offerto sul mio sito, sia in formato testuale che letto da me, e poi, come prima le versioni Ebook, Cartacea su Amazon e l'Audiolibro.

Ma c'è di più, Aurora è fortunatamente rimasta entusiasta del poco che le ho comunicato e insieme abbiamo deciso di accelerare i tempi di sviluppo e di pubblicazione della saga. Non posso ancora dirvi il motivo di tale accelerazione, ma vi prometto che ne varrà la pena. È una scelta che mi mette in difficoltà, perché significa che devo andare un po' più veloce del previsto, ma le occasioni non si devono perdere, e se serve rimboccarsi le maniche per riuscirci, sono il primo a farlo.

Peraltro, sono anche abbastanza avanti nella scrittura, ad oggi sono arrivato al 60% del quarto volume. Questo significa che il traguardo è vicino. Ma come dicevo alcune pagi ne del diario fa, la saga ha preso vita, e come un fuoco lasciato in mezzo alla steppa, incendia tutto quello che tocca. Scrivendo il quarto volume, mi rendo conto che dovrò tornare indietro di molte pagine a riaggiustare tante cose, perché è la storia che lo chiede. I personaggi diventano persone, più precise. I loro desideri sono chiari, i loro intenti e i loro modi di fare anche. Mi è ora evidente quanto la scrittura metta a fuoco le idee dello scrittore.

Sono uno che progetta ogni cosa, ogni dettaglio, ogni svolta. Eppure, mi ritrovo, inevitabilmente, con una storia che ad un certo punto mi impone di farla respirare come vuole lei. Quando succede, so che ho intrapreso la strada giusta.

Per ricapitolare, devo pubblicare il primo volume, ma io sono convinto di dover concludere il quinto volume, prima di farlo, perché voglio dare all'intera saga una coerenza interna forte. Ma come faccio a concludere addirittura il volume cinque in tempo? Soprattutto considerato che avrò anche da fare le seconde e terze stesure di ogni volume… poi c'é la società di videogiochi, e il diario d'artista, la mia vita… insomma, era una bella gatta da pelare.

Ho scelto quindi di scrivere il quarto volume, e poi di fare un trattamento molto particolareggiato del quinto. Ma non lo scriverò, non lo svilupperò, lo terrò al caldo, da curare con calma e amore. Quando ne avrò fatto un trattamento, tornerò al primo volume e lo infiocchetterò in modo perfetto, per la pubblicazione.

E quando il primo volume sarà pubblicato diventerò "legato" ad esso, egli diventerà il faro per la coerenza interna della saga. E non si torna indietro.

Sarà un'avventura, in tutti i sensi. Solo che questa volta non sarà "Divina", bensì "Romantica".

Alla prossima pagina.

L'abito fa il monaco

Diventiamo la maschera che portiamo.

C'è un detto, "L'abito non fa il monaco." Oggi vorrei sfatare questo mito e spiegare come, secondo me, l'abito faccia il monaco eccome.

Lo so per esperienza, di abiti io me ne intendo. Ogni volta che indosso un personaggio, qualcosa di esso rimane in me. Un ricordo, un pensiero, qualcosa che piano piano cresce, come un nuovo albero, introducendo nel vecchio Flavio nuovi concetti, nuovi sentimenti, nuove visioni del mondo.

È uno dei più grandi lussi della recitazione: quello di vivere la vita altrui. Non solo perché è molto divertente, e lo si fa in una situazione controllata, in cui parole, azioni e reazioni sono già state scelte, ma soprattutto perché l'attore ne rimane arricchito. E non parlo del portafoglio, ma del bagaglio umano che abbiamo in noi.

Spesso si parla di "entrare nella parte", cioè riuscire a comprendere appieno il personaggio, i suoi desideri, le sue movenze, i suoi pensieri. Non ho mai avuto problemi a farlo, perché in sostanza, non l'ho mai fatto. Non credo nella recitazione che prova a dipingere un altro da me. Credo in qualcosa di più semplice: esporre la mia anima, e metterla nelle condizioni di essere sincera, umana, emozionante.

Questo significa che non sono io, con le mie scelte attoriali, a dipingere il personaggio. Non sono altro che un tramite che, con l'aiuto di costumi, trucco e parrucco, dà vita ad un altro Flavio, che vive in un'epoca diversa, che dice parole diverse (scritte da qualcuno che, quello sì, ha avuto il compito di immaginarsi un essere umano diverso).

Quindi quando intendo "l'abito fa il monaco" intendo dire che il mio modo di arrivare al "personaggio" se così possiamo chiamarlo, non è di fare una ricerca interiore, di inventarmi il suo passato familiare, storie di cui non si parla nemmeno in sceneggiatura. No, il mio compito è dirla bene, essere sincero e comprensibile. Il resto lo fa "la magia del cinema" (e cioè il montaggio, la regia, i reparti, etc...)

Per me, l'attore diventa monaco indossando gli abiti del monaco. Ma è la sua capacità a toccare le corde dell'anima che giustifica il suo cachet.

Ma c'è di più. Sapevate che a forza di portare una maschera, ne diventiamo noi stessi lo specchio? A forza di essere burberi, per esempio, diventiamo burberi dentro. A forza di sorridere, la nostra anima sorride. A volte sforzarci di essere quello che non siamo in quel momento, è il primo passo per diventare quello che desideriamo.

Grotowski, grande teorico della biomeccanica e del teatro fatto di carne, ossa, sudore, uomini, spesso esponeva un aneddoto. L'aneddoto del grizzly: "Poniamo che siete in una foresta e davanti a voi appare un enorme grizzly, terribile, spaventoso che vi punta. La prima cosa che fate è fuggire. Ma la mia domanda è. Avete paura e quindi fuggite, oppure fuggite di riflesso e la paura vi viene mentre state correndo via dal pericolo?"

Ecco qua, queste sono le due scuole di pensiero della recitazione. La prima è detta Stanislavskiana o Strasberghiana (Actor's studio), parla della nascita dell'azione (cioè della fuga dal grizzly) partendo dall'interiorità (cioè dalla paura che nasce dentro). La seconda, la scuola Grotoswkiana, ipotizza che invece la "maschera" generi lo stato d'animo interiore. Cioè che sia la fuga a generare la paura e non il contrario.

In poche parole, se volete indurre in voi la felicità, ci sono più strade: potete pensare a qualcosa che vi rende felice, e fare la scuola Strasberghiana, oppure potete sorridere e basta, e i pensieri felici verranno da soli.

E voi, quale delle due preferite?

Alla prossima pagina.

Lavoro e Passione

Chi mi conosce lo sa: ho fatto tanti lavori, soprattutto in gioventù, lavori creativi come assistente alla regia, autore, regista, montatore, ma anche lavori opposti alla direzione artistica che poi ho intrapreso.

Quando ero ventenne, ho fatto il cameriere per una stagione. Doppio turno, ristorante di pesce. L'anno successivo ho lavorato come magazziniere nella società di trasporti nella quale lavorava mia madre. Un paio di mesi difficili, ma utili. Ho anche fatto il tecnico luci in vari spettacoli teatrali, montaggio e smontaggio della scenografia. Erano lavori faticosi, che mi hanno insegnato molto sul valore che la nostra società dà alla fatica fisica: ben poco.

A scuola, non sono mai stato il migliore della classe. Anzi si, lo sono stato quando non serviva studiare, verso gli 8 anni. Mi bastava ascoltare per essere brillante. Poi, con il crescere dell'età mi sono allontanato sempre di più dalle cattedre e dall'interesse nel sistema scolastico. A parte alcuni maestri che - pur non essendo stato io il loro pupillo - mi porto nel cuore, i ricordi che ho delle aule scolastiche e del sistema nel suo insieme sono tristi: poco entusiasmo, poca passione, molta imposizione. Capisco che è nella natura dei sistemi essere così, ma non fanno per me. Ho un'avulsione naturale per il potere.

Ben presto ho capito di amare la pratica. Se posso applicare ciò che mi viene insegnato, allora ne divento ghiotto, mi entusiasmo e mi impegno molto di più. Ma se sono costretto a studiare qualcosa solo perché devo, senza ricevere un vantaggio diretto da una immediata applicabilità, allora perdo l'interesse.

È un limite, ne sono consapevole, ma sono fatto così. Non a caso ho cominciato a studiare davvero in età quasi adulta, quando le mie passioni erano emerse e stavo comprendendo cosa mi interessava approfondire. Studiare mi aiutava a precorrere la strada d'artista che sto ancora scoprendo.

Il lavoro e la passione... antagonisti che dovrebbero essere sinonimi. Il lavoro rientra nella sfera del "devo" mentre la passione in quella del "voglio". Come sarebbe bello se formassimo le nuove generazioni con l'intento di insegnargli ad unire queste due cose, invece di dividerli!

Come diceva Confucio: "Scegli il lavoro che ami e non lavorerai un giorno in tutta la tua vita." Facile da dire, ma non così facile da fare, perché la vera difficoltà è scoprire quello che ci piace. Perchè nel mondo ci sono così tante cose.

Come possiamo fare per scoprire ciò che amiamo?

Io credo curiosando tra le insenature della società, leggendo prospettive originali, camminando per le strade con il naso all'insù, guardando dove gli altri non vedono, e continuare la ricerca di cose nuove, facendo, giocando, scoprendo, cercando anche la crisi.

Perché così facendo, piano piano, seminerete piccoli segni apparentemente confusi sulla tela della vostra vita. Ma abbiate fiducia, vedrete che succederà qualcosa di magico: ad un certo punto, quei puntini si uniranno da soli e disegneranno il vostro destino.

Alla prossima pagina.

Come essere felici

La felicità, bel mistero.

In un film che girai ormai più di dieci anni fa, chiamato "Io sono l'amore", il personaggio di mia sorella, interpretata dalla bravissima Alba Rohrwacher, alla mia domanda "Sei felice?" rispondeva con: "Felice non si dice, è una parola che immalinconisce."

Non sono d'accordo. "Felice" si dice eccome!

Chi conosce il film sa che questa frase proveniva dall'ambiente borghese Milanese del nord, un po' freddo, lasciatemelo dire, persino per me che vengo da Parigi. "Felice" si dice. Anzi, la felicità dovrebbe essere un faro che ci guida quotidianamente nelle nostre scelte. Certo, tutto deve essere mediato da equilibrio: prima di tutto la nostra felicità non può diventare causa dell'infelicità altrui.

Inoltre, è importante ricordare che la spinta alla gioia, all'entusiasmo, al lato bello delle cose, deve essere coltivata ogni giorno, proprio per non farla scemare in quel grigiore che si porta via il sole.

Ma come si fa ad essere felici? Mi viene in mente un aneddoto divertente che mio padre mi disse un giorno in macchina: "Vuoi controllare la tua felicità? Fai come quel monaco tibetano, che passava tutto il giorno a frustarsi i cosiddetti. Viveva tutte le sue giornate in un dolore inenarrabile, e non si fermava mai." "Vabbè ma così mica era felice" dissi. "Certo che no. Ma quando smetteva, lo era. Se davvero vuoi controllare la tua felicità, ti tocca fare così: controlla la tua infelicità, ma non ne vale la pena." Quanta saggezza. È proprio così, non si può controllare la felicità, essa viene e va.

Però, sotto sotto, sono convinto che ognuno di noi sappia ciò che lo rende triste o malcontento, e anche ciò che lo rende una persona migliore. Forse essere felici vuol dire proprio questo: Fare qualcosa che ci rende una persona migliore di quella che eravamo prima. Non intendo in maniera etica o morale. Non voglio dire di fare beneficenza o occuparsi dei più deboli (che comunque ben venga), intendo che dobbiamo stimolare quell'agente interno che ci fa sorridere. Perché quando facciamo qualcosa che ci fa sorridere, lo facciamo meglio e più a lungo. É il sorriso a renderci migliori.

Così, ora mi chiedo: cosa mi fa sorridere? Quale è il pensiero che mi riempie di felicità e speranza e mi regala un sorriso? Penso che in questo frangente della mia vita, oltre a mia figlia, (ma li vabbè, gioco facile) forse è scrivere. Scrivere produce in me reazioni ambivalenti: a volte mi intimorisce, certo, ma il più delle volte provo un vero entusiasmo nel perdermi nelle storie, nel cercare di stupirmi raccontando, scoprendomi a mia volta.

Mi fa sorridere persino scegliere la forma giusta, le parole giuste, il punto e il capoverso giusto. È proprio il processo nella sua interezza che mi entusiasma. Addirittura, mi entusiasma anche l'idea di farlo diventare un lavoro, un'impresa. A proposito, come avete visto, ho rifatto il sito internet, che è la casa dal quale parte un po' tutta questa mia avventura da scrittore ma anche da attore, regista produttore.

Se lo spulciate un po', se leggete le mie poesie, che interpreto, oppure date un occhio alla mia biografia, capirete che questa avventura creativa non è certo nata ieri. Anzi, ha radici molto profonde che risalgono persino a tempi antecedenti il mio percorso di attore.

E a voi? Cosa vi fa sorridere? Vi aspetto nei commenti.

Alla prossima pagina.

Svolte del 2024

Voglio ancora parlare del futuro.

Questa volta per informarvi di tutto ciò che mi aspetta quest'anno. Sento che sarà un anno importante, in cui la mia vita prenderà strade inesplorate. Un "turning point", come lo chiamano in gergo tecnico quando si scrive una storia: il momento in cui tutto cambia, in cui un evento sposta la direzione della storia e ci tiene incollati, in attesa del proseguio.

Quest'anno mi aspettano: una miniserie, un film TV, una daily, vari eventi firmacopie, la partecipazione a festival letterari, la pubblicazione di 2 o 3 volumi della saga de "l'Anello di Saturno" e il nuovo videogioco realizzato dalla mia società di videogiochi. Per non parlare del resto: la vita, i doveri, i piccoli piaceri quotidiani e soprattutto uno spazio per l'ignoto, per l'inaspettato.

Adoro arrivare con almeno dieci minuti di anticipo a ogni appuntamento. Adoro camminare. Adoro avere una bolla di vuoto in cui perdermi totalmente nell'osservazione, nella contemplazione di ciò che mi circonda e di ciò che ho dentro. Spesso, quando vado a giocare a scacchi al bar del Fico, cammino; mi permette di riattivare quella freschezza vitale che poi mi dà la carica. E m i fa sorridere.

Voglio poi vedere mia figlia crescere. Già ora, che ha sei anni e mezzo, è uno spettacolo alzarsi e vedere che ragiona meglio del giorno precedente. Sa comportarsi, capisce che ci sono situazioni in cui certe cose si fanno e altre no. Ha un talento spiccato per lo sport, l'espressione, il ritmo e la musica. Ma è anche schizzinosa sui vestiti da mettere. Ieri mi ha detto che una sua amica le ha prestato lo smacchiante per togliersi il rossetto che si era messo sotto gli occhi per sembrare uno zombie. Ha già delle amiche che le prestano lo smacchiante! La vita è davvero inarrestabile.

Tra un mese circa, finirò di girare "Il Paradiso delle Signore" e mi dedicherò molto di più alla saga. Devo assolutamente chiuderla entro fine aprile, al massimo metà maggio. Ho la necessità di farlo perché mi rendo conto che più vado avanti a scrivere, più la storia assume contorni personali, indipendenti, che mi costringono a tornare indietro e riscrivere pezzi sempre più ampi. Sono certo che l'ultimo volume, proprio per come è pensato, mi costringerà a rivedere molte sfaccettature, non solo di personaggi che si realizzano al massimo nel quarto volume, ma dell'opera stessa, del messaggio che veicola nella sua ampiezza.

Per me, un'opera non può non viaggiare su vari livelli: certo, c'é quello diretto delle parole, degli eventi, delle passioni e desideri. Ci deve essere qualcosa in più, qualcosa di filosofico, di spirituale. Qualcosa che non solo ampli le vedute, ma apra il cuore. Una visione, se così possiamo chiamarla, del mondo nella sua complessità.

Ecco, devo fare tutto questo entro aprile! Scappo.

Alla prossima pagina!

Vivere Il Futuro

Il 2024 sembra fantascienza, altro che "2001 Odissea nello spazio".

Mi sento in un mondo che sta cambiando velocemente, così velocemente che penso di perdere la maggior parte degli eventi che verranno davvero ricordati. Tento in tutti i modi di stare al passo con il progresso. Chi mi conosce sa del mio penchant tecnologico. Sono figlio di un informatico e la scienza in generale mi affascina: quella delle stelle, la fisica, la biologia, la tecnologia. Tutti campi che sono esplosi negli ultimi secoli e che ora, grazie all'avvento di elettricità, transistor, microchip, stanno diventando qualcosa che sembra non avere più limiti. Sembra che tutto sia a portata di mano. Viviamo in un presente giá nel futuro. È una cosa stupenda, per me bambino che adoravo la fantascienza, è un'esperienza magica, che tra l'altro, mi rendo conto ora scrivendo, è la stessa che ha, in un certo senso, il protagonista maschile de "l'Anello di Saturno".

Si chiama Luca. Avrò modo di parlarne.

Insomma, cosa ci aspetta in questo 2024? Altre guerre? Un nuovo social network? Una nuova influencer? Che bello sarebbe se invece di tutto ciò, avessimo di fronte mesi pieni di gente che fa la pace, di bambini che cominciano a giocare con la natura, e di avere, in prima serata su Rai Uno, qualcosa che ci faccia davvero, e dico davvero, rimanere incollati allo schermo.

Sono un po' saturo di film e di serie TV. Forse perché sono bombardato di serie dall'avvento delle piattaforme, ora ce ne sono più delle M&M's nel mondo. E si sa, se un prodotto si moltiplica, il suo valore diminuisce… E soprattutto, le M&M's dentro, sono tutte uguali. Certo, cambia il colore, giallo, rosso, blu, verde ma in fondo, sempre una nocciolina, cioccolato e zucchero sono. Ecco, molte serie e film degli ultimi anni mi danno un po' questa sensazione. Quanto mi piacerebbe perdermi di nuovo in un "Breaking Bad", "Lost", "24" o nella magia dei film di Spielberg e Zemeckis degli anni 90.

E poi, mi sembra che tutto venga venduto come un capolavoro. Il marketing la fa da padrone, e quindi tutti si sentono in obbligo di sbracciare per farsi vedere. Siamo come al mercato: "Coccooo!" "Patate buonissime!" ma invece del gusto al palato, si urla al capolavoro.

Ma in questo entra in gioco il giudice supremo: il tempo. Il tempo è tiranno, ma è anche giusto. Il tempo decreta - nel tempo appunto - il vero valore intrinseco dell'arte. Non a caso molti geni sono morti poveri. Mozart in una fossa comune, Van Gogh nella miseria e molti, molti altri.

Come fare, quindi, per fare pulizia di tutto questo caos che subiamo quotidianamente? Io fuggo, mi rifugio dentro la mia immaginazione, o tra gli abbracci di mia figlia, della mia famiglia, e mi piacerebbe anche di più dei miei genitori. Che non vedo abbastanza. Ecco, nel 2024 voglio vedere di più i miei genitori. Se lo meritano. Hanno fatto tanto per me. E ho la fortuna di averli ancora accanto .

Domani li andrò a vedere.

Alla prossima pagina.

Grazie

Ti auguro una splendida lettura e aspetto con ansia la tua recensione 😊

Tempo di cambiamenti

Anno nuovo, vita nuova!

Il tempo è un'illusione, eppure il suo effetto su tutti noi è manifesto e inarrestabile. Cosa rappresenta una data, se non un punto immaginario in uno spazio immaginario? Tuttavia, ci ritroviamo qui, pronti a celebrare ogni volta che possiamo quella frontiera costituita da minuti, anni e secondi.

Devo ammettere che i compleanni non mi piacciono. Mi vergogno di festeggiarmi, almeno non pubblicamente. Preferisco gratificarmi personalmente, magari concedendomi una deliziosa cena di coppia in un ristorante romantico, o un viaggio verso località inesplorate.

E se non mi piacciono i compleanni, potete immaginare il mio pensiero sul Capodanno. Abbiamo stabilito che in quel momento, tutto cambia. Che "da ora in poi, sarò finalmente la migliore versione di me stesso." Ma, diciamolo francamente, è solo un pretesto. Un modo per nascondere sotto il tappeto tutta la polvere accumulata durante l'anno, sperando che scompaia magicamente.

Le nuove risoluzioni sono una iniezione di fiducia, ma anche una forma di autoinganno. Il cambiamento avviene gradualmente, passo dopo passo. Esiste una regola non scritta nella realtà: ciò che si costruisce lentamente, si dissolve con la stessa lentezza. Più accurata e organica è la costruzione di una trasformazione, più solido e duraturo sarà il risultato. È come nella cucina: una cottura lenta, priva di fiamme violente, fa emergere sapori intensi, che rimangono impressi non solo al palato, ma anche nella memoria.

Il tempo... è una costante mutevole, che varia a seconda del nostro stato d'animo. Scorre velocemente quando siamo felici e sembra eterno nei momenti di apatia o tristezza. Il tempo è un concetto così affascinante che ne ho fatto il tema centrale della saga dell'Anello di Saturno. Benché sia stato esplorato in mille modi, sono convinto di poter offrire una prospettiva unica e originale. E questo 2024, si sa, sarà l'anno di Saturno!

Insomma, il nuovo anno è arrivato. Ma non solo il nuovo anno, anche il nuovo mese, il nuovo giorno, anzi, la nuova ora, il nuovo minuto! Tante avventure quante le stelle nel cielo!

Buon anno a tutti. Vi auguro una continua e graduale trasformazione verso l'apice dei vostri desideri.

Alla prossima pagina.

Magia del Natale

Natale.

Cosa rappresenta il Natale? In un certo senso, ritengo che questa festività, come ogni bene di valore che possediamo, sia carica di una storia da raccontare. Immaginiamolo come il protagonista di un racconto.

La storia di come nacque il Natale.

C'era una volta, molto tempo fa, un popolo di uomini primitivi, intelligenti, con grande potenziale davanti a sé, ma ancora troppa poca conoscenza. Persone piene di miti, di leggende. Vivevano in un mondo magico, dove ogni cosa era intrisa di mistero. Senza atomi, senza sole, senza neve. Ogni evento era un atto misterioso.

In questo mondo, c'erano la luce e la notte, il sole e la luna. E quanto era spaventosa la notte! Con tutti quegli animali pronti a mangiarli, i suoni della foresta. Un luogo in cui bisognava rifugiarsi in fondo alle caverne per avere la certezza di non essere aggrediti di notte, nel caso in cui il fuoco si spegnesse.

E che sollievo, quando nella notte del 21 dicembre, la notte iniziava ad essere più corta del giorno precedente. Un momento di sospensione, di introspezione, in cui finalmente si prospettavano le giornate felici della primavera.

Quella data, (che ancora "data" non era, poiché il tempo ancora non aveva nome), era un punto di svolta nella natura, un momento climatico cruciale. Un momento in cui tutto diventava più bello. E così, si scambiavano regali, augurandosi, con quel dono, una promessa di fertilità, di opulenza.

Fu così che per centinaia, forse migliaia di anni, gli uomini celebrarono la rinascita della vita, del sole, della luce. Man mano che la realtà si delineava davanti ai loro occhi, che nascevano i primi pensieri, la filosofia, le religioni, la scienza, il mondo acquistava un senso, la nostra capacità di prevedere il futuro si rafforzava. E dopo la nascita della parola, la scoperta delle stelle e del sole, quel giorno magico fu battezzato "il solstizio d'inverno".

"Solstizio", dal latino "solstitium", composto da "sol (sole)" e "stitium (stasi, fermo)". Il momento in cui il sole si ferma.

"Inverno", dal latino "Hibernus", la stagione fredda.

Il momento in cui il sole si ferma, durante la stagione fredda.

Dopo avergli dato un nome, gli attribuimmo anche un significato più elevato, filosofico, umanistico. Il momento della nascita della vita. Nacquero storie e racconti sulla magia di quel momento, che trovò, in ogni luogo e ogni epoca, un'identità diversa, ma che veicolava lo stesso messaggio.

E fu così che il Natale arrivò fino a noi. Tralascerò il modo in cui il costume di San Nicola, dal verde, divenne il rosso e bianco di Babbo Natale, influenzato, diciamolo, dalla pubblicità della Coca-Cola.

Ma a noi che importa? Ciò che conta è che da ora in poi, ci sarà sempre più luce e sempre meno buio.

Buon Natale a tutti voi.

PS: queste vacanze il diario d'artista uscirà solo una volta alla settimana, e poi si riparte!

Cuori contro circuiti

Tutto ha un prezzo, si dice. Ma si sostiene anche che ciò che ha davvero valore non può essere comprato. È davvero così? Cosa conta veramente nell'arte? Il prezzo dell'opera ne definisce il valore? Questo dilemma complesso introduce elementi che spesso gli artisti desiderano distinguere in modo netto e definitivo: arte e soldi, poesia e marketing.

Voglio però sostenere tutti coloro che credono che entrambe le cose possano coesistere. Un artista può essere anche un imprenditore, anzi, dovrebbe esserlo, poiché l'arte è espressione. L'espressione vive quando ci sono orecchie per ascoltare, occhi per vedere, un'anima per emozionarsi. Desidero raggiungere quante più persone possibile, non per egoismo o per un piacere narcisistico di essere riconosciuto, ma perché ho dedicato la mia vita all'immaginazione, alle storie, alla fantasia. Amo sognare e voglio che i miei sogni prendano vita in voi, che la mia fantasia vi aiuti a trovare la vostra, perché senza di essa, il mondo diventa grigio come una lapide.

La fantasia ha dato vita a tutte le belle cose che possediamo, ma ora è in pericolo. Stiamo entrando in un'era in cui la fantasia è relegata alla superficialità del già detto, ai remake, alla gratificazione istantanea. Ciò che conta è la facilità di ricordo e la diffusione capillare, non importa la qualità o la profondità. È un fiume che divora tutto sul suo cammino, spazzando via fragilità e sensibilità, un toro dalle corna d'oro affamato di denaro, di attenzione, di nutrimento per il proprio ego.

Questa macchina, ancora animata da persone, non durerà a lungo. Presto, quasi tutto sarà sostituito dalle macchine. Creativi, attori, artisti, scrittori, siamo tutti di fronte a una minaccia incredibile che emerge all'orizzonte. L'intelligenza artificiale presto supererà l'uomo in molti compiti. Quindi, quale posto rimane per l'uomo? Dove stiamo andando?

Il tema che affronto è complesso ma essenziale: che cos'è un artista nel 2024? Che cosa deve fare un poeta per rimanere indipendente, per non essere travolto dalle macchine, per rimanere umano e, allo stesso tempo, avere successo? Sembra un rebus senza soluzione, ma forse, solo forse, ne ho una. Essere vicini alla propria anima, tangibilmente imperfetti, interagire con chi ci segue, discutere, dialogare, trasformare attraverso il dialogo chi incontriamo, e toccare corde espressive profondamente personali, ma imperfette e universali.

Gli scacchi, che sono una mia passione, hanno già vissuto questa fase. La macchina ha battuto il più forte giocatore umano, Garry Kasparov, contro Deep Blue. Eppure, gli scacchi non sono scomparsi. Gli umani amano ancora giocare a scacchi. Come è possibile, se le macchine sono superiori? La risposta è semplice. L'uomo cerca l'uomo. Vuole il contatto con la propria imperfezione, vuole migliorare, anche grazie alle macchine, ma il motivo del suo miglioramento risiede nella sua umanità. Vuole condividere il suo percorso, sentirsi parte di qualcosa, vivere insieme.

Quindi, artisti, siate umani, siate imperfetti, siate fragili, ma anche studiosi, disciplinati e un po' folli. Scavate in voi stessi, ascoltando gli altri, per forgiare nuove storie che colpiranno il cuore di nuovi uomini.

Alla prossima pagina.

I misteri dell'Anima

Oggi desidero parlare della Divina Avventura, del processo creativo alle sue spalle, delle motivazioni che mi hanno spinto a scrivere questo libro, delle mie aspirazioni e dei risultati che credo di aver raggiunto.

L'ispirazione è nata da un'immagine lontana, grigia e sfocata, mentre passeggiavo per Villa Borghese, conversando al telefono con un'amica, Paula. Fu in quel momento che ebbi una visione, piccola ma significativa: una città vicino al Mare Baltico, bianca, lineare e pulita, Baltica. Inizialmente, non c'era nulla di ciò che poi si è sviluppato man mano che la mia immaginazione si dispiegava, ma quel barlume iniziale ha lasciato una nostalgia triste, che per ovvie ragioni ha preso vita propria.

Il mio obiettivo era esplorare il concetto di perfezione, e soprattutto criticare la nostra società, che ci impone un'adesione alle regole mascherata da "perfezione". Ci viene detto che apparteniamo e siamo corretti solo se concordiamo e ci conformiamo. In Cina, ad esempio, esiste il social score, un sistema che valuta quanto i cittadini aderiscano alle leggi. Da questo punto, il passo verso la perfezione e la tunica bianca è breve. Questo era il mondo che desideravo dipingere con Baltica, KS e Kato: un luogo dove non esiste più la moneta, né forme di governo tradizionali, ma solo un autogoverno imposto dalle macchine, dove l'eternità dell'anima diventa l'unico miraggio, l'unica cosa che conta. Ho intenzionalmente mescolato religioni, sociologia e tecnologia per riflettere quello che osservo nella nostra società, sempre più attaccata alle regole, al politically correct, al demagogico, come direbbero gli oratori greci.

E quale entità è più demagogica della macchina che tutto sa, che rappresenta la media della conoscenza umana, il perfetto centro, il nulla più assoluto ed eterno, già plasmato e immutabile? In questo contesto, ho creato un personaggio, un ragazzo di nome Overton, come la finestra di Overton, un principio sociologico che descrive l'ambito dell'accettabile in costante mutamento. Overton proviene dagli abissi dell'imperfezione, dal deserto, dal dolore, dalla morte. È facilmente ingannabile con una semplice menzogna: "Posso farti incontrare tua madre morta". Una falsità che, nel contesto del racconto, sembra assurda, ma che in realtà non è così diversa dalle promesse di alcune religioni.

Siamo fragili, la morte ci spaventa, la perdita dei nostri cari o di noi stessi ci terrorizza. Ma non Overton. Lui ha già perso tutto, e dal suo dolore, ho voluto forgiare un eroe, un ragazzo che supera gli insegnamenti del maestro, diventando a sua volta un maestro non solo di sé stesso, ma anche della sua generazione. Una generazione che non sapeva desiderare, ma che ora, grazie all'amore di una madre, al mistero della vita, alla tragica resilienza di un maestro vissuto nell'illusione, intraprende un viaggio verso l'orizzonte.

Il libro è una speranza, un desiderio di preparare la nuova generazione alle sfide spirituali ed esistenziali che dovrà affrontare. Il futuro promette meraviglie, ma queste meraviglie tecnologiche hanno un costo. Cosa resta dell'umanità quando le macchine la superano in tutto? L'anima? Il nostro io? I nostri desideri? E oltre ai desideri, cosa c'è? L'amore? Queste sono le domande che ho voluto esplorare nel libro, per comprendere un pezzo di me stesso e tracciare un percorso oltre il quale speravo di scoprire un'altra parte di me.

E così è stato. La Divina Avventura mi ha aperto il cuore e l'anima, e ancora oggi ringrazio il momento in cui ho deciso di scriverla. È un testo denso e a tratti complesso, ma ricco di entusiasmo che sarà difficile eguagliare. Se l'avete letto, grazie. Se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di acquistarlo, di conservarlo e di leggerlo quando avrete tempo. E se avete un figlio, un nipote o un giovane in procinto di affrontare l'oceano della vita, sono certo che, come per le centinaia di persone che hanno lasciato una recensione positiva, toccherà corde importanti, che spero si porteranno dietro nel tempo.

Alla prossima pagina.

La Saga prende vita

L'anello di Saturno procede. Ho completato i primi tre volumi e sto ora scrivendo il quarto, il penultimo. Il percorso di scrittura di una saga è davvero emozionante.

Il mio metodo narrativo, come ho indicato in molti articoli precedenti, l'ho denominato "il metodo della pizza". Parto da una frase che racchiude tutta la mia storia, come fosse un aneddoto, e da lì, poco a poco, la faccio lievitare. In questo caso, si tratta di una storia di circa 350.000 parole.

Potete immaginare come, a un certo punto, il tutto prenda vita da sé! I personaggi, che all'inizio l'autore ancora non conosce e quindi plasma, riescono, dopo circa 100.000 parole, a parlare da soli. Addirittura, cominciano a reagire in maniera diversa, portando la storia verso direzioni non progettate inizialmente.

Quando ciò accade, è estremamente divertente, perché si avverte che non si tratta più solo di creazione, ma di collaborazione. L'autore collabora con la sua creazione che, essendo divenuta viva, ha le sue necessità, le sue richieste. Scrivere richiede una forma di rispetto nei confronti dell'opera scritta, e quindi, del nostro passato sé.

Se abbiamo scritto questo, non possiamo cancellarlo, ma dobbiamo abbracciarlo, costruendo, mattone dopo mattone, un edificio che rappresenti non solo la nostra volontà, ma anche il nostro inconscio, il nostro sé passato, con i suoi desideri, le sue visioni.

Ho approcciato questa saga in un modo piuttosto originale, lo vedrete. È una storia d'amore e di tempo, con un narratore molto particolare e un flusso creativo altrettanto unico. Ogni volume affronterà un sottogenere della storia d'amore, con forti movimenti narrativi che metteranno i personaggi in situazioni inaspettate e diverse ad ogni volume.

Durante la presentazione della Divina Avventura, ho incontrato Antonello Venditti, il copertinista. Il suo lavoro è stato così apprezzato che l'ho scelto per tutti e cinque i volumi de "L'anello di Saturno". Ho avuto l'idea, insieme a lui, di rendere la copertina parte dell'esperienza, aiutando i lettori a scoprire dettagli e segreti nascosti tra le parole dei volumi.

In sintesi, sto lavorando sodo per creare un'esperienza coinvolgente e stimolante, sia dal punto di vista della fantasia che emotivo. Qualcosa che vi faccia piangere, provare adrenalina, curiosità e, soprattutto, che vi faccia sognare.

Detto questo, torno al lavoro!

Alla prossima pagina.

Passi avanti da Scrittore

Venerdì ho presentato "La Divina Avventura" al Salone del Libro "Più Libri Più Liberi" pubblicato dalla PAV.

È stato un momento emozionante e straniante. Mi sono reso conto di quanti libri vengono stampati e di quanta gente si dedica quotidianamente alla creazione di storie. Questo mi ha lasciato un po' frastornato.

Come autore auto pubblicato, fedele alla mia scelta di mantenere la mia indipendenza artistica, ho vissuto questa fiera come se uscissi dalla mia bolla. Ho scritto il libro e l'ho pubblicato nel marasma di internet, focalizzato esclusivamente su quello che facevo e sul feedback ricevuto. Invece ora lo vedevo nella realtà. Lavorare su internet è strano, è come muoversi senza avere punti di riferimento, senza una reale percezione del proprio progresso.

Alla fiera, osservando gli stand e le migliaia di persone che vi lavoravano o che passavano con sguardi curiosi, ho capito che la strada sarà lunga. Un libro non basta per definirsi autore; ne serviranno molti altri. Alcuni saranno successi, altri fallimenti, ma mirerò a farli rispecchiare la mia anima e il mio desiderio di intrattenervi e stimolare la vostra fantasia.

Sono felice della collaborazione con la Pav. Aurora, la direttrice con cui sono in contatto, si è mostrata molto disponibile ed entusiasta. Nei prossimi mesi farò delle sessioni di firma copie, partendo dalle liberie Romane. Girando "Il Paradiso delle Signore", sarà complicato viaggiare per tutta Italia, ma sono certo di riuscire a visitare sia il Nord che il Sud per incontrare tutti voi.

Ecco il link per l'acquisto della versione PAV del libro, davvero bellissima: https://pavedizioni.it/prodotto/la-divina-avventura.

Durante la fiera, molte cose mi hanno colpito. Ad esempio, un giovane ragazzo attratto dalla copertina del mio libro, dopo aver letto la quarta di copertina, l'ha riposto. Ho capito che la quarta di copertina non deve spiegare il libro, ma invogliare a leggerlo. Una lezione preziosa per la mia futura "Saga dell'Anello di Saturno".

È stato bello incontrare nuove persone e vendere loro il libro, ma ancora più bello è stato incontrare chi l'aveva già letto. Il libro unisce e offre una base comune per conversazioni più facili.

Tante lezioni, tante emozioni e tanta voglia di futuro. Vi lascio un paio di foto dell'evento sul mio sito.

Alla prossima pagina.

Ricordi

Ti prendo,
Come un caco d'estate.
Ti mangio,
Come marmellata.
Mentre vuoi andare
Ma non puoi che restare
Col pensiero già corto
E un respiro d'amore
Tra le labbra socchiuse.

Vita

Preparo il terreno
Arando concetti,
Annaffiando idee,
Per far crescere in te
Il seme di me.
Le cui radici,
Tra i muscoli e i tendini,
Giungeranno lì dove nessuno
Mai
Ti ha preso.
E lì,
Ti donerò il piacere
Con un bacio.

Fragile

Ho il cuore a fior di pelle
Congelato dal timore
Di sciogliersi
Con un soffio di voce tua.
Ho gli istinti che premono
Come Icaro il sole
Piume di desiderio
Cera fragile
Che si scioglie
Al tuo pensiero.

Musa

Dammi la mano,
Ti porterò via dai pensieri oscuri.
Ti aprirò i cancelli
E ad occhi chiusi ricorderai
La bellezza d'un presente
Inconsapevole, effimero.
Eterno.

Rimani

Figlia fragile
In volo
Alla mercé
Dei ricordi.
Scivoli tra i monti
E, lieve, ti posi
Su un mare d'argento.
Sei bella come la luna.
Ti guardo e mi perdo.
Mi lancio e ti rubo.
Per una notte di sensi,
Un abbraccio d'oblio.

Continua

Un tuo soffio
Mi accende
Mi brucia.
Ti sfioro col pensiero
E mi travolgi
Con un niente.
Ho fisse nella mente
Voglie continue di te.
Continua.

Stai

Immobile sulla sedia,
Gonna aperta e
Sguardo stupito.
Sorridi, come fosse
La prima volta.
Brilli d'imbarazzo
E nell'aria si sente
Un equilibrio
Che ci silenzia.

Libero

Mi inginocchio
Libero nella resa,
Pronto a perdere il senno,
A prendere il seno,
A lasciare che fugga
Ogni cosa che ho,
A lasciare che venga
Ogni cosa che vive.

Torna

Torna, o musa
Come segno o come scusa
Lascia che ti prenda
Nei miei sogni,
In una tenda
A scoppiare di calore,
Di sudore,
Nel silenzio tra le erbe
Incontaminate
Delle tue urla.

Mare di nebbia

Risalirò fiumi d'inchiostro,
E in vetta a montagne di carta,
Strapperò via le parole dal cielo.
Ne farò stelle,
Per tempestare di luce
I tuoi occhi chiusi
Sotto di me.

Trova la tua corda

Oggi vi racconto un aneddoto della mia carriera di regista. Iniziai come assistente alla regia di un grande, purtroppo scomparso, regista: Marco Sciaccaluga, al Teatro Stabile di Genova.

Ciao, Marco.

Ero assistente alla regia di uno spettacolo molto complesso, con oltre venti attori, scenografie imponenti e, come protagonista, Mariangela Melato, grandissima attrice, anch'ella mancata.

Ciao, Mariangela.

Il ruolo dell'assistente consiste nel segnare tutte le note di regia, suggerire agli attori, e, se il regista lo ritiene abbastanza abile, gestire aspetti minori come scene di transizione, fonica, luci, eccetera. Ma il vero compito dell'assistente, a teatro, è imparare, ascoltare, comprendere e avere una visione globale della macchina teatrale per poi diventare, un giorno, un regista.

Io annotavo sul mio copione, un labirinto di frecce, disegni, note importanti, maiuscole, minuscole, testo sbarrato, riscritto - una stele di Rosetta persino per me. Consumavo matite senza sosta. Ma il peggio era che quasi ogni giorno le perdevo. Dentro di me, non riuscivo a spiegarmi come, quasi immancabilmente, mi ritrovassi a fine giornata senza la matita acquistata il giorno prima.

Non c'era verso. Spariva. La causa era semplice: avevo la testa per aria, molte responsabilità da seguire e la matita diventava il simbolo della mia disattenzione. La trascuravo, povera matita. Marco mi prendeva in giro per questo. Io, testardo, mi ripetevo di dovercela fare. Acquistai una matita più costosa, sperando nel suo valore come deterrente all'oblio, ma anche lì fallii, finché un giorno decisi di legarla al copione con uno spago di canapa.

Arrivai in teatro mesto, vedendo questa scelta come una sconfitta, poiché, nella mia mente, non ero riuscito a disciplinarmi a sufficienza da non perdere le matite. Ma Marco, entusiasta, mi disse: «Dovresti essere contento, hai trovato una soluzione. Che importa se non è perfetta come quella che avevi in mente. Funziona. Ora vai avanti, devi lavorare.»

Ecco, questo piccolo aneddoto fu uno scalino che mi allontanò, ripensandoci, da quel mio desiderio di perfezione interiore che mi logorava. Credevo che l'unico vero modo per non perdere la matita fosse disciplinare me stesso. Trovare un modo per piegare mente e corpo, per educarmi. Quella corda io la vedevo come un mero trucco per nascondere la mia manifesta incapacità.

Ma non era così. Quella corda era un modo per andare avanti. Per continuare il grande percorso, quello importante, quello di imparare a fare il regista. E perdendo sempre le matite, sarebbe stato più difficile.
Quando abbiamo un problema, a volte basta una toppa, una corda, un po' di nastro adesivo o un po' di colla, e si riparte, più forti di prima!

Alla prossima pagina.

Oltre i limiti

Oggi voglio esplorare i miei limiti. Cosa vuol dire? Cosa sono i limiti? Esistono o sono solo nella nostra immaginazione? C'è chi dice che ogni limite può essere superato. In francese, addirittura, c'è un detto: "Impossible n'est pas français", che significa "impossibile non è francese". Quindi, davvero non ci sono limiti?

Io penso di no. Credo che i limiti esistano e che siano, anzi, un punto di forza, quando compresi. Uno dei più grandi errori linguistici nei quali cadiamo è quello di usare i quantificatori universali per definire il mondo. Per quantificatori universali, intendo quelle parole che racchiudono una totalità al loro interno, come "tutto", "niente", "mai", "sempre". Quando vengono usati, proiettiamo, con il nostro linguaggio, una dimensione illimitata, senza confini. Il risultato è che non riusciamo ad individuare il reale problema. Se ci chiedessimo: "tutti chi?" "mai quando?" piano piano andremmo nel dettaglio delle trame del creato, ed emergerebbe davvero il problema nella sua individualità, nel suo confinamento, che, appunto, lo identifica. "Tutti" diventa "mio fratello" oppure "un amico"; "mai" diventa "al lavoro" oppure "durante i weekend". E si può andare ancora più nel dettaglio, fino a che, come per magia, il problema scompare, perché finalmente sappiamo che faccia ha.

È una magia questa, non trovate? Limitando le cose, ampliamo la nostra consapevolezza. Definendo con cura maniacale la realtà, la apriamo a nuove domande, più alte, più significative, più complesse. Quindi, tramite un processo limitativo interiore, creiamo un processo inverso nella nostra percezione del mondo.

Un mio maestro mi lasciò, molti anni fa, un biglietto di augurio per il mio futuro. Una lettera, un messaggio: "Caro Flavio, ricorda, è proprio quando dici 'è troppo' che il lavoro inizia. Grazie per quello che hai fatto, e per quello che farai ancora. E merda. Matthias." Questo per me fu un messaggio incredibile, che mi portò a sbloccare tantissimi limiti, quasi a pensare che non esistessero.

Ma i limiti esistono. Anche nel processo creativo, nell'arte. Per esempio, quando è il momento giusto per lasciare un'opera? Quando è il momento giusto per dire che una poesia è finita, che un film è montato, ecc.? Proprio per questa nostra capacità di andare sempre più nel dettaglio, noi continuiamo a vedere difetti anche in una cosa che all'occhio esterno sembra già perfetta. Ci abituiamo, riformuliamo il nostro senso di "normalità" in base alle nostre percezioni attuali e ci adattiamo. E così, anche l'artista si adatta alla propria opera e comincia, dopo un po', ad allucinare, a vedere problemi dove non ce ne sono, a cancellare cose nate dall'impeto, ma che la ragione non comprende, ad autodistruggersi. È quindi fondamentale imparare a fermarsi, a dire: "Ecco, ora basta. Ora il mio operato è pronto a vivere." E poi passare al prossimo obiettivo.

Ma come fare?

Cambiando prospettiva, guardando non l'opera, ma la nostra vita, come il capolavoro che stiamo costruendo. Allora sarà più facile abbandonare un "figlio" per farne un altro. É il percorso che definisce la crescita di un artista. Un'opera, per quanto importante, è il risultato di un percorso di vita. Dante ha scritto molto prima di giungere alla Divina Commedia, e come lui molti altri. A noi rimane solo il meglio, la punta dell'iceberg. Ma dietro ogni opera divina vi sono centinaia, se non migliaia, di piccole tappe concluse, che hanno dato all'artista i semi che, nel tempo, sono cresciuti rigogliosi nella sua anima.

Alla prossima pagina.

Sublimare le emozioni

Perché fare arte? Perché esprimersi?

È una domanda che non mi pongo spesso, ma ogni volta che lo faccio, sono costretto a vedere le mie fragilità. Le prime risposte - che non è detto che siano quelle giuste - sono che "lo faccio per un appagamento personale", "per esistere, per essere riconosciuto. Essere amato." Spesso si dice che gli artisti (gli attori soprattutto) siano vanesi, narcisisti. Spinti solo dal desiderio di apparire.

Ma è davvero così?

Forse no. Almeno, non tutti. Io ho capito che lo faccio per vivere e per sopravvivere. Per affrontare meglio quelle difficoltà che emergono durante la vita, con strumenti di consapevolezza diversi, più intimi, profondi, naturali. L'arte non solo affila tali strumenti, ma né genera di nuovi.

Recitare, per esempio, mi fa vivere dimensioni che altrimenti non conoscerei: "la vita di un altro", scrivere mi permette di indagare su di me, sul mio stato, sulla mia vita. In entrambi i casi, si tratta di sublimazione.

"Sublimare" è una parola stupenda, soprattutto se legata al marcio che dentro tutti noi giace. Come diceva De André: "Dal diamante non nasce niente, dal letame, nascono i fior." Sublimare è quella cosa che eleva il magma interiore a diamante pronto ad essere mostrato ed indossato.

Certo, quanto più piace quel diamante, quanto più ritorno economico l'artista avrà dal suo operato. Non nego che sia importante, per tutti, anche l'artista, l'inflazione è reale. Ma il guadagno attraverso l'arte è quella che si chiama una condizione necessaria, ma non sufficiente, almeno per me.

Io credo che l'arte debba curare l'anima. Portando chi ne fruisce e chi la esercita su un binario comune, in cui per vie quasi magiche, la sublimazione dell'artista permette al fruitore di individuare i propri nodi interiori, come uno specchio dell'anima. Perché solo così, individuandoli, si possono affrontare i demoni.

Come si può sconfiggere ciò che non si conosce?

L'artista si immola, cavia di sé stesso, e scava dentro di sé per esplorare l'inconscio, il subconscio, il noumeno, per trovare ciò che sobbolle tra i demoni e gli angeli, nella terra del sangue. E poi, con un principio che supera persino l'alchimia, ne fa piccole perle da restituire a coloro che avranno la pazienza e la voglia di fruirne.

Questo principio di ricerca, che nulla ha a che fare con la consapevolezza meditativa del conoscersi, ma più con la potente esperienza dell'affrontarsi e del plasmare con le proprie proiezioni qualcosa di manifesto, vero. Questo processo è necessario. Questo processo per me è arte.

Il resto, come direbbe qualcuno, sono solo canzonette.

Alla prossima pagina.

Il mio percorso

Nel mio percorso di artista, ho avuto vari maestri. I primi sono stati gli insegnanti, inconsapevoli, quelli che hanno creduto in me. Un professore di arti plastiche in Francia, un giovane professore di matematica in Italia, ma poi, mentre crescevo e trovavo nella vita passioni inconsapevoli, come la recitazione, i maestri si sono manifestati da soli.

È proprio vero il detto che dice che "è sempre l'allievo a scegliere il maestro e non il contrario".

All'età di 19 anni, ho cominciato a cercare attivamente maestri: Insegnanti di recitazione che mi hanno aperto la mente sulle meccaniche (o pragmatiche) della comunicazione umana. E poi registi che mi hanno insegnato la messa in scena, la comprensione testuale, e infine, scrittori e i loro libri e manuali, che mi hanno insegnato il racconto come mezzo di espressione, di sfogo, di liberazione.

La fase registica fu la più difficile. Si svolse al teatro stabile di Genova. Il teatro è un ambiente serio, spartano. Parlo del vero teatro, quello classico. Fui l'allievo di grandi registi, che più che insegnarmi la regia - che per osmosi uno apprende anche osservando il lavoro- mi insegnarono il metodo, ma soprattutto, la disciplina e la resilienza. Me la insegnarono attraverso un rapporto contrastato, doloroso a volte, come quello che guida la mano di un padre benevolo ma severo. Ricordo che spesso andavo a piangere tra un quarto d'ora di pausa e l'altra, per la pressione che non riuscivo a sostenere, per quel mio dover essere perfetto, quel non dover sbagliare mai, che non è altro, alla fine, che una promessa di sconfitta.

Poi, arrivò il momento delle mie regie. Tutto nacque verso i 24 anni. Dopo alcuni anni di assistenze alla regia, decisi di produrre il mio primo spettacolo. Affittai persino un teatro dove invitare tutti. 12 attori, un mese di prove, videoproiezioni, musiche originali! A ripensarci, non so proprio come ho fatto. Dopo quello spettacolo, lo stabile mi affidò le prime regie, una... due... fino alla messa in scena dei miei testi, poi spettacoli in cartellone, ero partito! Penso di essere stato, in quel periodo, uno tra i registi più giovani di tutti gli stabili d'Italia.

E poi, come la piuma di Forrest Gump, il destino mi ha portato verso altre vie. Il cinema, la televisione. Nel frattempo che partecipavo a film e serie, ho continuato il mio percorso produttivo, producendo, scrivendo e dirigendo nell'arco di quattro anni due film e una serie interattiva, oltre ad alcuni cortometraggi. Fu un momento di febbrile produzione, ma anche dell'emergere in me della consapevolezza di quanto ero estraneo al sistema produttivo cinematografico. Producevo, ma non vedevo risultati, e non capivo perché. Qualcosa dentro di me continuava a dire "ma come, prima o poi qualcuno mi vedrà, qualcuno dirà: questo gruppo di giovani è proprio forte, investiamoci sopra!". Ma non successe, e dopo molti tentativi falliti, scavai dentro di me, cercando di capire cosa davvero io volessi, cosa volevo fare, oltre al mestiere d'attore che non mi ha mai del tutto completato.

Volevo qualcosa di mio. Di fertile. Di stimolante.

E mi tornò in mente la mia passione antica: i videogiochi. Io sono un amante di quelli che mi raccontano storie, che mi catapultano in dimensioni immaginarie. E così mi dissi, "e se ne facessi uno io?". In quel momento diressi tutte le mie forze verso la produzione di un'idea: un videogioco in realtà virtuale. Trovai 5 programmatori (sempre a Genova, vedi il destino) con i quali cominciai un'avventura che ancora continua. Produssi, insieme a loro, un videogioco per la realtà virtuale di Playstation e insieme fondammo Untold Games, una società di videogiochi con sede a Genova. L'anno prossimo usciremo con il nostro prossimo videogioco. Sarà un momento speciale.

Poi, dopo aver dedicato soldi e tempo (più di tre anni) allo sviluppo della società, tv e cinema mi richiamarono. Era chiaro che non potevo dedicare tutto il mio tempo ai videogiochi e quindi delegai. Mi fidai dei miei soci. Fu la scelta corretta, poiché hanno, negli anni, reso quel piccolo gruppo che eravamo una realtà con più di 30 dipendenti.

Ma io ero ancora davanti a me stesso. Cosa dovevo fare? Che strada potevo percorrere? Regia? no. Produzione? No. Montaggio/cinema? No. Videogiochi? Nemmeno.

Arrivò la fine del 2019, avevamo deciso di andare a vivere a Parigi qualche mese per vedere se qualcosa si muovesse. In quel periodo, proprio mentre ero in aeroplano in direzione della "ville lumière", cominciai a scrivere. Iniziai con una poesia che però si allargò, e nacque in me il desiderio di svilupparla.

Passai i mei giorni parigini a scrivere "La Rovina Dell'anima" un libro di fantascienza che si svolge in una Roma futurista, la storia di un collettore di dati, ma anche la storia di un futuro in cui l'uomo vale poco e niente, in cui il mondo si è spento, pur di accendere le macchine.

In quel momento compresi che scrivere are una strada che volevo percorrere. Ma poi, mi scontrai con le lentezze dell'editoria. Trovare un agente... parlare con Editori che hanno migliaia di manoscritti ancora da leggere e che hanno poco interesse ad investire su uno "sconosciuto".

Così nacque l'idea di andare da solo con il self publishing. Pur avendo trovato un agente letterario, decisi di mollare questa strada, scrivere un altro libro e pubblicarlo io. É così che nacque la Divina Avventura.

Grazie a questa esperienza ho capito molte cose, cosa (forse) funziona, cosa (forse) non funziona. Come procedere in avanti.

"L'anello di Saturno" sarà figlio di tutta la conoscenza acquisita, non solo in questi anni di scrittura e pubblicazione, ma dentro vi troverete la mia regia, la mia recitazione, e persino i miei videogiochi.

Insomma, per tutti coloro che sono ancora alla ricerca di un senso, di una dimensione nella quale sbocciare come fiori, non demordete. Fate, cercate, scoprite. Ci penserà la vita ad unire i puntini.

Alla prossima pagina.

Un futuro radioso

Che dire, le prossime settimane si riveleranno intense.

Sembra che Tancredi finalmente riprenda in mano la sua vita. Ho molte scene, si comincia a sentire la fine della stagione, e tutto ciò che ne consegue. Sarà una stagione importante, questa del paradiso delle signore. Una stagione che vi ricorderete a lungo.

Ho anche una bellissima notizia da condividere con voi. Venerdì 8 dicembre (segnatevelo!) dalle 13, alla Nuvola dell'Eur, a Roma, presenterò ufficialmente l'edizione da libreria de "La Divina Avventura".

É un'edizione speciale, curata da un'editor, nel quale sono state apportate piccole modifiche, sia di testo che di formattazione, e soprattutto con una copertina del tutto nuova che svelerò durante la conferenza stampa, che avverrà all'interno de "Piu libri più liberi" che è la fiera della piccola e media editoria. Non solo presenterò il libro, ma per tutto il giorno sarò li pronto a fare il firmacopie, quindi, se venite, sappiate che firmerò con grande piacere qualsiasi cosa!

Questo per me sarà un momento importante, in cui questa impresa di scrittore che ho cominciato quasi un anno fa sta lentamente prendendo vita e dando frutti insperati. "La Divina Avventura" ha ricevuto tantissime recensioni positive, non potevo davvero chiedere di più. Grazie a tutti e tutte per l'appoggio incondizionato che mi avete dato in questi mesi e se verrete alla presentazione, ve ne sarò grato.

Per chi non potesse essere presente l'8 dicembre, ripeterò il firmacopie anche domenica 10, sempre alla nuvola, tra le 14 e le 16.

Detto questo, Natale è alle porte. Si cominciano a comprare gli addobbi, ci si scalda il cuore quando le luci sulle strade sopra i negozi, di notte, scintillano. Io uso un albero di plastica. Da una parte sono consapevole che è un mostro anti-ecologico, dall'altra, è un albero tagliato in meno che non lascia aghi ovunque (ma neanche emana quello splendido odore) ed è super comodo da montare e smontare. Vi prometto che quando lo avremo addobbato, vi posterò una foto sui social.

Non solo Natale, ma anche Capodanno! Quest'anno abbiamo preparato una cosa spettacolare per Elettra, che non posso svelare perché è un segreto talmente segreto che non vogliamo che nessuno lo sappia. Diciamo solo che abbiamo preparato un lungo viaggio verso una destinazione che, quando scoprirà qual è, credo che esploderà in una gioia incontrollata. Non vedo l'ora di vederla saltare di entusiasmo.

E poi arriverà il nuovo anno. Il 2024 sarà un anno pieno di sorprese. Ho scelto di continuare a fare il paradiso delle signore per almeno un'altra stagione. Tancredi, come vedrete, quest'anno affronterà delle grandi sfide, che metteranno a dura prova la sua persona. Il prossimo anno, forse, sarà un anno di rinascita e di scoperte di un pezzo di cuore che non sa nemmeno lui dove sta, chissà... Non vedo l'ora di scoprirlo insieme agli autori.

Ma prima della prossima stagione del Paradiso, ci sono due progetti a cui tengo molto che usciranno all'inizio dell'anno. "La Lunga Notte" in cui interpreto Umberto Secondo di Savoia, e "Margherita delle stelle" in cui interpreto Aldo de Rosa, il marito di Margherita Hack. Le date non sono state ancora definite con precisione, ma si tratta dei primi due mesi dell'anno prossimo. Comunque, anche lì, vi farò sapere tutto tramite il diario e i social.

Insomma, la vita dell'artista è piena di sorprese, su questo non ci sono dubbi. Alti e bassi, crisi ed entusiasmi, è una montagna russa di emozioni del quale sono grato, sia nel bene che nel male.

Come diceva Clark Gable, riflettendo con humour sulla lunga ed estenuante strada che gli attori devono percorrere nella loro carriera, suggerendo che le difficoltà non finiscono mai veramente, nonostante l'apparente "facilità" acquisita con l'esperienza:

"Non dimenticare che nel mestiere di attore solo i primi 30 anni sono duri."

Clark, ho superato i 20 anni, altri 10 e poi mi rilasso!

Alla prossima pagina.

Una giornata particolare

Oggi non ho voglia di scrivere, non ho voglia di parlare. Ci sono giorni in cui il silenzio è il miglior amico del pensiero. Ma poi, ripenso ad Eminem, che ogni giorno scrive chilometri di testo. E alla domanda "Ma poi cosa fai con tutti questi brani?" lui risponde "Questi non andranno mai in registrazione, questi li scrivo per non perdere la penna."

Non perdere la penna. Mi piace come espressione, non voglio perderla nemmeno io. E poi, questo spazio è anche un luogo dove, attraverso la scrittura, scavo dentro di me, mi cerco, provo persino a parlarmi, a chiedermi come sto.

La vita è complessa, più si va avanti e più i pezzi in gioco sono tanti, e ogni scelta diventa una ragnatela di conseguenze che sembrano andare aldilà della nostra capacità di comprensione. E quindi come fare? Come agire? D'istinto? Oppure scrivendo tutto su un pezzo di carta e poi rileggersi per capire dove siamo?

Non lo so.

Una cosa che mi aiuta, quando sono perso, è proprio questo scrivere. Questo dedicarmi a qualcosa che produco, che realizzo e che poi vi regalo. É un piccolo obiettivo, un mattoncino in quello che poi, un giorno, sarà la raccolta di un mio periodo.

Mio padre, un giorno, mi disse che il segreto della felicità è riuscire a fare una cosa al giorno. Farla, finirla. Io per quello che riguarda i miei obiettivi, che siano quotidiani o a lungo termine, uso una applicazione che si chiama "ToDo". Ho suddiviso i miei obiettivi in varie categorie. Ci sono le attività da fare a breve, e poi ci sono i miei progetti, il diario d'artista, l'anello di saturno, il paradiso delle signore, e poi ci sono categorie selvagge, come "idee di scrittura" oppure "libri e film da guardare e leggere".

Ne ho anche una che è "La casa perfetta" in cui metto ogni cosa/idea che trovo e che mi ispira per una casa dei sogni. Dentro ci sono cose assurde come "un pianoforte a coda che suona da solo in salone" oppure "Accanto ad un mercato" e molte altre chicche che disegnano una parte di sogno che un giorno, chissà, forse realizzerò.

La settimana è stata complessa, ho girato il paradiso delle signore, poche scene, il mio personaggio, Tancredi di Sant'Erasmo, attraversa, in questo momento di set (che è traslato di circa tre mesi con la messa in onda) una fase simile a quella che sto vivendo io: è in una bolla, in attesa di.

Ho scritto molto, sono arrivato quasi alla fine del terzo volume dell'anello di Saturno. Il primo volume è addirittura pronto per la stampa. Voglio arrivare a giugno che tutto è pronto per voi. Ho scelto di pubblicare i cinque volumi a tre mesi di distanza. Ascoltando le vostre risposte, mi è sembrato un buon compromesso tra attesa e desiderio.

E poi c'è la mia vita, quella semplice, fatta di Elettra, di famiglia, di portarla a scuola, vederla crescere ogni giorno. I suoi pensieri sono sempre più raffinati, la sua proprietà di linguaggio anche. Ha un entusiasmo che le invidio, e che, lo ammetto, mi contagia.

Che fortuna averla vicino.

A volte ha anche delle idee bellissime, e quando le racconto delle storie, me ne suggerisce delle migliori. Vorrei essere di più con lei, essere più capace di dedicarle il mio tempo. Ma poi ecco che ricasco nel mio desiderio di produrre, che fagocita tutto. E non riesco a fermarmi, non riesco ad abbandonare questo fuoco.

Per fortuna, il mio lavoro ha anche molte bolle di tempo libero, e penso di essere un padre presente, seppur folle, che le trasmette questa sua passione per l'espressione, per il gioco, le storie, la magia.

Cosicché un giorno, come un "eco genetico", sarò vivo nella sua voce, oltre che nel suo cuore.

Ecco, poi emoziono troppo.

Alla prossima pagina.

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