Spesso la sensibilità, intesa come rimanere aperti — con il cuore di carne viva in mano — al mondo, viene fraintesa come debolezza.
Come se l’atto di darsi all’altro, di mostrarsi per ciò che si è, fosse un segno di instabilità emotiva.
Ovviamente non è così.
Ci vuole molto più coraggio ad ammettere le proprie fragilità, i propri difetti, che a nascondersi dietro una maschera, puntando il dito contro chi invece ha il coraggio di esporsi.
Nell’arte della recitazione, per esempio, ho imparato che ciò che dona al personaggio una dimensione empatica sono proprio le sue fragilità. Le sue crepe.
Nulla è più noioso di un personaggio onnipotente, onnisciente, privo di dubbi.
Sono proprio i dubbi a portarci verso il miglioramento. A elevarci.
In molti testi spirituali si ritrova l’idea che la forza stia nel donarsi, nel “porgere l’altra guancia”. Non tanto per spirito di sacrificio, quanto per una reale forza interiore.
Solo così ci mettiamo davvero davanti a noi stessi, e ci conosciamo.
La vera forza arriva dalla conoscenza e dall’accettazione di sé. Ma non solo.
Anche dalla consapevolezza che questo non è un percorso che finisce con un premio, perché “ce l’hai fatta”.
È un cammino. Uno di quelli che ci accompagna fino alla fine di questa vita.
E forse anche dopo. Chissà.
Qualche tempo fa, in un articolo, ho ricevuto un commento al vetriolo, mascherato da “onestà”, ma intriso di giudizi gratuiti, proiezioni e una certa superiorità morale.
Quella persona si arrogava il diritto di valutare il mio aspetto fisico e la mia carriera — senza alcun reale contesto — come se stesse elargendo una lezione di vita.
In realtà, la sua “franchezza” era solo una scusa per colpire.
Sono un attore.
E se c’è una cosa che gli attori imparano presto, è a incassare critiche che sembrano rivolte non al lavoro, ma alla persona.
Perché il nostro lavoro è la nostra persona.
L’attore incarna letteralmente l’arte che fa.
Ogni parola, ogni gesto, ogni espressione parte da dentro. E quindi ogni critica è difficilmente separabile dall’identità.
Per anni ho preso le critiche sul personale.
Magari rovinandomi un momento di pace solo perché Tizio o Caio aveva detto qualcosa di brutto su di me.
Poi, con gli anni, ho capito una cosa meravigliosa.
Siamo piccoli esseri umani, su un granello di sabbia, tra miliardi di galassie, anch’esse granelli di sabbia nello spazio infinito.
Non importa.
Non importa cosa dicono — nel bene o nel male.
Importa cosa sento.
Importa quanto mi adopero per elevarmi, migliorarmi, superarmi, conoscermi.
Questa vita che abbiamo è un percorso di conoscenza.
E non dovremmo mai permettere che la cattiveria altrui interferisca con questo cammino.
Come diceva la scritta sopra il tempio di Delfi:
“Conosci te stesso.”
Alla prossima pagina